SOUVENIR DE KIKI drammaturgia, immagini e regia di Consuelo Barilari

SOUVENIR DE KIKI drammaturgia, immagini e regia di Consuelo Barilari

con Manuela Kustermann, le voci di Hemingway, Soutine, Man Ray, Fujita sono rispettivamente di Roberto Alinghieri, Fabrizio Matteini, Nourredine, Davide Gallerello, luci di Liliana Ladeluca, suono e editing di Claudio Maccagno, proiezioni video di Gianluca De Pasquale, elementi scenici a cura di Cri Eco, costumi di Francesca Parodi, installazione “Libellus” di Marzia Migliora e Ilenia Corti. Produzione Schegge di Mediterraneo, Featival dell’Eccellenza al femminile

(Teatro Vascello – Roma, 13/18 febbraio 2024)

Si fa presto a dire reading. No, leggete la complessa macchina scenica allestita tra video, fotografie e raffinatissima musica d’epoca per restituire il puzzle-mosaico del mood di Kiki di Montparnasse, regina della Parigi di notte. Animatrice, scrittrice, modella, campionessa mondiale di cuori infranti.

Una donna che riassume un mondo. Tra libertinismo, dadaismo e futurismo. Attraversando la storia del tempo con gli incontri: Soutine, Fujita, Man Ray (un fidanzamento durato sei anni), Kisling, Calder, Cocteau. Kiki, all’anagrafe Alice Prin, nulla si negava. Scandalizzando i genitori che fanno irruzione nello studio di un pittore e la colgono nuda già a 14 anni. Stupendo i borghesi, vestendo senza mutande, in un tourbillon di amori folli, di droga (cocaina) prima del rapido invecchiamento e della triste fine. Manuela Kustermann ripercorre cronologicamente in cento minuti questa parabola arrestandosi nel punto più glorioso, evitando di documentare il declino. Fascinosa e charmante la tycoon del Vascello, si districa con agilità nel racconto assistito da un puntualissimo corredo iconico. Lo sforzo produttivo è imponente e all’altezza della sua recitazione che con abilità bypassa il gap anagrafico rispetto all’età raccontata del personaggio. L’atmosfera del tempo è restituita senza imbarazzi in un crescendo di libertà ma insieme di dissipazione. Questa volta nella prima s’innalza anche l’età media degli spettatori. E il teatro evita che la storia inghiotta chi ha firmato lo spirito del tempo in una capitale europea che nella prima parte del passato secolo era il cuore pulsante della cultura e dell’arte.

data di pubblicazione:14/02/2024


Il nostro voto:

ROMEO È GIULIETTA di Giovanni Veronesi, 2024

ROMEO È GIULIETTA di Giovanni Veronesi, 2024

Il regista teatrale Federico Landi Porrini (Sergio Castellitto) è alla ricerca dei suoi Romeo e Giulietta per l’opera in cui cerca un suo ultimo rilancio, ma che di fatto concluderà la sua carriera. Tra i mille provini effettuati, ci sono quelli di Vittoria (Pilar Fogliati) che viene però esclusa a causa di un errore commesso nel passato, e del suo fidanzato (Domenico Diele), che viene poi scelto per interpretare il ruolo di Mercuzio.

 

Il casting continua per le lunghe fin quando Vittoria non fa una scelta apparentemente vendicativa, ma molto rischiosa. Questo il pretesto per una commedia romantica, la cui sceneggiatura, scritta sia da Veronesi che da Pilar Fogliati, vuole lanciare un messaggio alla generazione dei trentenni. Si segue in ciò l’esempio di Romantiche, precedente opera scritta insieme. Si gioca tutto sul concetto d’identità, sulle maschere da indossare e sul perché sia necessario o meno indossarne alcune e svestirne altre per poter vivere. Il tutto con un cast ben assortito, con Castellitto che si toglie tanti sassolini dalle scarpe, facendo il verso ai tanti registi incontrati nella sua vita e da una (come sempre) splendida Geppy Cucciari, in un cameo che sembra fatto apposta per lei e per la sua verve comica.

Il gioco viene comunque retto da una polivalente Pilar Fogliati, sempre a suo agio in ruoli trasformisti, che nel ruolo/maschera di Romeo, alias Otto Novembre, tiene un saggio sul concetto di identità; tutte le scelte fatte dai vari personaggi sono scelte che li portano a mettersi in discussione e (ri)scoprire se stessi. Altri camei importanti, oltre che deliziosi, sono quelli di Margherita Buy e Alessandro Haber, con piccoli ruoli che aumentano valore senza togliere aria ai protagonisti. Il risultato sono un paio d’ore gradevoli al cinema, con un occhio alla commedia e l’altro al romanticismo, mischiate in un giusto mix, senza però scomodare i veri riferimenti del genere, come Tootsie.o Victor Victoria di Blake Edwards.

data di pubblicazione:13/02/2024


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74 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE

74 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE

(Berlino, 15/25 Febbraio 2024)

Presentata in conferenza stampa la lista completa dei film in selezione ufficiale. Con l’edizione di quest’anno si conclude l’esperienza di co-direzione artistica di Carlo Chatrian e Mariette Rissenbeek. In questi anni hanno cercato di delineare una vera e propria missione affidata al cinema che è quella di raccontare qualcosa che è stato e di fantasticare su qualcosa che sarà.. La Berlinale viene così metaforicamente definita come un albero che affonda le radici nel passato e proietta i suoi rami nel futuro. In questo senso il cinema ci regala una serie di immagini che restano impresse nella nostra memoria, esattamente come alberi che resistono alla tempesta, chiari segni che certificano qualcosa di prima e ci permettono di immaginare il dopo. Ben 54 sono i lungometraggi presentati nella selezione ufficiale (Concorso, Encounters, Berlinale Gala, Berlinale Special) oltre i 31 ospitati nella Sezione Panorama e altri 50 sparsi tra Forum e Forum Expanded, infine i 15 selezionati in Generation oltre alla retrospettiva.

Ecco di seguito la lista completa dei 20 film in concorso per aggiudicarsi l’Orso d’Oro e gli altri prestigiosi Orsi d’Argento:

Small Things Like These di Tim Mielants (Irlanda-Belgio) – film d’apertura

Sterben di Matthias Glasner (Germania)

Des Teufels Bad di Veronika Franz-Severin Fiala (Germania)

Vogter di Gustav Moller (Danimarca-Svezia)

Yeohaengjaui pilyo di Hong Sangsoo (Sud Corea)

Another End di Piero Messina (Italia)

Architecton di Victor Kossakovsky (Germania-Francia)

Black Tea di Abderrahmane Sissako (Francia-Mauritania-Lussemburgo)

La Cocina di Alonso Ruizpalacios (Messico-USA)

Dahomey di Mati Diop (Francia-Senegal-Benin)

A Different Man di Aaron Schimberg (USA)

L’Empire di Bruno Dumont (Germania-Francia-Italia-Belgio)

Gloria! di Margherita Vicario (Italia-Svizzera)

Hors du temps di Oliver Assayas (Francia)

In Liebe, Eure Hilde di Andreas Dresen (Germania)

Keyke mahboobe man di Maghaddam-Sanaeeha (Iran-Francia-Svezia-Germania)

Langue étrangère di Claire Burger(Francia-Germania-Belgio)

Mé el Ain di Meryam Joobeur (Tunisia-Francia-Canada-Norvegia)

Pepe di Nelson Carlos De Los Santos (Rep. Dominicana-Namibia-Germania)

Shambhala di Min Bahadur Bham (Nepal-Francia-Norvegia-China)

 

Tra i film italiani distribuiti tra le varie Sezioni abbiamo: Another End di Piero Messina, al suo secondo film, che tratta il tema del dolore nel distacco dalle persone che amiamo. Gloria! opera prima dell’attrice e cantautrice romana Margherita Vicario, dove viene trasmessa la sua passione per la musica. Dostoevskij, una serie tv dei fratelli D’Innocenzo, storia di un killer seriale ossessionato dallo scrittore russo. Supersex, altra serie di Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni, dedicata alla vita del noto porno star Rocco Siffredi. Il Cassetto Segreto in Forum, film documentario di Costanza Quatriglio dedicato alla memoria del padre giornalista. Quell’estate con Irène, nella Sezione Generation Plus, opera seconda di Carlo Sironi che parla della fuga di due ragazze dall’ospedale, dove sono in cura, per poter vivere la loro prima vera estate. Giovani autori italiani che coraggiosamente vanno a delineare nuovi generi e nuove forme di racconto con immagini.

La giuria internazionale quest’anno sarà presieduta dall’attrice messicana, con cittadinanza keniota, Lupita Nyong’o, oramai di fama internazionale nonché premio Oscar nel 2014 come migliore attrice non protagonista per aver recitato nel film 12 anni schiavo. Accanto a lei l’attore e regista statunitense Brady Corbet, la regista cinese di Hong Kong Ann Hui, il regista e sceneggiatore tedesco Christian Petzold, il regista, sceneggiatore e produttore spagnolo Albert Serra, l’attrice e regista italiana Jasmine Trinca e la scrittrice e poetessa ucraina Oksana Zabuzhko.

La Berlinale renderà omaggio al regista Martin Scorsese con l’Orso d’Oro alla carriera e durante la kermesse cinematografica verranno riproposti diversi suoi lungometraggi, incluso il suo ultimo film Killers of the Flower Moon.

data di pubblicazione:13/02/2024

FINALMENTE L’ALBA di Saverio Costanzo, 2024

FINALMENTE L’ALBA di Saverio Costanzo, 2024

Presentato in Concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Finalmente l’alba di Saverio Costanzo parte da un fatto di cronaca avvenuto nel 1953 per raccontare il cinema di quegli anni. All’epoca la spettacolarizzazione mediatica di un delitto spostò l’attenzione più sugli ambienti in cui si consumò che sulla vittima. Il regista descrive minuziosamente quella Roma bene che si affacciava nell’immediato dopoguerra alla dolce vita e la difficoltà secolare delle donne per affermarsi in certi ambiti lavorativi.

 

È affascinante come il regista riesce a gestire, in maniera assolutamente assolutoria per la vittima e a così tanti anni di distanza, la vicenda dell’omicidio di Wilma Montesi avvenuto nel 1953. Il cadavere della giovane venne ritrovato sul litorale romano e la foto che la ritraeva riversa sulla spiaggia a gambe divaricate con le calze scese, fu pubblicata da tutti i giornali come immagine che accompagnava la descrizione delle sue aspirazioni di attrice. La morbosità mediatica fece così il suo giro. “La stampa speculò sulla vicenda, che coinvolgerà personalità della politica e dello spettacolo, e nel pubblico nacque un’ossessione che presto diventò indifferenza. La vittima scomparve dalle cronache per fare posto alla passerella dei suoi carnefici”. Il reato cadde poi in prescrizione senza colpevoli.

Costanzo riabilita la vittima inventando una storia parallela, ambientata nello stesso anno, avvalendosi di una giovane attrice (Rebecca Antonaci) al suo primo ruolo da protagonista che rappresenta l’immagine di una ragazza ingenua degli anni ’50. Nata in una famiglia umile e promessa sposa ad un poliziotto napoletano, in una lunga notte Mimosa ripercorre le ultime ore di Wilma Montesi in una sorta di ricostruzione comparata. Dopo essere stata selezionata per un provino a Cinecittà come comparsa in un film ambientato nell’antico Egitto, Mimosa alla fine delle riprese verrà invitata dall’attrice protagonista ad unirsi a loro per andare a cena. Ma la serata si trasformerà in qualcosa di molto diverso. Sarà infinita la notte per Mimosa in compagnia degli attori americani del film, di produttori, politici e faccendieri di ogni tipo. E Rufus Priori (un bravissimo W. Defoe che recita in italiano) traghetterà la ragazza in questa sorta di percorso di vita necessario per passare dall’ingenuità all’età adulta.

Un progetto ambizioso quello di Costanzo che tuttavia non regge per tutta la durata del film, con una seconda parte un po’ troppo lunga ed una scena finale che lascia perplessi. Tuttavia il film, a partire dal titolo ironico e salvifico al tempo stesso, riesce a puntare il dito sui veri carnefici e a ridonare alla vittima la giusta centralità.

data di pubblicazione:13/02/2024


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IL PREMIER di Giuseppe Manfridi

IL PREMIER di Giuseppe Manfridi

regia di Piero Maccarinelli, con Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Mersila Sokoli, Stefano Santospago, Galatea Ranzi, Duccio Camerini

(Teatro Argentina – Roma, serata unica e speciale 12 febbraio 2024)

Un risarcimento per un autore veterano, polivalente, eccellente affabulatore all’interno della rassegna “Lingua Madre” giunta alla terza puntata con il provvisorio trasferimento dal Parioli al principale Teatro di Roma. Reading di novanta minuti per cinquecento spettatori con il mattatore Lavia.

Come non pensare ai rivoli scandalistici della politica italiana. Da Berlusconi in avanti magari con il pensiero a Tangentopoli e alla corruzione. Sebbene scritto parecchi anni or sono e mai rappresentato il testo regge viste le invarianze in chi regge i destini della nazione. Attorno a un onorevole trafitto dagli scandali ma pure ansioso di ritornare in sella si affacciano inghippi e complicazioni di ogni tipo. Anche sentimental/sessuali, incesto compreso. Perché tutti sembrano tradire tutti e dunque non sembra esserci redenzione in chi ha pattuito che la propria vita debba essere improntata al potere e alla ricerca di un voto in più. La corruzione e il tradimento è un morbo contagioso che non risparmia chi gli è vicino. Bel coro di attori disposti in assembramento, fianco a fianco con relativo leggio e senza neanche il conforto di uno stacco musicale o di un intervallo. Testo denso, ricco di battute e di sommovimenti che resiste alla prova di un tempo considerevolmente più lungo dei tempi di un reading. Ovviamente Lavia spicca su tutti in un bel coro di personalità con Camerini nelle vesti del raccontatore didascalico. La rassegna si avvia al termine e il suo sottotitolo (“Il teatro italiano non fa schifo”) rappresenta un palingenetico atto di speranza. Del resto chi ha il coraggio di scrivere copioni per più attori senza avere buone chance di venire rappresentato? È il caso di questo testo passato di mano in mano ma senza che un produttore volesse investirci su per uno spettacolo. Eppure la spina dorsale del testo lascia intravedere ottime possibilità rappresentative.

data di pubblicazione:13/02/2024


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RECITAL di e con Francesca Reggiani

RECITAL di e con Francesca Reggiani

(Teatro Comunale di Poggio Moiano, 11 febbraio 2024)

Monologo diesel che parte con le marce basse ma poi scalda il pubblico sabino con un tema ineludibile e caro all’attrice: la condizione di single e i travagliati rapporti uomo/donna. Per il ciclo Sentieri in Cammino tutto esaurito per un’occasione da non perdere.

Il navigato mestiere della Reggiani pesca un punto di forza persino dal complicato rapporto con la scena, le luci e il lancio dei video che fanno da punto e virgola al suo fitto monologo. Ovvio che non ci sia troppa dimestichezza con un piccolo palcoscenico mai calcato prima. Comicità arguta che tende al sorriso più che al riso. Ma si parla anche di politica lanciando fendenti a destra e sinistra con le godibili imitazioni di Meloni e Schlein. La prima rappresentata con quel romanesco internazionalizzato pieno di sporcature e dialettismi; la seconda con le sue sibilline allusioni ai diritti dell’eguaglianza. La comica spesso cerca appoggio nel pubblico, peraltro un po’ pigro nel rispondere alle chiamate. Ricordiamo come pezzo forte del repertorio quasi recente dell’attrice l’intervista a due facce tra la già citata Meloni e la giornalista radical chic Conchita Di Gregorio. Evitando di essere travolta dal mainstream della situation comedy la Reggiani si tiene ancorata ai suoi pezzi forti da sempre. La maniera di Roma nord, il politicamente corretto sul cibo sano, la televisione in preda agli chef. Senza volgarità o turpiloquio ma con tanta malizia, allusioni e strizzatine d’occhio al nostro strano modo d’essere attuale. C’è tanta vita perché quando fa riferimento alle abitudini delle sue amiche si ha proprio l’impressione di entrare a casa Reggiani. Sono passati molte anni dall’onda di Serena Dandini ma la protagonista ci mostra un valido modo per tenersi a galla, veleggiando sull’attualità e su alcuni temi rivisti senza paura di stancare e, eventualmente, ripetersi.

data di pubblicazione:12/02/2024


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BOSTON MARRIAGE di David Mamet

BOSTON MARRIAGE di David Mamet

traduzione di Masolino D’Amico, regia di Giorgio Sangari, con Maria Paiato, Mariangela Granelli, Lorenza D’Auria

(Teatro India – Roma, 6/11 febbraio 2024)

Il Mamet che non ti aspetti per una grande prova d’attrice di Maria Paiato. Qui chiamata efficacemente a esagerare in un’esilarante parte dove la sovrabbondanza di movimenti e la ridondanza del linguaggio culmina spesso in una battuta fulminante. Assistita da college egregie. Il titolo allude a una sorte di emancipazione femminile del XIX secolo riferendosi a donne capaci economicamente di evadere dalla dipendenza maschile.

Maliziosi legami tra donne con allusioni al voyeurismo in una società che, chissà perché, immaginiamo puritana e persino bacchettona. Donne di costumi a volte facili che s’ingelosiscono, progettano menagè a trois ma con la morbidezza di sentimenti che scivolano sulla pelle della trama. In fondo non succede niente in scena quando in realtà succede tutto. Nei cambiamenti umorali scatenati da una collana traditrice. Mamet, se fosse presente, sarebbe entusiasta della Paiato, una sorta di contraltare al femminile della leadership virile di Popolizio. Non si lascia sfuggire neanche l’efficace di una sola battuta l’attrice veneta, magnifica padrona dell’assunto. La commedia è anche farsa, resistente a 25 anni di un invecchiamento che sa di maturazione. Le citazioni di scena di Oscar Wilde (lo snobismo), Henry James (l’atmosfera), Tennesse Williams (la morbosità) sono piuttosto pertinenti nel cocktail mametiano he vuole essere un morbido omaggio ai tempi. Il contraltare delle due protagoniste i cui dialoghi sono la scena portante del set è l’apparentemente ingenua cameriera, ingiuriata, bistrattata, sospettata di furto ma anche licenziata. Messa incinta in pochi secondi di contatto sessuale, perdendo la verginità. Il suo ruolo non marginale viene ribadito dall’ultima scena in cui, mollemente sdraiata sul divano padronale, fa veramente per la prima volta nella sua vita la signora. A trovare difetti c’è un quarto d’ora di troppo perché il tentativo di trovare una spiegazione alla disponibilità della collana è arzigogolata e la pratica delle chiromante non stimola affatto gli umori del pubblico, decretando un ovvio calo di tensione.

data di pubblicazione:11/02/2024


Il nostro voto:

OTELLO da William Shakespeare

OTELLO da William Shakespeare

traduzione e drammaturgia di Letizia Russo, regia di Andrea Baracco, con Valentina Acca, Flaminia Cuzzoli, Francesca Farcomeni, Federica Fracassi, Federica Fresco, Ilaria Genatiempo, Viola Marietti, Cristiana Tramparulo

(Teatro Quirino – Roma, 6/11 febbraio 2024)

Arriva finalmente a Roma dopo più di un anno dal debutto l’Otello prodotto dal Teatro stabile dell’Umbria che vede in scena un cast eccezionale di sole donne. Il regista Andrea Baracco e la drammaturga Letizia Russo trasformano il testo scespiriano in una tragedia universale. Iago condurrà Otello a una folle disperazione e per gelosia ucciderà l’amata Desdemona. (ph. Gianluca Pantaleo)

 

Non è l’Otello che ci aspettiamo di vedere, afferma nel prologo fuori dal testo Federica Fracassi, l’attrice che a breve entrerà nel ruolo di Iago. E forse non ne vedremo un altro così. Coinvolgente e vero, come sono vere le emozioni che guidano l’istinto umano. Ambientato in uno spazio e in un luogo indefiniti per vocazione a voler essere un dramma universale. Dramma della gelosia, certamente. Ma dramma soprattutto della parola che sa trasformare la realtà che vediamo. A teatro tutto è finto e Iago dimostrerà come dalla falsità può emergere una strana verità.

Nella gerarchia dei poteri, Iago occupa lo scalino più basso. Ha davanti a sé la perfezione di Otello, stimato generale e felice amante ricambiato. Per invidia – o forse perché è puro male – sente la necessità di distruggere l’armonia dalla quale è escluso. E ci riesce, non solo per obbligo di tragedia. È puro male, è vero. Eppure nel teorema espresso dalla nuova traduzione, che aggiunge poesia a poesia pur nella riduzione del testo con una regia attenta a porre il giusto accento alle scene chiave, Iago è anche colui che porterà Otello a scoprire la realtà della natura di cui è fatto e che lo porterà a uccidere Desdemona. Iago conosce l’animo umano ruga per ruga, ne sa intercettare i movimenti più segreti. È regista, attore, drammaturgo e anche spettatore attento. Le parole di inganno e illusione che pronuncia saranno in grado di incidere e cambiare la realtà che si disvela davanti ai suoi occhi. Nella casualità di ciò che accade sarà bravo a trasformare un temporale in tempesta.

La perfezione è costruzione, artificio che va scoperto e smantellato. Ciò che appare armonico al fondo non lo è. Lo dimostra la scena disegnata da Marta Crisolini Malatesta. Una geometria simmetrica di edifici costantemente invasa da ombre proiettate e da riflessi che ne cambiano le proporzioni (le luci sono di Simone De Angelis). Ma anche il linguaggio dei costumi di Graziella Pepe. Tutte le attrici vestono panni maschili, tranne Emilia, il personaggio a cui è affidato lo svelamento della diabolica trama ordita dal marito Iago. Otello e Desdemona addirittura vestono allo stesso modo, come a dire che Iago va a colpire e a dividere la stessa persona e non due amanti. Insomma, domina la litote del “io non sono quello che sono”, le cose non sono così come appaiono. Un messaggio che mina le nostre certezze.

Menzione a parte merita Ilaria Genatiempo nel ruolo del protagonista. Un’attrice di una forza incredibile, quasi bestiale, dai sentimenti sinceri e dall’energia travolgente. Recitato da una donna (e da lei in particolare) il ruolo di Otello libera emozioni che altrimenti rimarrebbero sopite in un’interpretazione maschile. Non c’è il senso dell’onore da difendere. Non c’è da salvare la faccia davanti a sovrastrutture culturali. C’è il dolore vero, il vero sentimento di un’umanità offesa, tradita (dall’amante e dall’amico). Scorticata la carne della finzione, rimane la visione viva dell’osso della vita che muove le cose.

data di pubblicazione:10/02/2024


Il nostro voto:

L’AMMAZZO COL GAS

L’AMMAZZO COL GAS

UNA SKETCH COMEDY CON Gianni Ferreri e Danila Stalteri, regia e drammaturgia di Roberto D’Alessandro

(Teatro degli Audaci – Roma, 8/11 febbraio 2024)

Un forsennato ritmo comico per una coppia che scoppia. In un matrimonio c’è sempre qualcosa che non funziona. Attori e spettacolo collaudato, ritmi frenetici, cambi d’abito e di situazioni. Risate a volte crasse con l’allarme del politicamente corretto. In tempi di femminicidio la rivisitazione è d’obbligo.

La perfetta empatia attoriale tra gli interpreti è la chiave una serie di siparietti brillanti. A dimostrazione che il teatro leggero ha una sua precisa dignità e cifra. Dunque c’è una moglie sempre cangiante. Ricca e racchia, petulante, gelosa fino all’esasperazione. Sembra una commedia dalla parte degli uomini. Ma la risata non ha simpatie perché la sirena d’allarme censura le parole scabrose evitando però la cassazione sul titolo, ispirato a una scrittura antica. Copione funzionale con ricchezza di abiti e sfumature. Con Ferreri che si con cede un paio di recitazioni poetiche sul canovaccio dell’amore. La Stalteri nelle sue trasformazioni è quasi irriconoscibile in virtù di parrucche e colori mutevoli. Anche finti errori di scena vengono strumentalizzati ai fini delle gag. Comedy brillante in cui il turpiloquio non è mai osceno ma inevitabilmente rappresenta un’esca per applausi a scena aperta. Giusta alternativa al festival di Sanremo a cui viene inoltrata una virtuale sfida con la prima in un giorno cardine per la rassegna. La scena finale riconsegna al titolo. La moglie vieta al marito il giusto sonno e dunque non c’è altra situazione che ricorrere al gas. Naturalmente dopo aver trovato la via di fuga fuori di casa. Per gli spettatori un inevitabile riconoscimento nella temperie del matrimonio e della sua inevitabile routine. Il richiamo al sesso è inevitabile per qualche gag di grana più grossa. Amori calanti che fanno i conti con il vivere quotidiano e s’imbarcano in contrasti di varie portate.

data di pubblicazione:09/02/2024


Il nostro voto:

ROMA BANCO 24 di GabriellaSilvestri

ROMA BANCO 24 di GabriellaSilvestri

con Gabriella Silvestri e Valentina Marziali, aiuto regia Mariana Higuita Tamayo, direzione di scena Umberto Pischedda, luci Valerio Camelin, scene e costumi Area5lab – Produzione APS Teatro E

(Teatro De’ Servi – Roma, 6/18 febbraio 2024)

Duetto al femminile, madre/figlia. Antagoniste ma fino a un certo punto. I maschi stanno sullo sfondo. Negativi, usurai, violenti, sul fondale di un quartiere di una Roma degradato. Romanesco, sagace uso di parole forti. Un’antica professione (vero signora Warren?) che si riaffaccia. La protagonista a tratti sembra Anna Magnani, la ragazza dimostra i 17 anni della storia anche se rivela di essere molto più grande.

Un altro passo in avanti nel curriculum di Gabriella Silvestri. Assemblatrice del resto, regista e interprete. Popolana che si destreggia tra la poco redditizia gestione di un banco alimentare (tempi duri!) e il rimpianto accorato per il mestiere più antico del mondo. Però economicamente ha fatto il passo più lungo della gamba e, vedendosi rifiutato un mutuo dalla banca, ricorre ad autentici efferati strozzini. La figlia la contraddice continuamente e sembra aspirare solo al festeggiamento del compleanno che potrebbe farla riappacificare al suo ex, rivelando tutta la propria inesperienza nelle schermaglie amorose. Favola nera con sottofondi comici e scioglimento inaspettato che non riveleremo. Quando apre la valigia del mestiere, ricca di abiti provocanti e seducenti, per la passata disponibilità mercenaria, Silvestri quasi commuove nel tentativo di giustificare un mestiere che è anche apparizione, commedia, travestimento. Già, proprio come il teatro Quando si ubriaca e non è più cosciente, la figlia farà un gesto che risolverà la situazione dimostrando piena solidarietà per la sofferenza familiare. Confronto di generazioni e durezza della vita contemporanea. Un affresco riuscito. E la Silvestri è talmente padrona del dopo scena che si cimenta alla fine, dopo la prima, anche nel difficile esercizio, assai inconsueto e lodevole, di rispondere alle domande del pubblico. La pièce peraltro può significativamente funzionare anche fuori dai confini del raccordo anulare.

data di pubblicazione:07/02/2024


Il nostro voto: