SPOGLIA – TOY di Luciano Melchionna

SPOGLIA – TOY di Luciano Melchionna

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 16/ 26 maggio 2019)

Spogliatoi: undici calciatori sono pronti ad affrontare l’altra squadra. Il loro allenatore li richiama all’ordine e li ammonisce severamente: l’avversario che si nasconde nella mente è molto più temibile di quello che si incontra sul campo. Ogni giocatore sa che deve concentrarsi al massimo delle proprie forze per controllare lo stato emozionale e rendere sempre vivo il livello motivazionale. Ma in privato, lontano dai compagni, ognuno ha qualcosa da confessare…

  

Lo spettacolo di Luciano Melchionna porta il pubblico a curiosare dentro l’intimità di un luogo dove un team di calciatori si sta preparando ad affrontare la squadra avversaria. E così ci sentiamo tutti stipati in uno spazio claustrofobico quasi a contatto fisico con i corpi dei giocatori, che ci attraggono per la loro plasticità insieme all’incontestabile sensualità. Ma questi giocattoli nelle mani della gente che va ad ammirarli che cosa rappresentano nella realtà? Sicuramente sono i simboli di una società malata, che fa fatica ad arrancare nel quotidiano e nella quale si identificano quali divinità in un paradiso di perfezione e di potenza. Il calciatore di oggi racchiude in sé l’ideale di mascolinità che si manifesta sul campo attraverso quell’energia che viene emanata dai loro corpi in azione, una bellezza che stuzzica i sogni di tutti, uomini e donne, per dare spazio alla fantasia più sfrenata e intima nello stesso tempo. Nel privato poi ognuno ha la propria storia da raccontare, facendo trasparire immagini a volte fragili, impaurite, molto lontane dal personaggio, da quell’icona da venerare.

Lo spettacolo ci induce ad una riflessione che riguarda il modo in cui siamo stati forzati a realizzarci in maniera diversa da quello che veramente avremmo voluto essere. Un’imposizione patriarcale che ci vuole a tutti i costi con il pallone tra le gambe per fare di noi dei veri uomini mentre avremmo preferito dedicarci alla danza se non addirittura giocare con le bambole. Ed allora ci si chiede: a chi giova tutto questo se poi non possiamo essere noi stessi, con le nostre vere emozioni? Una amara considerazione che ci riporta sempre a quella domanda senza tempo se siamo veramente ciò che avremmo voluto essere.

Bravissimi i giovani attori/calciatori che ci ricordano quegli happening teatrali di una volta in cui arte e improvvisazione coinvolgevano il pubblico per lasciarlo attonito ma tutto sommato soddisfatto.

Spoglia – Toy è una produzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro, in collaborazione con Sportopera nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia.

data di pubblicazione:17/05/2019


Il nostro voto:

EVA VS EVA. La duplice valenza del femminile nell’immaginario occidentale, a cura di Andrea Bruciati – Massimo Osanna – Daniela Porro

EVA VS EVA. La duplice valenza del femminile nell’immaginario occidentale, a cura di Andrea Bruciati – Massimo Osanna – Daniela Porro

(Villa d’Este – Santuario di Ercole Vincitore – Tivoli, 10 maggio/1 novembre 2019)

Con un titolo che automaticamente ci rimanda al celebre film del 1950 che aveva come protagonista una splendida Bette Davis, è stata appena inaugurata una interessante mostra, grazie alla peculiare organizzazione del team composto dall’Istituto autonomo Villa Adriana e Villa d’Este – Villae, il Museo Nazionale Romano e il Parco Archeologico di Pompei, sulle molteplici sfaccettature dell’immagine femminile attraverso i secoli fino ai giorni nostri.

L’idea di base è quella di presentare la donna attraverso i due poli contrapposti del positivo e del negativo, del buono e del cattivo, per esaltare attraverso una serie di opere d’arte e reperti archeologici ciò che di ambiguo la caratterizza. IL percorso espositivo segue due diversi tracciati in due sedi diverse, Ville d’Este e l’Antiquarium del Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli, la cui complementarietà è segnata dagli splendidi giardini con fontane che collegano i due siti museali. Partendo dagli aspetti più deleteri dell’immaginario femminile, dove vengono evocate donne diaboliche e dissolute pronte a praticare il male attraverso le proprie arti magiche e seduttive, si passa poi alla rappresentazione più spirituale che la pone al centro dell’universo come unica fonte generatrice capace, donando la vita, di rinnovare l’umanità. Questa rappresentazione trova riscontro non solo attraverso importanti reperti provenienti da Pompei e da altri musei archeologici, ma anche attraverso espressioni proprie d’arte contemporanea fino ad arrivare alla cinematografia di oggi, strumento che è riuscito in qualche modo a plasmare e a rivoluzionare la perenne dicotomia della natura femminile sino a arrivare ai movimenti di liberazione per la difesa dei diritti. Un itinerario che ci fa scoprire la complessità del mondo femminile che ha ispirato e stimolato la fantasia di ogni uomo sino a suscitarne turbamenti e passioni, a volte d’amore a volte d’odio, ma pur sempre frutto di una forte emozione.

Attraverso una serie di figure mitologiche e storiche il visitatore non può fare a meno di pensare alle donne di oggi, per ritrovare attraverso la poliedricità dell’arte un messaggio universale.

Si consiglia la visita possibilmente in una giornata di sole, per gustare appieno la magnificenza dei giardini di Villa d’Este, capolavoro del Rinascimento italiano e patrimonio dell’UNESCO.

data di pubblicazione:12/05/2019

GIACOMO BALLA – Dal Futurismo astratto al Futurismo iconico, a cura di Fabio Benzi

GIACOMO BALLA – Dal Futurismo astratto al Futurismo iconico, a cura di Fabio Benzi

(Palazzo Merulana – Roma, 21 marzo/17 giugno 2019)

Dopo 5 anni di radicali interventi di ristrutturazione di ciò che era il vecchio Ufficio di Igiene, dal 2014 Palazzo Merulana è sede della Fondazione Elena e Claudio Cerasi che insieme a CoopCulture cura una ricca collezione d’arte essenzialmente riservata alle opere di artisti italiani del Novecento. Il tutto ha inizio nel 1985 con l’acquisto del quadro Piccoli Saltimbanchi di Antonio Donghi per poi proseguire con lavori della così detta “pittura tonale” degli anni Trenta sino alla corrente realista e espressionista che comprende Capogrossi, Mafai, Scipione, Trombadori, Pirandello e tanti altri ancora fino a completarsi con opere del primo Novecento da Balla a Sironi, da Campigli a Severini fino a Giorgio de Chirico divenuto il centro assoluto di interesse in particolare per una delle sue serie più significative: I bagni misteriosi. Accanto a questi artisti che costituiscono il fulcro dell’arte italiana del secolo scorso, in questi giorni e sino al 17 giugno, è in esposizione una serie di opere di Giacomo Balla del periodo futurista e post-futurista in cui trova rilievo il ritratto del pugile Primo Carnera, campione del mondo nel 1933. Il quadro venne dipinto sui due lati: da una parte è rappresentato un soggetto tipicamente futurista, Vaprofumo del 1926, attraverso quelle forme chiare che intendono suscitare le sensazioni olfattive di un flacone di profumo spezzando così la forma tradizionale ed il concetto stesso di dipinto e ampliando la percezione visiva attraverso un’altra dimensione; pochi anni dopo sul retro l’artista dipingeva un soggetto completamente diverso, vale a dire il ritratto di Carnera. Questo dipinto era ispirato ad una foto di Elio Luxardo pubblicata sulla Gazzetta dello Sport quando il pugile era diventato campione del mondo e la sua particolarità sta nella tecnica usata dall’artista consistente nell’applicare sul fondo della tela una rete metallica su cui poi egli dipinse, creando così un effetto di retinatura che ricorda quello prodotto dalle immagini a stampa dei giornali. Questa tecnica, che fu poi ripresa ad esempio dalla pop art americana (da Warhol a Lichtenstein), aprirà a Balla nuove prospettive ponendo le basi di una sorta di “avanguardia di massa” che, nata all’interno del futurismo, andrà poi oltre per sperimentare immagini che spesso si rifanno a soggetti della moda e del cinema di quel periodo. Il percorso riguarda quindi dipinti futuristi e quelli del periodo successivo mettendoli a raffronto con le immagini dei divi eseguite da grandi fotografi come Anton Giulio Bragaglia e Arturo Ghergo.

Mostra sicuramente da visitare anche per scoprire questo nuovo spazio museale romano il cui restauro, pur realizzato in una struttura antica, ha creato una serie di ambienti moderni e nello stesso tempo funzionali.

data di pubblicazione:05/05/2019

AUTOBIOGRAFIA EROTICA di Domenico Starnone, regia di Andrea De Rosa

AUTOBIOGRAFIA EROTICA di Domenico Starnone, regia di Andrea De Rosa

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 3/12 maggio 2019)

Aristide e Mariella si rivedono, su invito di lei, per rievocare il loro incontro di vent’anni prima a Ferrara e durato appena poche ore. Lui, che allora lavorava per una casa editrice, era andato a conoscere uno scrittore del quale Mariella, appena diciottenne, era la segretaria. Da quell’incontro occasionale i due, in preda ad una irrefrenabile attrazione, avevano consumato un rapporto sessuale vissuto ognuno in maniera del tutto diversa: Aristide lo aveva subito rimosso, anche perché era già sposato ed in procinto di diventare padre, mentre la giovane Mariella aveva fissato ogni minimo dettaglio essendo alla sua prima esperienza. Ma perché, questo nuovo incontro dopo tanto tempo? Un gioco erotico o un pretesto per far affiorare una realtà tenuta nascosta per tanti anni?

  

 

Sono passati vent’anni da quel fugace incontro ma Aristide e Mariella (Pier Giorgio Bellocchio e Vanessa Scalera) non hanno smesso di piacersi e le parole ora usate, senza tanti preamboli per rievocare quanto accaduto, sembrano giocare un ruolo determinante per risvegliare in loro quella passione imbarazzante, ma pur sempre vera, che li aveva travolti durante quel breve e unico rapporto sessuale. La scena è nuda e buia, ridotta all’essenziale, per far emergere le figure dei due: un uomo e una donna ed il loro vissuto che via via affiora dando spazio ad una realtà che si è cercato sino ad allora di nascondere e che ora prepotentemente vuole venir fuori.

Andrea De Rosa porta in scena il romanzo Autobiografia erotica di Aristide Gambìa, scritto da Domenico Starnone che ne ha curato anche l’adattamento per il teatro. I dialoghi tra i due protagonisti sono serrati, schietti e pregni di un linguaggio erotico, a tratti quasi osceno, da sbattere con violenza in faccia al pubblico per rivelare la natura di due esistenze a partire dalla loro età adolescenziale. Un rimbalzo di confessioni mai confessate, di sensazioni mai provate per ricomporre un’intimità consumata di fretta vent’anni prima, senza il tempo di gustare appieno il dopo.

Bellocchio mantiene sulla scena una interpretazione equilibrata ma al tempo stesso carica di sofferenza, dalla quale emerge un passato forse da dimenticare ma che ora si trasforma in una nuova passione nei confronti di questa donna che, appena conosciuta, aveva subito resuscitato in lui irrefrenabili tensioni erotiche. La Scalera di contro sembra mostrare più spregiudicatezza nell’utilizzo di espressioni decise che danno il giusto nome alle cose, senza ricorso ad alcuna ambiguità o falso pudore. Un duetto che funziona bene e non lascia tempo a tentennamenti o riflessioni superflue, per arrivare ad un finale privo di qualsiasi conclusione, semmai aperto ad ogni possibile soluzione, a cominciare dalla casa romana dove i due si incontrano: non è vuota ma segnala la presenza di una terza persona attraverso suoni inarticolati fuori campo, un sospiro o un lamento di una donna di cui nulla si sa e sulla quale si possono fare mille congetture…

data di pubblicazione:04/05/2019


Il nostro voto:

I FRATELLI SISTERS di Jacques Audiard, 2019

I FRATELLI SISTERS di Jacques Audiard, 2019

Il titolo di questo film, presentato in concorso al Festival di Venezia dello scorso anno, non è un ossimoro. Sisters è il cognome di Charlie e Eli, fratelli nella vita ma anche soci in affari. Ingaggiati dal Commodoro per scovare un uomo e eliminarlo, i due non si faranno troppi scrupoli ad uccidere chiunque voglia fermarli nel loro viaggio che dall’Oregon li porterà sino in California, sulle tracce di colui che pare abbia la formula chimica, o forse magica, per individuare i filoni d’oro.

 

Rimescolando gli stereotipi dei western di una volta, senza espresso riferimento né a quelli americani né tantomeno a quelli italiani portati al successo internazionale da Sergio Leone, il regista e sceneggiatore francese Jacques Audiard confeziona un film che è una vera e propria babele: tratto da un romanzo del canadese Patrick DeWitt ed ambientato nel 1850 in Oregon, ma girato in Spagna e Romania, è interpretato da attori americani del calibro di John C. Reilly, Joaquin Phoenix e Jake Gyllenhaal, nonché dal rapper britannico di origini pakistane Riz Ahmed; a tutto ciò si aggiunge l’impareggiabile tocco italiano della costumista Milena Canonero. Tutti ingredienti eterogenei che contribuiscono a creare alla perfezione una storia turbolenta di pistoleros senza scrupoli che, pur portando a termine una carneficina dietro l’altra, mantengono paradossalmente uno spirito profondamente umano.

Il regista ha dichiarato di non aver voluto realizzare un vero e proprio western, genere a lui più ostico che sconosciuto, quanto uno studio profondo sulle figure dei due fratelli ed il legame indissolubile che li unisce in ogni impresa. Se lo si vuole considerare come una metafora sulla disillusione dell’amore, in senso lato, forse un accostamento lo si potrebbe fare con il film The Missouri Breaks di Arthur Penn con Marlon Brando e Jack Nicholson, film crudo e sufficientemente cinico che non esalta gli eroi né si schiera favorevolmente con coloro che si pongono come difensori dell’ordine. I fratelli Sisters, nonostante le divergenze che portano Charlie a voler uccidere il Commodoro per impadronirsi del suo potere ed Eli a pensare ad una vita romantica, creandosi una famiglia ed aprire un negozio, non riusciranno mai a separarsi.

Il pluripremiato Jacques Audiard (Il profetaUn sapore di ruggine e ossaDheepan con cui vinse la Palma d’Oro a Cannes nel 2015) ci regala un western diverso, pieno di contraddizioni ma di tanto sentimento, quasi a dimostrarci che anche il più spietato dei cowboy ha un animo di tutto rispetto.

Premiato a Venezia con il Leone d’Argento per la Miglior Regia, il film ha riscosso enorme successo di pubblico e di critica riuscendo ad ottenere ben 9 candidature ai Cesar 2019 di cui 3 andate a segno: Miglior Regia, Miglior Fotografia e Miglior Scenografia.

data di pubblicazione:03/05/2019


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