da Rossano Giuppa | Nov 15, 2018
(Teatro Argentina – Roma, 13/19 novembre 2018)
Una rappresentazione corale e sociale per raccontare l’Italia vista nel suo disagio ma anche nella speranza di un possibile risorgimento. È Va Pensiero, il nuovo spettacolo del Teatro delle Albe, una drammaturgia di Marco Martinelli, che condivide l’ideazione e la regia con Ermanna Montanari, realizzato in coproduzione con ERT ed in scena al Teatro Argentina di Roma dal 13 al 19 novembre.
Il testo si ispira ad un fatto di cronaca: siamo all’inizio degli anni 2000 e un vigile urbano di una piccola città dell’Emilia Romagna si fa licenziare pur di mantenere la propria integrità di fronte agli intrecci di mafia, politica e imprenditoria collusa.
Un coro di attori ed un coro di voci (a Roma la Corale Polifonica Città di Anzio) che cambia in ogni contesto in cui lo spettacolo viene rappresentato, che testimoniano l’esigenza di far esplodere la voce del popolo, prigioniero di sottosistemi collusivi, di paure e di sfiducia nelle Istituzioni, che deve ritrovare la forza di rompere la rete che lo opprime. Ed il riferimento all’Italia risorgimentale ed all’opera di Verdi ed al Nabucco in particolare, con la sottomissione degli ebrei da parte dei babilonesi, conferisce alla narrazione una riflessione storica di spessore.
Un lunghissimo lavoro di ricerca, raccolta di testimonianze e documentazione partendo dalla vicenda di Donato Ungaro, l’ex vigile urbano di Brescello. Nella storia c’è un sindaco (Ermanna Montanari) che spesso ripete che la legge è sopra ogni cosa per poi mettere sopra la legge i suoi interessi personali. La Zarina, come viene definita dai suoi concittadini, ha vinto le elezioni diventando primo cittadino proprio come era il volere del padre, sindaco prima di lei. Vincenzo Benedetti (interpretato da Alessandro Argnani) torna in paese e diventa vigile urbano e giornalista mosso da nobili intenzioni, convinto dell’utilità e dell’importanza del suo lavoro. Si trova però a dover fronteggiare un sistema di poteri a lui sconosciuto.
Emergono così le losche figure dell’ufficio stampa del comune (Roberto Magnani), dell’imprenditore legato alla ‘ndrangheta (Ernesto Orrico), Rosario e Maria (Salvatore Carusoe Tonia Garante), gelatai in esilio per scappare alla camorra, un piccolo imprenditore locale (Alessandro Renda) che cambia idea di fronte ai soldi. Non tutti capiscono ciò che succede, oppure fanno finta di non vedere come la segretaria del sindaco (Laura Readaelli), o l’amico d’infanzia della Zarina (Gianni Parmiani) che non può credere alla presenza della mafia.
Un spaccato del sottobosco velato del nostro Paese, ma anche una speranza di presa di coscienza da parte di tutti per guardarsi dentro e ritrovare il senso delle parole giustizia e democrazia.
Va pensiero è anche una grande opera artistica: straordinari gli attori, le atmosfere, i tempi.
Il Teatro delle Albe evoca ancora una volta la cultura come portavoce di un dramma e di un dolore, portando sul palco la difficoltà o l’incapacità del popolo, per poi trasformarlo in coscienza e desiderio di rinascita.
data di pubblicazione:15/11/2018
Il nostro voto: 
da Rossano Giuppa | Nov 12, 2018
(Teatro India – Roma, 9/12 novembre 2018)
Un altro pezzo di storia contemporanea, ancora personaggi scomodi e difficili, portati in scena da Elvira Frosini e Daniele Timpano, Gli Sposi, Nicolae Ceausescu ed Elena Petrescu, capaci di soggiogare la Romania per più di vent’anni, ovvero il più sanguinario tiranno dei paesi del blocco comunista e sua moglie. Dittatori per caso, ignoranti ed arroganti, giustiziati davanti alle telecamere di tutto il mondo il 25 dicembre 1989.
Un racconto intimo e politico, Gli Sposi, buffo e crudo tratto da testo del drammaturgo francese David Lescot, rivisitato a modo loro dallo straordinario duo Frosini/Timpano ed in scena al teatro India dal 9 al 12 novembre.
Frontali davanti al pubblico, soli e costantemente in scena, sciorinano con impeto quella che è la propria storia e insieme a quella del paese che hanno devastato.
Un palco nudo, il vuoto della dittatura; solo due sedie e altrettanti microfoni per amplificare l’ascesa e la fine dei due protagonisti. Siamo in Romania, pochi anni dopo la Grande Guerra, quando il Movimento Legionario della Guardia di Ferro, di estrema destra ha preso il potere dopo la caduta dell’Impero asburgico. Al regime militare si contrappone il Partito Comunista Romeno, considerato illegale, nel quale il balbuziente giovane Ceausescu e l’operaia Petrescu militano attivamente.
Arrestato più volte, Ceausescu, incontra nel campo di concentramento Gheorghe Gheorghiu-Dej, un importante elemento del Partito Comunista, che lo sosterrà nella sua escalation gerarchica all’interno del partito negli anni che seguiranno e porteranno il socialismo al potere in Romania.
La coppia Ceasescu-Petrescu nel frattempo si sposa nel dicembre 1947.
L’uno parla dell’altra: si raccontano, si rintuzzano, a loro modo si amano, rivivono in scena dagli esordi rivoluzionari al consolidamento del potere.
Elena e Nicolae provengono entrambi dalla campagna, da famiglie semplici: lui è timido e balbuziente, lei studia i polimeri. Scelgono entrambi di militare nel partito comunista e concentrano pian piano nelle proprie mani ogni potere fino a divenire padroni assoluti del proprio paese. Sono goffi, mediocri, non hanno appeal eppure la loro ascesa è rapida e fatale. Incontrano i potenti del mondo e si costruiscono palazzi monumentali, acquistano lauree in chimica e riducono in povertà la popolazione romena. Sarà lei sarà la mente dell’ascesa al potere del suo compagno con la sua ambizione e sete di rivalsa.
Straordinari entrambi gli interpreti/registi nel raccontare la banale mediocrità di una coppia cinica e potentissima: storia di contraddizioni, di soprusi, di avidità tra canti socialisti e hit italiane tradotte in romeno, tra vita privata e incontri pubblici.
Una pièce tragica e ironica al tempo stesso, un testo drammaturgico che scorre con leggerezza fino alla fucilazione che li unisce per sempre, come da loro ultimo desiderio.
Un video mostra l’odierna Romania consumistica: il paese è finalmente libero e può aprirsi all’Occidente ma il mondo kitsch e patinato che ne viene fuori non è certo esaltante.
Un cronoracconto fatto di parole e movimento: il gesticolare convulso con la mano di Ceausescu, la sua balbuzie, l’influenza di una moglie inflessibile, i pugni socialisti levati al cielo, la fuga, tragicomica in elicottero e poi in macchina, fino alla cattura ed alla fucilazione, tutto evocato con rumori e piccoli gesti. L’analisi e la condanna della natura del potere, qualunque esso sia.
data di pubblicazione:12/11/2018
Il nostro voto: 
da Rossano Giuppa | Nov 8, 2018
(Teatro India – Roma, 30 ottobre/11 novembre 2018)
Emma Dante rilegge in chiave originale La scortecata, una delle novelle più celebri della raccolta de Lo cunto de li cunti scritta nel Seicento da Giambattista Basile, in scena al Teatro India dal 30 ottobre all’11 novembre, un capolavoro della tradizione letteraria italiana e mondiale. Una visione originale ed intima, decisamente distante dalla maestosa trasposizione cinematografica di Matteo Garrone ma egualmente efficace nel raccontare la fiaba amara di Basile.
La magia di Emma Dante sta nella scelta di un napoletano popolato di espressioni gergali, proverbi e slang popolari, in quella modalità narrativa ancestrale fatta di movimento, voce e gestualità secondo una macchina teatrale che ancora una volta sorprende e affascina.
É la storia di un re che si innamora della voce di un’anziana donna e ingannato dalla bellezza del suo dito mignolo mostratogli dal buco della serratura, invita l’anziana a trascorre una notte d’amore. L’anziana donna accetta ma cela il suo corpo deforme tra il buio della stanza e il bianco dell’enorme lenzuolo che copre, e insieme descrive il rapporto consumato tra i due. Scoperto l’inganno però il re si infuria con la donna e la butta dal balcone. La vecchia non muore ma resta appesa a un albero. Da lì passa una fata che le fa un incantesimo, diventata una bellissima giovane il re la prende con sé. L’incantesimo svanisce, il lieto fine non arriva e così la più giovane, novantenne, chiede alla sorella di scorticarla per far uscire, dalla pelle vecchia la pelle nuova ed essere, ancora, giovane e bella.
Quattro personaggi (il re, le due sorelle e la fata) per due attori, due uomini in uno spazio segnato da pochi arredi, con un castello in miniatura tra di loro. Due straordinari interpreti gli attori Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, con i loro corpi muscolosi e sudati in grado di rappresentare al meglio le movenze e le difficoltà fisiche due anziane. La forza e la profondità del racconto sta anche nelle due sedioline di legno, nella porta per terra, nel baule, quegli oggetti di un quotidiano passato che rendono vera e nostalgica la scena, così come la musica ancora una volta diversa ed alla fine perfetta.
Un forte epiteto sulla vanità, sul senso del ridicolo e sull’inganno dell’apparenza ma anche una riflessione più ampia sui meccanismi tribali della famiglia, sulla dolorosa vita degli emarginati, sull’accettazione dei segni del tempo.
“Me so’ stancat ‘e essere vecchia” dice la donna alla sorella, sua unica compagna nella casa tumulo in cui si sono seppellite.
Le due vecchie, stanche e sole, sembrano a malapena sopportarsi, ma hanno bisogno di tenersi per mano persino per sedersi e per far passare il tempo, nella loro miseria, inscenando ogni giorno la stessa storia.
Straordinario l’uso evocativo delle luci e degli oggetti di scena, unito alle capacità interpretative dei due attori, la forza del teatro di Emma Dante in grado di illudere con un’atmosfera relativamente leggera e comica, per poi stravolgerla senza preavviso per lo spettatore, trasformandola in un reale grottescamente bello.
data di pubblicazione:08/11/2018
Il nostro voto: 
da Rossano Giuppa | Ott 31, 2018
Un padre separato, premuroso e concentrato sulla figlia Sofia, anni 10 reincontra una sua vecchia fiamma che non vede da tempo. È il colpo di fulmine tra Gabriele (Fabio De Luigi) e Mara (Micaela Ramazzotti). Lui è proprietario di un negozio di strumenti musicali ed ex musicista che ha abbandonato il sogno di sfondare nel rock per prendersi cura della figlia Sofia (Caterina Sbaraglia), una bambina di 9 anni che in camera insieme ai peluches ha i poster di Deborah Harry. Lei fotografa affermata che viaggia in giro per il mondo, indipendente, single e senza nessun desiderio di maternità.
L’amore sembrerebbe trionfare ma c’è un grosso ostacolo da superare: lei non vuol sentire neanche parlare di bambini. Gabriele decide quindi di nasconderle la presenza di Sofia. L’impresa però non sarà per niente facile e Gabriele finisce per impelagarsi in un pasticcio di bugie e sotterfugi per nascondere la presenza dell’una all’altra.
Dopo Classe Z Guido Chiesa torna dietro alla macchina da presa per dirigere De Luigi e la Ramazzotti in Ti presento Sofia fortemente ispirato alla sceneggiatura del riuscito film argentino Sin Hijos, uscito in Italia col titolo Se permetti non parlarmi di bambini.
Chiesa, che firma la sceneggiatura con Nicoletta Micheli e Giovanni Bognetti, manifesta l’intento di provare andare al di là dei cliché con l’inversione dei ruoli tra l’uomo che rinuncia alla carriera per mettere la figlia al centro della propria vita e viceversa una donna che di figli non ne ha voglia non solo per dedicarsi appieno al lavoro, ma anche perché i bambini non li può sopportare.
Presentato quest’anno nella sezione Alice nella città all’interno della Festa del cinema di Roma, tra tante tematiche forti e dense, la pellicola di Guido Chiesa ha portato un po’ di leggerezza.
Il film è a tratti divertente, da domenica pomeriggio, la coppia di protagonisti funziona e Sofia, interpretata dalla bravissima Caterina Sbaraglia, per la prima volta sullo schermo, intenerisce anche per una naturale vis comica che le appartiene, ma risulta poco credibile quello che ruota attorno ai protagonisti. Un tocco grottesco ed ironico probabilmente avrebbe reso il film più interessante.
data di pubblicazione:31/10/2018
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da Rossano Giuppa | Ott 27, 2018
(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Alice nella città, 18/28 ottobre 2018)
Il fiore gemello è una rarità ed è un regalo della natura che non può essere separato. Fiore Gemello è la storia di due adolescenti presi a schiaffi dalla vita, che troveranno proprio l’uno nell’altro insieme la forza per riconquistare l’innocenza perduta. Anna, sedici anni è inseguita e minacciata e non riesce a parlare più. Basim è un immigrato clandestino ivoriano alla ricerca di pace e dignità. Insieme intraprendono un percorso che è di fuga e di crescita, di consapevolezza e di dolore ma anche di rinascita. E’ un viaggio anche dentro la natura acerba e misteriosa che protegge e accoglie.
Un immigrato africano clandestino e la figlia di un trafficante di migranti inseguita in maniera ossessiva dall’uomo per cui suo padre lavorava che si è invaghito di lei e la vuole ad ogni costo,si incontrano per caso. Anzi è lui che la protegge da alcuni bulletti. Entrambi sono in fuga dal male. Tutto intorno è più grande di loro. Ma bisogna sopravvivere, bisogna lavorare, bisogna trovare un luogo sicuro per dormire, bisogna proteggersi e bisogna crescere. Ad ogni costo anche attraverso la sofferenza. Non parlano la stessa lingua, vengono da mondi troppo diversi, ma l’affetto e l’amore che progressivamente li lega diventa la loro forza ed il loro futuro. Tutto ciò che accade intorno li aiuta a ritrovarsi e a credere l’uno nell’altro. Un sentiero doloroso che lascia intravedere la luce.
Laura Luchetti ha diretto il suo secondo lungometraggio, Fiore Gemello con un amore infinito trasformando una verità cosi attuale in poesia. Il film in concorso ad Alice nella città, si è aggiudicato già numerosi riconoscimenti, quali una menzione speciale al Toronto Film Festival 2018 e al Festival di Cannes. sarà presto in concorso anche ai BFI London e Busan International Film. La metafora di Anna e Basim (veramente unici i giovanissimi attori Anastasiya Bogach e Kalill Kone), accomunati da uno stesso destino è un percorso di dolore e di rinascita: scopriranno di appartenere allo stesso bulbo e di essere inscindibili, nonostante il passato tormentato ed il futuro incerto accompagnati da una Sardegna bellissima, ancora incontaminata ed impervia che rende la storia ancora più sospesa e magica, evocativa e mistica.
data di pubblicazione:27/10/2018

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