AUTOBIOGRAFIA EROTICA di Domenico Starnone, regia di Andrea De Rosa

AUTOBIOGRAFIA EROTICA di Domenico Starnone, regia di Andrea De Rosa

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 3/12 maggio 2019)

Aristide e Mariella si rivedono, su invito di lei, per rievocare il loro incontro di vent’anni prima a Ferrara e durato appena poche ore. Lui, che allora lavorava per una casa editrice, era andato a conoscere uno scrittore del quale Mariella, appena diciottenne, era la segretaria. Da quell’incontro occasionale i due, in preda ad una irrefrenabile attrazione, avevano consumato un rapporto sessuale vissuto ognuno in maniera del tutto diversa: Aristide lo aveva subito rimosso, anche perché era già sposato ed in procinto di diventare padre, mentre la giovane Mariella aveva fissato ogni minimo dettaglio essendo alla sua prima esperienza. Ma perché, questo nuovo incontro dopo tanto tempo? Un gioco erotico o un pretesto per far affiorare una realtà tenuta nascosta per tanti anni?

  

 

Sono passati vent’anni da quel fugace incontro ma Aristide e Mariella (Pier Giorgio Bellocchio e Vanessa Scalera) non hanno smesso di piacersi e le parole ora usate, senza tanti preamboli per rievocare quanto accaduto, sembrano giocare un ruolo determinante per risvegliare in loro quella passione imbarazzante, ma pur sempre vera, che li aveva travolti durante quel breve e unico rapporto sessuale. La scena è nuda e buia, ridotta all’essenziale, per far emergere le figure dei due: un uomo e una donna ed il loro vissuto che via via affiora dando spazio ad una realtà che si è cercato sino ad allora di nascondere e che ora prepotentemente vuole venir fuori.

Andrea De Rosa porta in scena il romanzo Autobiografia erotica di Aristide Gambìa, scritto da Domenico Starnone che ne ha curato anche l’adattamento per il teatro. I dialoghi tra i due protagonisti sono serrati, schietti e pregni di un linguaggio erotico, a tratti quasi osceno, da sbattere con violenza in faccia al pubblico per rivelare la natura di due esistenze a partire dalla loro età adolescenziale. Un rimbalzo di confessioni mai confessate, di sensazioni mai provate per ricomporre un’intimità consumata di fretta vent’anni prima, senza il tempo di gustare appieno il dopo.

Bellocchio mantiene sulla scena una interpretazione equilibrata ma al tempo stesso carica di sofferenza, dalla quale emerge un passato forse da dimenticare ma che ora si trasforma in una nuova passione nei confronti di questa donna che, appena conosciuta, aveva subito resuscitato in lui irrefrenabili tensioni erotiche. La Scalera di contro sembra mostrare più spregiudicatezza nell’utilizzo di espressioni decise che danno il giusto nome alle cose, senza ricorso ad alcuna ambiguità o falso pudore. Un duetto che funziona bene e non lascia tempo a tentennamenti o riflessioni superflue, per arrivare ad un finale privo di qualsiasi conclusione, semmai aperto ad ogni possibile soluzione, a cominciare dalla casa romana dove i due si incontrano: non è vuota ma segnala la presenza di una terza persona attraverso suoni inarticolati fuori campo, un sospiro o un lamento di una donna di cui nulla si sa e sulla quale si possono fare mille congetture…

data di pubblicazione:04/05/2019


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I FRATELLI SISTERS di Jacques Audiard, 2019

I FRATELLI SISTERS di Jacques Audiard, 2019

Il titolo di questo film, presentato in concorso al Festival di Venezia dello scorso anno, non è un ossimoro. Sisters è il cognome di Charlie e Eli, fratelli nella vita ma anche soci in affari. Ingaggiati dal Commodoro per scovare un uomo e eliminarlo, i due non si faranno troppi scrupoli ad uccidere chiunque voglia fermarli nel loro viaggio che dall’Oregon li porterà sino in California, sulle tracce di colui che pare abbia la formula chimica, o forse magica, per individuare i filoni d’oro.

 

Rimescolando gli stereotipi dei western di una volta, senza espresso riferimento né a quelli americani né tantomeno a quelli italiani portati al successo internazionale da Sergio Leone, il regista e sceneggiatore francese Jacques Audiard confeziona un film che è una vera e propria babele: tratto da un romanzo del canadese Patrick DeWitt ed ambientato nel 1850 in Oregon, ma girato in Spagna e Romania, è interpretato da attori americani del calibro di John C. Reilly, Joaquin Phoenix e Jake Gyllenhaal, nonché dal rapper britannico di origini pakistane Riz Ahmed; a tutto ciò si aggiunge l’impareggiabile tocco italiano della costumista Milena Canonero. Tutti ingredienti eterogenei che contribuiscono a creare alla perfezione una storia turbolenta di pistoleros senza scrupoli che, pur portando a termine una carneficina dietro l’altra, mantengono paradossalmente uno spirito profondamente umano.

Il regista ha dichiarato di non aver voluto realizzare un vero e proprio western, genere a lui più ostico che sconosciuto, quanto uno studio profondo sulle figure dei due fratelli ed il legame indissolubile che li unisce in ogni impresa. Se lo si vuole considerare come una metafora sulla disillusione dell’amore, in senso lato, forse un accostamento lo si potrebbe fare con il film The Missouri Breaks di Arthur Penn con Marlon Brando e Jack Nicholson, film crudo e sufficientemente cinico che non esalta gli eroi né si schiera favorevolmente con coloro che si pongono come difensori dell’ordine. I fratelli Sisters, nonostante le divergenze che portano Charlie a voler uccidere il Commodoro per impadronirsi del suo potere ed Eli a pensare ad una vita romantica, creandosi una famiglia ed aprire un negozio, non riusciranno mai a separarsi.

Il pluripremiato Jacques Audiard (Il profetaUn sapore di ruggine e ossaDheepan con cui vinse la Palma d’Oro a Cannes nel 2015) ci regala un western diverso, pieno di contraddizioni ma di tanto sentimento, quasi a dimostrarci che anche il più spietato dei cowboy ha un animo di tutto rispetto.

Premiato a Venezia con il Leone d’Argento per la Miglior Regia, il film ha riscosso enorme successo di pubblico e di critica riuscendo ad ottenere ben 9 candidature ai Cesar 2019 di cui 3 andate a segno: Miglior Regia, Miglior Fotografia e Miglior Scenografia.

data di pubblicazione:03/05/2019


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IL PROFESSORE E IL PAZZO di P.B. Shemran, 2019

IL PROFESSORE E IL PAZZO di P.B. Shemran, 2019

Il prestigioso circolo di accademici della Oxford University Press nel 1879 affidò all’enciclopedico e autodidatta James Murray l’incarico di redigere il nuovo dizionario della lingua inglese: esso doveva comprendere tutte le parole d’uso corrente, la loro etimologia nonché le loro citazioni letterarie. Per affrontare l’immensa mole di lavoro a Murray non furono sufficienti i suoi assistenti e pertanto decise, facendo inserire dei volantini all’interno dei libri in vendita, di chiedere aiuto ai comuni lettori. Il più valente nonché decisivo collaboratore per la definizione dell’opera fu William Chester Minor, un chirurgo dell’esercito americano che era stato rinchiuso nel manicomio inglese di Broadmoor perché affetto da mania di persecuzione, in seguito all’omicidio avvenuto per errore di un modesto operaio.

  

Le vicende del Professor Murray e della sua collaborazione che sfociò in una singolare amicizia con il Dottor William Chester Minor, sono tratte da una storia vera raccontata nel romanzo del 1998 di Simon Winchester, di cui Mel Gibson acquistò i diritti per una trasposizione cinematografica e, a distanza di vent’anni da allora, arriva finalmente sul grande schermo Il Professore e il Pazzo per la regia di P.B. Shemran, alias Farhad Safinia, sceneggiatore e produttore di origine iraniana che aveva già collaborato alla regia di Apocalypto. Il fisico maturo e corpulento di Mel Gibson ben si adatta ad interpretare l’ambizioso Murray, egregiamente affiancato da Sean Penn, ritornato sulla scena dopo alcuni anni di assenza nel ruolo non facile ma decisamente a lui congeniale del folle Chester Minor, uomo oramai in preda ad allucinazioni perché tormentato nel fisico e nell’anima. Lo spettatore si trova a seguire due storie parallele che comunque hanno diversi punti di convergenza: da un lato la nascita del più prestigioso dizionario enciclopedico del mondo, l’Oxford English Dictionary, e dall’altro la travagliata quanto coinvolgente vita di un uomo oramai in preda alla pazzia, tormentato anche da sensi di colpa verso la moglie dell’operaio (Natalie Dormer) che per un tragico errore ha reso vedova e priva di ogni mezzo di sussistenza.

Il Professore e il pazzo è certamente un film di non facile realizzazione, che in alcuni momenti risulta eccessivamente ridondante e enfatico, ma che la bravura degli interpreti riesce a riscattare a tal punto da arrivare ad appassionare e a commuovere. L’eccezionalità del cast, tra cui troviamo grandi attori del calibro di Eddie Marsan e Steve Coogan, si deve soprattutto al duetto Gibson-Penn che qui si trovano uniti in una tale perfetta armonia, come a voler confermare quanto genialità e pazzia siano spesso condizioni complementari.

La storia certamente affascina anche per le scenografie e i costumi che rendono viva l’ambientazione passando dal claustrofobico scriptorium, dove tra migliaia di bigliettini e libri troverà forma la colossale opera, alle immagini dell’austero edificio del manicomio criminale dove Minor è rinchiuso. Il film, pur presentando qualche didascalia di troppo, si lascia vedere con la dovuta attenzione.

data di pubblicazione:28/04/2019


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MINNAZZA – MITI E PAGINE DI SICILIA con Leo Gullotta – Compagnia CASTALIA, drammaturgia e regia di Fabio Grossi

MINNAZZA – MITI E PAGINE DI SICILIA con Leo Gullotta – Compagnia CASTALIA, drammaturgia e regia di Fabio Grossi

(Teatro Arcobaleno – Roma, 26 – 27 e 28 aprile 2019)

Nel dialetto siciliano la “minnazza” è il grande seno che dà nutrimento e protezione, come la Grande Madre di Sicilia, che soccorre ma che sa anche punire ed essere spietata. Leo Gullotta, catanese doc, ci parla di sé e della sua terra così ricca di cultura e di contraddizioni da secoli oggetto di conquista e di sfruttamento, ma dove ognuno si sente felice per come è, senza aspirare ad alcun miglioramento perché, usando una citazione del Principe di Salina, “i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti, la loro vanità è più forte della loro miseria”.

  

In una carrellata di immagini e di suoni, un bravissimo Leo Gullotta ci intrattiene sulla sua terrazza virtuale per introdurci in quel caos che è la Sicilia dove ancora oggi, dopo secoli di dominazioni, si respira un’aria di generale intorpidimento ma anche di fervore culturale. Un piccolo itinerario tra miti e leggende dove la storia di quest’isola baciata dal sole ci fa capire come sofferenza e rassegnazione cedono sovente il passo all’ottimismo e alla voglia di riscatto sociale. Varie le citazioni letterarie che si susseguono su uno sfondo dai colori abbaglianti dove con prepotenza si inseriscono coloro che, osando, hanno sfidato la società per affermare i propri principi di libertà e di giustizia. Un’antologia di personaggi quali Tomasi di Lampedusa, Luigi Pirandello, Luigi Capuana, Andrea Camilleri, tanto per citarne alcuni, che affiancano i nomi di coloro che, vittime di mafia, hanno lasciato un segno nella storia come i giudici Falcone e Borsellino o il giornalista Pippo Fava. Leo Gullotta dà nuovamente prova di essere un grande attore e riesce a cambiare continuamente registro sulla scena facendoci assaporare momenti di puro divertimento alternati a momenti di pesante sconforto. Attimi di riflessione che riguardano una Sicilia di ieri, che a stento riesce ad inserirsi nel contesto di un’Italia finalmente unificata, e una di oggi, al centro di una rivoluzione sociale causata dalla migrazione di migliaia di profughi prevalentemente africani. Le immagini che si alternano sulla scena, attraverso alcuni video realizzati da Mimmo Verdesca con l’accompagnamento musicale del maestro Germano Mazzocchetti, ci presentano volti e situazioni inediti ai più e ci rivelano una realtà forse troppo dura da digerire. Leo Gullotta si conferma artista di grande ingegno e sensibilità, con una naturalezza che ci prende e sorprende ad ogni parola, usando espressioni che arrivano dirette al cuore senza bisogno di traduzione o interpretazione grazie anche ad una lingua di Sicilia aspra e tenera allo stesso tempo, che ci affascina e ci conquista per lasciarci in bocca il sapore del buono.

data di pubblicazione:27/04/2019


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CAFARNAO – CAOS E MIRACOLI di Nadine Labaki, 2019

CAFARNAO – CAOS E MIRACOLI di Nadine Labaki, 2019

Il dodicenne Zain vive con la numerosa famiglia in una baraccopoli di Beirut, costretto a svolgere lavori pesanti per guadagnarsi da vivere. Dopo che una sorella viene costretta dai genitori a sposarsi a soli 11 anni, il bambino fugge da casa per affrontare una lotta ancora più dura in un contesto spietato dove riesce a barcamenarsi grazie all’aiuto di una immigrante irregolare etiope. Arrestato e condannato per aver pugnalato l’uomo che ha causato, sposandola, la morte della sorella, Zain cita in giudizio i genitori per averlo messo al mondo, consapevoli di non potergli garantire né protezione né tantomeno affetto.

Al momento di ricevere il Premio della Giuria a Cannes nel 2018, la regista e sceneggiatrice libanese Nadine Labaki afferma qualcosa di inconfutabile: il cinema non è solo un mezzo per far divertire il pubblico ma spesso serve a farci riflettere su una realtà che non conosciamo o, peggio, che inconsciamente ignoriamo.

Il protagonista Zain (il giovanissimo attore siriano Zain Al Rafeea), davanti al giudice che lo interroga, giustifica la propria colpa e afferma con risolutezza che nella sua vita ha sempre cercato di diventare un uomo onesto e rispettabile, ma Dio e il contesto di degrado in cui vive non glielo hanno mai permesso. Una denuncia, la sua, verso i genitori che lui stesso porta in tribunale per averlo fatto nascere, incapaci persino di dargli una identità sociale e di occuparsi di lui e dei suoi numerosi fratelli.

Un film fragile e potente nello stesso tempo, un pugno sullo stomaco per tutti coloro che sottovalutano i problemi di molti bambini, emarginati e sfruttati da una società cieca, perché non vuole vedere il loro disagio, e sorda, perché non vuole ascoltare la loro richiesta di aiuto. La regista si è soffermata su alcuni aspetti della vita reale del suo Paese, che vengono fuori dai frequenti primi piani dei protagonisti e da dove, senza enfatizzazione e retorica, emerge una estrema sensibilità che non può che colpire e conquistare il pubblico. Un tema certamente attuale che non riguarda solo la realtà libanese ma di tutti quei paesi da dove la gente scappa per trovare un futuro migliore, un fuggire dalla violenza e dallo sfruttamento per ricadere spesso in un contesto simile dove non è assicurato il tanto agognato benessere.

Veramente toccante la recitazione dei vari personaggi coinvolti nella storia come quella di Yordanos Shiferaw nella parte dell’etiope Rahil e soprattutto quella del vero protagonista Zain, il cui volto riesce veramente ad esprimere la fierezza e la sofferenza di un bambino costretto dalle circostanze a diventare troppo presto un vero uomo, responsabile delle proprie scelte. Ambientazione molto accurata di un contesto suburbano, dove la gente è costretta a vivere in alloggi di fortuna tra sporcizia e malaffare, senza alcuna possibilità di riscatto per assicurarsi un’esistenza umana.

Dopo L’insulto del regista Ziad Doueiri del 2018, anche il libanese Cafarnao ha ottenuto quest’anno la nomination come miglior film straniero agli Oscar confermando a Nadine Labaki, al suo terzo film come regista dopo Caramel e E ora dove andiamo?, un meritato successo tanto da essere nominata Presidente della Giuria della Sezione Un Certain Reguard alla prossima edizione del Festival di Cannes 2019.

data di pubblicazione: 25/04/2019


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