IL SINDACO DEL RIONE SANITÁ di Eduardo De Filippo regia di Mario Martone

IL SINDACO DEL RIONE SANITÁ di Eduardo De Filippo regia di Mario Martone

(Teatro Argentina–Roma, 17/29 aprile 2018)

Intensa e toccantela versione proposta daMario Martone de Il sindaco del rione Sanità, di Eduardo de Filippo, in scena al Teatro Argentina dal 17 al 29 aprile. Una prima volta per Martone nel teatro di Eduardo, secondo un progetto che associa il Teatro Stabile di Torino, la Elledieffe, compagnia indipendente che porta il nome di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi ed il NEST – Napoli Est Teatro di San Giovanni a Teduccio, uno dei quartieri più popolari e difficili di Napoli, dove un gruppo di giovani, attori, registi, scenografi e drammaturghi hanno ristrutturato una palestra e creato uno spazio per le arti. 

Scritta nel 1960, Il sindaco del Rione Sanità è una commedia in tre atti inserita dall’autore nella raccolta Cantata dei giorni dispari ed anche interpretata da Eduardo De Filippo. Il protagonista, Antonio Barracano (Francesco Di Leva), è “il sindaco” della Sanità. Qui amministra da signorotto illuminato le problematiche del rione, secondo principi da “uomo d’onore” decisamente borderline rispetto alla legge, ma certamente efficaci. Si avvale dell’aiuto di Fabio Della Ragione (Giovanni Ludeno), un medico che cura clandestinamente i feriti da sparatorie e regolamenti di conti che avvengono nel quartiere. Chi non ha santi e protettori si rivolge a da Don Antonio da sempre. Quando però gli si presenta disperato Rafiluccio Santaniello (Salvatore Presutto), il figlio del fornaio, deciso ad ammazzare il padre Arturo (Massimiliano Gallo), Don Antonio, cogliendo nel giovane la stessa determinazione che lo spinse all’omicidio in gioventù, si propone come mediatore finendo poi col pagare tragicamente di persona il suo intervento.

Antonio Barracano è certamente un padre-padrone, ma è anche un predicatore, unico punto di riferimento per una comunità di disperati cui trasferire principi di giustizia e convivenza non sempre ortodossi ma nella sostanza egualitari. Una commedia con una forte connotazione sociale che Martone traspone ai nostri giorni arricchendolo di quella complessità che oggi caratterizza le attuali generazioni, abbastanza distanti da quelle raccontate da Eduardo.

Uno spettacolo denso e personale nel rispetto assoluto del testo ma in un contesto che amplifica le contraddizioni di oggi, tra rapper con felpa e cappuccio in testa ad agguati violenti nel quartiere per costruirsi inutili identità, ad una casa fatta di cristalli, plexiglas e acciaio, nella quale vanno e vengono individui palestrati, dove un tavolo può trasformarsi in un lettino sul quale operare in segreto, popolata da una famiglia allargata, nella quale i pranzi si alternano a processioni di questuanti del quartiere. Qui regna il giovane e forte Don Antonio, apparentemente immortale, che poi paradossalmente soccombe per una buona azione.

Uno spettacolo che spiazza e cattura, dove tutto ha un senso e che ha il proprio punto di forza nelle sonorità e gestualità proposte, espressione fedele del degrado metropolitano di oggi, per una visione intelligente e lucida di un testo che ancora di più si riesce ad apprezzare nella sua essenza e rigore. Da non perdere.

data di pubblicazione:23/04/2018


Il nostro voto:

SCENDI GIÙ PER TOLEDO di Giuseppe Patroni Griffi, regia di Arturo Cirillo

SCENDI GIÙ PER TOLEDO di Giuseppe Patroni Griffi, regia di Arturo Cirillo

Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 11/29 aprile 2018)

In scena al Piccolo Eliseo fino al 29 aprile il romanzo Scendi giù per Toledo, scritto nel 1975 da Giuseppe Patroni Griffi, che racconta la vita di Rosalinda Sprint, travestito napoletano alla disperata ricerca dell’amore, per la regia di Arturo Cirillo, qui anche interprete del monologo.

Rosalinda è l’urlo doloroso e disperato di una vita estrema e sofferta, segnata da incontri infelici, da sogni irrealizzati, da candore misto alla violenza ed all’ipocrisia del modello maschile con cui si confronta. Uomini egoisti capaci solo di abusare e di sopraffare, da cui Rosalinda prova ad allontanarsi per cercare una nuova vita sia essa vera o immaginaria in Inghilterra, scoprendo con delusione che quelle scogliere di Dover non sono poi così bianche come descritte e immaginate. Come in fondo non lo è la vita perchénulla mai è come te lo immagini”.

Precorritrice della Jennifer di Ruccello, Rosalinda Sprint attraversa gli umori e gli attriti della città di Napoli, qui più che mai diventata un non luogo, in qualche modo immaginato e costruito.

Un testo coraggioso e forte che racconta il mondo dei travestiti napoletani, uno spaccato corale coordinato dalla presenza e dalla storia di Rosalinda Sprint attorno alla quale ruotano personaggi che si chiamano Marlene Dietrich, Baronessa, Maria Callas, Viacolvento, che affronta a viso aperto, un sottobosco velato con sincerità e ironia.

È un mondo vile, litigioso, sfacciato a volte anche solidale che si contrappone alla violenza ed alla crudeltà dell’universo maschile; l’amore di un uomo resta il sogno irrisolto di Rosalinda, segnato da infelici incontri prima con Gaetano con il quale per un tempo brevissimo crede di poter trovare una possibile felicità e che poi si rivelerà di una crudeltà feroce o del cugino con cui fa sesso il giorno dei funerali del padre.

Una scrittura, quella di Patroni Griffi, musicale e fisica, che saltella tra la prima e la terza persona. Un flusso di parole, un tango di dolore, un folleggiare tra la vita e la morte, ma un urlo di chi vuole vivere e non morire.

Spettacolo forte che cattura grazie ad una interpretazione esperta, forse un po’ datata, che lascia perplessi, rivolta come è al passato senza un reale raffronto con il mondo di sotto, quello delle vite sospese dei transessuali di oggi.

data di pubblicazione: 17/04/2018


Il nostro voto:

 

DELITTO E CASTIGO di Fëdor Dostoevskij, regia di Konstantin Bogomolov

DELITTO E CASTIGO di Fëdor Dostoevskij, regia di Konstantin Bogomolov

(Teatro Argentina – Roma, 3/15 aprile 2018)

Dal 3 al 15 aprile sul palcoscenico del Teatro Argentina in scena Delitto e Castigo,l’opera di Fedor Dostoevskijcon la regiadel moscovita Konstantin Bogomolov, uno tra i più giovani ed autorevoli talenti della scena russa. L’opera letteraria già frutto nel tempo di innumerevoli adattamenti teatrali, è qui ricondotta ad una dimensione contemporanea.

Il punto di partenza è il romanzo di Dostoevskij, ambientato a Pietroburgo in una calda estate, che narra la vicenda di un duplice omicidio commesso per la brama di denaro del protagonista e di come per l’espiazione di questa pena sia necessario percorrere la lunga via della sofferenza. Di stampo apertamente cattolico, il romanzo si pone così in rapporto moralistico con il lettore, rafforzando il credo religioso ed esistenzialista dello scrittore.

Ma il dubbio se sia giusto o meno uccidere non è più un argomento così attuale, non fa più notizia; ciò dipende dal modo in cui la nostra società si è evoluta e si sta evolvendo. Nella sua versione Bogomolov parte diretto senza la preoccupazione di un eventuale giudizio, inserendo la vicenda raccontata da Dostoevskij in un salotto stile anni Sessanta, dove sono presenti un grosso divano giallo, due poltrone di lato, tre schermi televisivi alle spalle, un grande comò in fondo a destra. I personaggi vengono totalmente stravolti e lo spettatore è costretto ad abbandonare da subito l’immaginario oscuro della San Pietroburgo del romanzo. Il protagonista non è più un giovane intellettuale incapace di adeguarsi alle regole imposte dalla società russa ottocentesca, bensì un robusto immigrato africano, indolente e privo di qualsiasi ideologia, che si macchia dell’assassinio di una donna bianca e di sua figlia.

Raskol’nikov infatti commette il cruento atto senza pensarci più di tanto e nemmeno dopo, nell’interessante relazione che costruirà con Sonya Marmeladova, avrà modo di riflettere e pentirsi, anzi andrà a costituirsi solo perché lo convincerà lei, prostituta per necessità ma con un forte attaccamento religioso.

Naturalmente sono nere anche la sorella e la mamma di Raskol’nikov mentre Sonja è, anche qui, una prostituta che cerca di persuadere il protagonista a convertirsi al cristianesimo, mentre il poliziotto è presentato come un soggetto scaltro ed erotomane capace di chiudere un occhio coi delinquenti basta che assecondino i suoi piaceri.

L’inizio è folgorante: atmosfere rapsoftporno a metà strada tra Pulp Fiction e le sit-com americane, tra manichini, travestimenti, simulazioni, rumori fuori scena. Parte poi invece la narrazione affidata ai personaggi del romanzo ed alle caratteristiche degli attori, con tanti momenti a forte impatto emotivo in cui la trama si dipana e la vicenda si consuma.

È un racconto torbido, a volte distaccato, freddo, doloroso, a momenti angosciante, ma anche delicato e intimo. Resta centrale il senso del testo di Dostoevskij e cioè se sia giusto o meno uccidere quando la vittima è una persona squallida e abietta come un’usuraia, e di conseguenza, se in tal caso, siano necessari il castigo e la pena.

Il cast, tutto italiano, è composto da bravissimi attori: Leonardo Lidi nei panni di Raskol’nikov, Paolo Musio in quelli del pubblico ministero Porfirij Petrovič, e poi Anna Amadori, Margherita Laterza, Marco Cacciola, Diana Höbel, Renata Palminiello e Enzo Vetrano.

Il testo dell’autore russo è stato riadattato e ricomposto dallo stesso regista che si accosta a Dostoesvkij con leggerezza e ironia, creando forse scalpore in qualcuno, ma enfatizzando il confronto con il nostro tempo e con quello che il quotidiano oggi ci offre.

data di pubblicazione: 10/4/2018


Il nostro voto:

CIRCUS DON CHISCIOTTE regia di Ruggero Cappuccio

CIRCUS DON CHISCIOTTE regia di Ruggero Cappuccio

(Teatro Eliseo – Roma, 3/22 aprile 2018)

Torna a Roma Ruggero Cappuccio e il suo virtuoso circolo di attori e collaboratori con Circus Don Chisciotte, uno spettacolo che narra le vicende di Michele Cervante (interpretato dallo stesso Ruggero Cappuccio), professore universitario in pensione ed in fuga dalle convenzioni, presunto discendente dell’autore del Don Chisciotte della Mancia, preda di un mistico vagabondaggio che è anche una sua forma di rivolta nei confronti dell’esasperazione tecnologica che disumanizzando il mondo.

Gravita nei pressi di una stazione ferroviaria abbandonata, a stretto ridosso della Napoli di oggi, con il suo fardello di libri e di saggezza da salvare ad ogni costo. In una delle sue peregrinazioni notturne incrocia un sempliciotto, anch’esso di fatto dissociato dal contesto cittadino, che diventerà suo scudiero e a cui darà il Santo Panza (Giovanni Esposito). Tra i due nasce un rapporto di amicizia fatto di curiosità e di disagio reciproco, di lucidità e fantasia, di saggezza e leggerezza, che li unisce nella lotta a quel progresso che sta soffocando la spiritualità dell’uomo.

In realtà la stazione non è completamente abbandonata, è di certo ingiallita dalle luci al sodio (bellissima la scenografia di Nicola Rubertelli ed il disegno luci di Nadia Baldi) come le pagine dei suoi vecchi libri, ma pian piano si popola di stravaganti presenze, traghettate da un vagone fantasma che viene e va. I nuovi arrivati hanno anch’essi un vissuto sospeso tra disagio sociale e costrutti aulici: due ex ristoratori (Ciro Damiano e Gea Martire), un prestigiatore della provincia veneta (Giulio Cancelli) e una principessa siciliana (Marina Sorrenti). Con essi il professor Cervante e Santo Panza condivideranno un progetto di pacifica rivoluzione contro il deterioramento sociale, politico, strutturale, che si baserà su quanto riportato da Philip Roth, Luis Sepulveda, Daniel Pennac, Amos Oz ed in tutti quei vecchi libri che faranno da ponte di passaggio verso la riaffermazione dell’essenza spirituale dell’umanità.

Una metafora molto forte sul ruolo della cultura quale unico paradigma di riferimento, un testo colto e divertente basato su un efficace uso della lingua e dei differenti dialetti, una macchina teatrale che provoca applausi e risate, spensierate ed amare, grazie ad una prova attoriale forte e nitida, per uno spaccato quanto mai attuale, su cui riflettere profondamente.

data di pubblicazione:06/04/2018


Il nostro voto:

GIURAMENTI – TEATRO VALDOCA

GIURAMENTI – TEATRO VALDOCA

(Teatro Vascello – Roma, 21/25 marzo 2018)

È tornato in scena al Teatro Vascello di Roma, dal 21 al 25 marzo 2018, il Teatro Valdoca con lo spettacolo GiuramentiIl Teatro Valdoca, nato nel 1983 a Cesena, dal sodalizio fra il regista Cesare Ronconi e la poetessa e drammaturga Mariangela Gualtieri, ha da sempre perseguito con rigore e raffinatezza una propria ricerca sul lavoro d’attore, creando spettacoli corali, in una scrittura scenica che fonde danza, arti visive e musica dal vivo.

Con Giuramenti il regista Cesare Ronconi riparte da una piccola comunità di giovani attori e danzatori per attivare le dinamiche pedagogiche e spettacolari proprie del Teatro Valdoca.

Lo spettacolo si sviluppa su una liturgia lirica che alterna brani cantati, brani recitati, brani danzati in cui il movimento produce una partitura di suoni prodotti da percussioni, bastoni di legno, anelli di metallo mentre sul fondo, un grande specchio concavo restituisce ribaltata la visione frontale dello spettatore. Al centro di questa struttura un movimento continuo, una comunità temporanea e solidale, che non usa la narrazione ma la poesia.

Un viaggio a ritroso nel tempo per poter poi interrogare il presente, indagare i corpi e i sentimenti di chi oggi ha vent’anni e guarda il mondo esterno e i suoi conflitti, la sua bellezza, le sue incoerenze.

Dodici giovani interpreti che raccontano un coro in movimento, fluido e vitale e che gridano in faccia al mondo la propria inquietudine, l’amore, l’ardore, o sussurrano un sapere antico ed enigmatico. E dal coro si distaccano poi singolarmente coi loro racconti intensi e delicati che richiamano il rapporto primordiale tra l’uomo e la natura, oggi quasi dimenticato e sopraffatto dalla tecnologia. L’invito che fa la compagnia cesenate al pubblico, alla fine, è questo: va riscoperto il movimento del corpo e della mente, l’incanto della parola detta e non scritta.

Uno spettacolo empatico e in controtempo, arcaico per certi versi. I giovanissimi interpreti danno allo spettacolo un sapore acerbo e tribale, non carico di colpi ma d’effetto a motivo di un’impalcatura narrativa non chiara, ma che poi si traduce in un mantra inquieto e crescente che alla fine tocca le corde più intime di chi lo ascolta.

data di pubblicazione: 26/3/2018


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