RE LEAR di William Shakespeare, regia di Giorgio Barberio Corsetti

RE LEAR di William Shakespeare, regia di Giorgio Barberio Corsetti

(Teatro Argentina – Roma, 21 novembre/10 dicembre 2017)

Dal 21 novembre al 10 dicembre al Teatro Argentina, in prima nazionale, ha debuttato il nuovo allestimento di Re Leardi William Shakespeare, la tragedia del potere, per la regia di Giorgio Barberio Corsetti con protagonista Ennio Fantastichini.

Corsetti ha ideato una sinfonia dolorosa e infernale che parte dalla prova d’amore pretesa da un Re alle sue tre figlie e culmina, in un crescendo delirante, nella distruzione di un regno spazzato via dall’odio e dalla sopraffazione, in cui i pochi superstiti sono chiamati a tentare una ricostruzione in vista di un futuro possibile. È la storia di un regno, di legami politici, accordi finanziari e guerre e di una famiglia divisa e distrutta dall’avidità e dall’ambizione.

Ad inizio alla rappresentazione un video in diretta: voci, corpi, urla, risate, un festino decadente che anticipa la tragedia. Lear, potente re di Britannia, stanco del peso della corona, consapevole che la vecchiaia e la morte sono irrimediabilmente vicine cede il proprio regno alle giovani figlie, sperando di godersi ricchezze e feste confidando nell’ospitalità delle proprie figlie. Vuole ritrovare la giovinezza perduta, abbandonare le cure del regno, il peso delle responsabilità, poter vagare con i suoi cavalieri da un palazzo all’altro, fare bagordi e occuparsi solo del proprio piacere.

Lear pensa di poter essere amato perché sta regalando il potere, ritenendo che il sentimento delle figlie sia una garanzia, un investimento che gli permetterà di vivere spensierato la sua vecchiaia.

Quel Lear pieno di se e padrone del mondo spartisce così il proprio regno tra le figlie Goneril e Regan, mentre Cordelia la figlia più piccola viene allontanata e diseredata. Goneril e Regan priveranno il padre di ogni amore, di ogni rispetto, negandogli sostegno economico e affettivo, trattandolo come un vecchio pazzo.

In realtà è l’epilogo di un uomo che vede frantumarsi i legami familiari fino alla morte. Diventerà pazzo, cominciando a girare per il regno, in preda a deliri sempre più violenti, accompagnato da un pazzo per finta e sostenuto dalla fedele amicizia di Gloucester, altro uomo e padre, ferito e tradito.

Giorgio Barberio Corsetti ha voluto portare Lear ai nostri giorni, cercando di creare un ponte tra passato e presente attraverso un linguaggio moderno e l’impiego della tecnologia. Un linguaggio però che non aggiunge nulla al testo, finendo per sminuire la bellezza e la drammaticità della poetica shakespeariana.

La regia punta a stupire con effetti visivi e sonori e accenti esasperati, ponendo in secondo piano la poesia, il cuore e le emozioni. La scenografia è imponente ed efficace, così come i costumi, moderni e dai colori decisi.

Rimane comunque il forte impatto scenico: il dramma delle due famiglie, Lear e Gloucester, la tempesta, la fuga, la follia, la natura che si confonde con la mente, i complotti, i tranelli, le guerre sono momenti e luoghi fisici e interiori, reali e allucinati.

La tragedia esistenziale è devastante, ma di fronte a tanto male e tanta efferatezza si intravede una speranza: lealtà e fedeltà, rispetto così come la pietà e la compassione, rappresentano ciò che alla fine rimane e dà speranza.

data di pubblicazione:06/12/2017


Il nostro voto:

LE SORELLE MATERASSI di Aldo Palazzeschi, adattamento di Ugo Chiti e regia di Geppy Gleijeses

LE SORELLE MATERASSI di Aldo Palazzeschi, adattamento di Ugo Chiti e regia di Geppy Gleijeses

(Teatro Quirino – Roma, 21 novembre/3 dicembre 2017)

Torna in teatro Le Sorelle Materassi, tratto dal celebre romanzo di Aldo Palazzeschi, nel libero adattamento di Ugo Chiti e con la regia di Geppy Gleijeses, al Teatro Quirino di Roma dal 21 novembre al 3 dicembre 2017.

Tre grandissime attrici, Lucia Poli, Milena Vukotic e Marilù Prati, vestono i panni delle tre Sorelle Materassi che vivono cucendo corredi da sposa e biancheria di lusso per la benestante borghesia fiorentina, nel sobborgo di Firenze Coverciano. Accanto a loro, la fidata governante Niobe (la bravissima Sandra Garuglieri).

Tutto sembra scorrere secondo una lenta e stanca routine quotidiana, quando irrompe nella loro vita il giovane, bello e intraprendente nipote Remo (Gabriele Anagni), figlio di una quarta sorella morta, la cui attitudine all’ozio, alla vita dissoluta e allo sperpero sarà la causa della rovina economica della famiglia.

Rancori e rivalità femminili vengono a galla mentre la vita tranquilla delle tre sorelle viene sconvolta; Teresa e Caterina da un lato subiscono passivamente il fascino del nipote e finiscono per accontentarlo in ogni cosa mentre la minore Giselda, con rabbia e forza inascoltate condanna i comportamenti dissoluti di Remo.

Una piacevolissima versione teatrale che ricorda lo storico e straordinario sceneggiato TV del 1972 con Sarah Ferrati, Rina Morelli, Nora Ricci, Ave Ninchi nella parte di Niobe ed un giovanissimo Giuseppe Pambieri.

Un mondo di donne sole anziane e zitelle, un mondo di situazioni non risolte, desideri nascosti, invidie, gelosie, competizione, insomma amore e odio, una rivalità che si acuisce con l’arrivo del ragazzo: uomo giovane, desiderabile, che suscita nelle donne anche inconfessabili desideri erotici.

Bello, pieno di vita, spiritoso, il giovane attira subito le attenzioni e le cure delle donne i cui sentimenti parevano addormentati; si rende conto di essere l’oggetto di una predilezione venata di inconsapevole sensualità e approfitta della situazione ottenendo immediata soddisfazione a tutti i suoi desideri e a tutti i suoi capricci. A poco a poco Teresa e Carolina spendono tutti i loro risparmi per soddisfare le crescenti esigenze del nipote, poi iniziano a indebitarsi e infine sono costrette a mettere in vendita la casa e i terreni che avevano ereditato dal padre.

Una discesa negli inferi e nei debiti che dopo il matrimonio del nipote ed il suo trasferimento in America lascia nella solitudine le donne che si affidano al ricordo per dare un senso agli ultimi giorni che hanno davanti.

Una commedia amara che strappa sorrisi e applausi per le convincenti interpretazioni delle attrici in scena.

data di pubblicazione:26/11/2017


Il nostro voto:

ROMA EUROPA FESTIVAL Les Particules élémentaires – regia di Julien Gosselin

ROMA EUROPA FESTIVAL Les Particules élémentaires – regia di Julien Gosselin

(Teatro Vascello – Roma, 18/19 novembre 2017)

Tra i più attesi debutti del Romaeuropa Festival 2017, il 18 e 19 Novembre al Teatro Vascello è andato in scena, per la regia di Julien Gosselin  assieme alla sua compagnia Si vous pouviez lécher mon cœur, Les Particules élémentaires ( Le particelle elementari), adattamento teatrale del celebre e controverso romanzo di Michel Houellebecq.

Interessantissima ed ambiziosa trasposizione proposta dal giovanissimo regista e dalla sua compagnia per un teatro assoluto e innovativo capace interpretare  un romanzo alquanto complesso ed apocalittico, tra i più discussi della letteratura contemporanea.

Dieci attori da subito protagonisti della scena pronti ad assumere il ruolo dei personaggi del romanzo, ma anche di commentatori, narratori e musicisti tra chitarre elettriche e spaccati video live.  Oltre tre ore di racconto per attraversare un secolo, dal 1968 al 2079 a cavallo del presente, attraverso le vicende di due fratellastri Michel Djerzinski, biologo molecolare, che vanta una carriera ricca di soddisfazioni professionali ma che poi decide di abbandonare a soli quarant’anni, afflitto anche da una vita privata inesistente e della sua incapacità di amare e Bruno Clèrment fratello per parte di madre, anch’esso abbandonato dai genitori e cresciuto dai nonni fino alla loro morte ed essere poi trasferito in collegio dove diventa vittima dei compagni più grandi. I due si incontrano e finiscono per frequentare lo stesso liceo. La narrazione prosegue con balzi temporali che passano dai contesti hippy degli anni della contestazione fino alle comunità new age di fine secolo. Le loro storie si intrecciano fatalmente e disperatamente con quelle di due donne, Annabelle e Christiane, destinate entrambe a conclusioni amare e senza speranza.

Nell’epilogo infine viene spiegato come le scoperte di Djerzinski abbiano poi portato alla creazione di un nuovo genere umano, geneticamente esente dai difetti del vecchio, voluto proprio da quel genere in via di estinzione, che non conosce la sofferenza e la brutalità, asetticamente orientato a perseguire il bello.

La storia già di per sé molto articolata è raccontata attraverso un ricchissimo vocabolario scenico, grazie al talento del regista che utilizza la lingua dell’autore stessa per tradurla nel linguaggio del teatro. Bruno e Michel, il primo costantemente alla ricerca dell’amore, il secondo da esso terrorizzato, sono il punto di partenza per un ritratto spietato della società occidentale post ‘68 tra ironia e idealismo, sesso e tabù, discoteche e lezioni di yoga, cinismo e furiosa poesia.

E il pubblico viene immediatamente investito da un diluvio di parole, di suoni, di immagini in un flusso ininterrotto, soggiogato dai piani racconto, da sovrapposizioni e modalità comunicative, dalla musica dal vivo, dallo sdoppiamento degli attori in video e dalla grafica proiettata, dai bruschi cambi di luce, sostenuti da una recitazione forte e penetrante cha va dal registro aspro  e urlato al filtro dimesso dell’intimità e della confessione, mentre la storia ed i cambiamenti sociali ed epocali avanzano senza tregua.

“Il mio teatro è plastico, è un concerto, è un’installazione, è letteratura. Gesto, attori, spazio, testo… utilizzo tutto ciò che è in mio possesso, ponendolo sullo stesso piano, con lo scopo di dar vita ad uno spettacolo il più potente possibile”.

Un’esperienza fortissima che scuote e insegna per uno spettacolo straordinario che non conosce calo di tensione e di emozione.

data di pubblicazione:25/11/2017


Il nostro voto:

COPENAGHEN di Michael Frayn, regia Mauro Avogadro

COPENAGHEN di Michael Frayn, regia Mauro Avogadro

(Teatro Argentina, Roma 24 ottobre/12 novembre 2017)

Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice hanno riportato al Teatro Argentina di Roma una delle produzioni più importanti di Emilia Romagna Teatro, Copenaghen. Lo spettacolo, prodotto nel 1999 dal circuito emiliano, mette in scena un testo di Michael Frayn scritto nel ’98. Il drammaturgo britannico (oltre che giornalista, e autore televisivo) analizza le vicende storiche  e umane intorno alle figure di  Niels Bohr, celebre fisico teorico danese (ebreo d’origine) e  Werner Heisenberg, tedesco, suo allievo prediletto e autore per primo del Principio di Indeterminazione.

In una enorme e cupa aula di fisica, in un’atmosfera quasi irreale, tre persone o forse tre fantasmi, due uomini e una donna, disquisiscono di cose successe in un lontano passato, quando tutti e tre erano certamente vivi. Sono appunto Niels Bohr (Orsini), sua moglie Margrethe (Lojodice) e Werner Heisenberg (Popolizio). Devono chiarirsi rispetto a quanto avvenuto nel lontano 1941 a Copenaghen quando il fisico tedesco Heisenberg fece visita al suo maestro Bohr in una Danimarca occupata dai nazisti. Entrambi impegnati nella ricerca scientifica, ma su fronti opposti, vicini forse alla realizzazione di una bomba atomica, i due scienziati ebbero una conversazione nel giardino della casa di Bohr. Voleva Heisenberg che era a capo del programma nucleare militare tedesco offrire a Bohr l’appoggio politico della Gestapo in cambio di qualche segreto e così forse salvarlo? O al contrario essendo mosso da scrupoli morali, tentava di rallentare il programma tedesco fornendo a Bohr informazioni utili? Quali devono essere i rapporti fra potere politico e scienza? Può il progresso venire condizionato da scelte etiche? Su questi presupposti l’autore da vita ad un appassionante confronto e scontro in cui i piani temporali si sovrappongono e i dubbi permangono. Non esiste una sola verità perché ogni verità è semplicemente il punto di vista di chi l’ha enunciata.

Un bellissimo testo, una sapiente regia e tre interpreti superlativi. Un inquietante processo a porte chiuse senza accusati e accusatori, una disputa etica e scientifica a tre voci, densa di angoscianti riflessioni e interrogativi alla vigilia del primo devastante uso della bomba atomica.

data di pubblicazione: 14/11/2017


Il nostro voto:

BLUE MY MIND di Lisa Brühlmann, 2017 – Alice nella città (Premio Camera D’oro Alice/Taodue)

BLUE MY MIND di Lisa Brühlmann, 2017 – Alice nella città (Premio Camera D’oro Alice/Taodue)

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

La giuria del Premio Camera D’oro Alice/Taodue ha scelto di premiare il film Blue My Mind di Lisa Brühlmann con la seguente motivazione “un racconto di formazione che si trasforma in fantasy, una storia di mutazione e di trasformazione. Un esordio che stupisce ed ha anche in se un messaggio liberatorio”. È la storia della quindicenne Mia che, dopo aver traslocato con i genitori alle porte di Zurigo, si butta in una selvaggia adolescenza cercando di fronteggiare gli strani mutamenti che il suo corpo sta subendo, ricorrendo a sesso e droghe, sperando di arginare il fiume in piena che alla fine la stravolgerà.

Blue My Mind è un film scritto e diretto dalla svizzera Lisa Brühlmann, al primo lungometraggio personale. Il film è stato presentato per la prima volta in concorso nella sezione Nuovi Registi al San Sebastián Film Festival 2017. Nel cast molti attori alla loro prima esperienza come Luna Wedler nel ruolo della protagonista adolescente Mia, Zoë Pastelle Holthuizen nel ruolo di Gianna, Regula Grauwiller nel ruolo di Gabriela e Georg Scharegg che interpreta Michael.

Mia è in momento difficile: si trova in una nuova città, deve integrarsi nel contesto scolastico, si sente estranea ai suoi genitori, convinta di essere stata adottata, nonostante abbia tutto. E’ questo il microcosmo attorno al quale si sviluppa la metamorfosi della protagonista, imprigionata in un corpo, in una casa, in una società che non le corrispondono ma delle quali è incapace di liberarsi. Come un vulcano che sta per esplodere, Mia sembra muoversi come un automa, spinta da un istinto sempre più incontrollabile. Sceglie di stordirsi con fughe e disobbedienze, dosi massicce d’alcool e droghe, incontri occasionali che si trasformano in routine, decisa a precipitare pur di non guardare la strada già tracciata che le si profila all’orizzonte. Mia e tutti i suoi compagni sono desiderosi d’estremo. Nessuna via di mezzo è possibile, ciò che li fa vibrare è il rischio ed il desiderio di andare oltre, secondo una istintualità animale che cementa il gruppo. Nel frattempo, l’arrivo delle prime mestruazioni porta con sé un effetto collaterale inspiegabile: da un giorno all’altro, due dita dei piedi le si sono attaccate, unite tra loro da una specie di membrana, e poco più tardi le gambe hanno iniziato a coprirsi di strani lividi. Si scopre poi vorace di pesce crudo, mentre l’acqua del mare gli si para davanti ogni volta che chiude gli occhi, Mia prova ad allontanare il problema coprendosi via via di più e tenendo comportamenti sempre più estremi. Fino al momento in cui, inesorabile, decide di non rifuggire ma di andare incontro a quello che il destino le ha riservato.

Un film epidermico e sorprendente per una regista di cui sentiremo parlare, una metafora sul mondo adolescenziale in chiave fantasy noir molto moderna. Un premio decisamente meritato. Molto bella la colonna sonora e bravissime le protagoniste. Una freschezza di intenti e una efficacia visiva coinvolgente nel condividere il sentiero del peccato e della resurrezione della giovane Mia.

data di pubblicazione:05/11/2017