BRIGSY BEAR di Dave McCary, 2017 – Alice nella città

BRIGSY BEAR di Dave McCary, 2017 – Alice nella città

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Alice nella città ospita l’opera prima Brigsy Bear, una commedia agrodolce diretta da Dave McCary scritta ed interpreta da Kyle Mooney, affiancato da Claire Danes , Mark Hamill, Greg Kinnear e Andy Samberg, presentata in anteprima al Sundance Film Festival 2017 e successivamente proiettata al Festival di Cannes, nella sezione Settimana Internazionale della Critica.

 

La storia verte su James Pope (Kyle Mooney), ragazzo rapito da bambino e che ha vissuto tutta la sua infanzia assieme a un tv show di nome Brigsby Bear.

Costretto a vivere in un bunker nel deserto con i suoi genitori in un mondo apparentemente post-apocalittico, James è completamente isolato e vive soltanto in funzione della sua serie tv preferita, Brigsby Bear. Lo show era stato ideato dai falsi genitori di James, per dare una parvenza di normalità alla vita del ragazzo.

Tutto cambia quando la polizia irrompe nel bunker e James scopre di essere stato rapito quando era un neonato e soprattutto che Brigsby Bear non è un vero show per bambini.

Sconvolto e incerto, James cerca di adattarsi alla sua nuova vita, ma l’ossessione di Brigsby Bear non riesce ad abbandonarlo, soprattutto, non può concepire che il mondo non conosca il suo eroe. Per questo motivo, James decide di dare nuovamente vita al suo personaggio preferito, mettendo su un vero e proprio film con l’aiuto di un nuovo gruppo di amici e del detective Vogel.

Il film è la difficile integrazione di un uomo apparentemente adulto in un mondo che ha sempre ignorato esistesse. Divertente, ironico e delicato, Brigsby Bear è un viaggio nell’eterno mondo dell’infanzia di James. Un mondo fatto di combattimenti, mostri leggendari e fantasmi del passato. Un mondo di fantasia attraverso il quale James può fare i conti con la sua realtà e far comprendere quanto per lui Brigsby sia stato un fedele compagno.

Il film si muove attraverso un linguaggio metaforico, semplice e accessibile ma che vuole spesso rimandare a un mondo di grandi con una chiave di entrata per tutti quanti.

Difficile non voler bene a James. La sua ingenuità è travolgente ed emozionante, ed il suo mondo un po’ paradossale ed eccessivo, finisce per coinvolgere e conquistare personaggi e spettatori.

data di pubblicazione:29/10/2017








FERDINANDO di Annibale Ruccello, regia di Nadia Baldi

FERDINANDO di Annibale Ruccello, regia di Nadia Baldi

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 18 ottobre/5 novembre 2017)

Dopo il fortunato debutto napoletano, approda a Roma, al teatro Piccolo Eliseo, Ferdinando di Annibale Ruccello, per la regia di Nadia Baldi.

Scritto agli inizi degli anni Ottanta e ambientato nel 1870, Ferdinando resta il capolavoro di Annibale Ruccello, considerato il migliore esponente della drammaturgia napoletana post-eduardiana, scomparso prematuramente nel 1986 per un banale incidente stradale. Quello di Ruccello è un grande teatro di prosa, di narrazione.

Connotato del suo teatro è l’angoscia dell’uomo moderno nello scontro con la realtà esterna: fobie, delitti, sensualità dolorosa, ambientazioni cupe e serrate.

L’azione si svolge in una villa nei dintorni di Napoli dove vivono, in esilio volontario, due donne. La baronessa Donna Clotilde (Gea Martire), chiusa nella sua ipocondria e in una simulata infermità a letto, rifiuta culturalmente e storicamente la modernità, non solo ripudiando la nuova situazione politica e il re sabaudo, ma anche l’italiano. L’altra Gesualda (Chiara Baffi), sua cugina povera e zitella, che la accudisce e la sorveglia, che intreccia una relazione clandestina con Don Catellino (Fulvio Cauteruccio), prete dissoluto e coinvolto in intrallazzi politici.  Nulla sembra poter cambiare il corso degli eventi, finché non arriva Ferdinando (Francesco Roccasecca) un giovane nipote di Donna Clotilde, dalla bellezza morbosa e strisciante. Sarà lui a gettare lo scompiglio nella casa, a mettere a nudo contraddizioni, a disseppellire scomode verità e a spingere un contesto apparentemente immutabile verso un inarrestabile degrado.

Tutti i personaggi in una prima fase si presenteranno nel loro quotidiano per poi svelare l’interiore quando i freni inibitori e culturali non hanno più il loro potere censurante.

Ferdinando è il diavolo che irrompe sulla scena, scatenando l’inespressa sessualità che coinvolge prima Clotilde, poi Gesualda, e infine Don Catellino. Una voragine di desideri repressi che finisce per generare gelosie, ricatti, vendette, ed alla fine anche complicità fra le due donne portandole all’avvelenamento del prete rivale in amore. Ma poi tutto precipita, Ferdinando scopre l’assassinio, ricatta le due donne e svela la propria identità (non è il nipote di Clotilde, ma un ladro e si chiama Filiberto, come i Savoia). Un finale noir dell’opera come noir è la solitudine in cui si sono chiuderanno Clotilde e Gesualda.

L’attenta mano di Nadia Baldi esalta la potenza drammaturgica del testo, riuscendo ad enucleare ed esaltare le caratterizzazioni dei singoli personaggi e gli oggetti feticcio che li circondano. Rapporti che spesso si evidenziano con efficacissimi piccoli gesti, giochi di sguardi, sequenze di parole seguite da inquietanti silenzi, mettendo in luce le connessioni esistenziali fra dramma e malinconia, comicità e solitudine.

Molto bravi gli attori ma soprattutto straordinarie le due protagoniste, capaci di rendere le due cugine così differenti e cosi unite, ma anche così uniche, nonostante le tante grandissime interpreti che in passato si sono cimentate nei due ruoli.

Un teatro moderno e colto, che va visto e protetto.

data di pubblicazione: 21/10/2017


Il nostro voto:

ROMA EUROPA FESTIVAL MONUMENTAL – compagnia The Holy Body Tatto e live music di Godspeed you! Black Emperor

ROMA EUROPA FESTIVAL MONUMENTAL – compagnia The Holy Body Tatto e live music di Godspeed you! Black Emperor

(Auditorium Conciliazione – Roma,13 e 14 ottobre 2017)

Il Romaeuropa Festival ha presentato in prima nazionale il 13 e 14 ottobre 2017 all’Auditorium Conciliazione di Roma, Monumental, spettacolo che fonde musica rock e danza.

Sul palco la compagnia canadese The Holy Body Tattoo, fondata nel 1993 da Dana Gingras e Noam Gagnon insieme ai Godspeed you!Black Emperor storico collettivo musicale, anch’esso canadese, tra i gruppi più rappresentativi della scena post-rock internazionale. Protagonisti tutti i membri della band insieme ai danzatori della compagnia.

Messo in scena per la prima volta nel 2005 solo con le musiche dei GY!BE a fare da colonna sonora dello spettacolo, Monumental dopo 10 anni viene riallestito da The Holy Body Tattoo avvalendosi questa volta delle musiche in parte inedite, eseguite dal vivo dalla band di culto.

Monumental è il racconto dell’ansia della cultura metropolitana. In un clima ipercinetico di avidità e ambizione, le relazioni personali sono sottomesse all’identità del gruppo rendendo l’interrrelazione personale difficile e dolorosa.

Nove danzatori in abiti da ufficio, isolati su altrettanti piedistalli, dialogano con il suono duro ed enfatico di cinque chitarre, due drum kit e un violino, per raccontare il caos del mondo moderno. A dare ulteriore forza a questo affondo nell’alienazione contemporanea, sono i testi dell’artista statunitense Jenny Holzer che, nella serie Living (1981), analizza la quotidianità dell’essere umano.

Una fluida, per quanto frenetica ed emblematica rappresentazione della condizione dell’uomo, ormai piegato al sistema seriale della ripetizione compulsiva di movimenti, pensieri e passioni.

La cosa migliore è stare nel gruppo per mantenere l’anonimato, ripetendo simultaneamente gli stessi gesti, cercando l’omogeneità. Ma i tic si moltiplicano e si stressano fino all’implosione emotiva, che diventa psicosi che si dilaga nei gesti dei danzatori, nei crescendo noise dei GY!BE e nelle parole della Holzer che arrivano come dei verdetti ineluttabili.

Un lavoro organico, con coreografie pensate in relazione alla musica dei GY!BE, che esplora le paranoie, i cortocircuiti e le ansie della cultura urbana, delle metropoli, della quotidianità alienante e del capitalismo che ci cattura e ci avvolge.

Interpreti magistrali e ritmi serrati, che fondono le varie componenti in un unicum che cattura. Uno spettacolo forte e ansiogeno, con forti venature di dolore e di sofferenza.

data di pubblicazione:20/10/2017


Il nostro voto:

IL CASO DELLA FAMIGLIA COLEMAN Scritto e diretto da Claudio Tolcachir

IL CASO DELLA FAMIGLIA COLEMAN Scritto e diretto da Claudio Tolcachir

(Teatro Argentina – Roma,10/12 ottobre 2017)

Dopo aver curato la regia di Emilia nella scorsa stagione, torna al teatro Argentina di Roma Claudio Tolcachir, in scena dal 9 al 12 ottobre con Il Caso della famiglia Coleman (La omisión de la familia Coleman).

Divenuto un classico del teatro contemporaneo che continua a calcare i palcoscenici internazionali, lo spettacolo scritto e diretto da Tolcachir viviseziona il microcosmo di una famiglia di Buenos Aires che vive al limite, in un appartamento che ospita e insieme rende prigionieri tutti i componenti della famiglia, con ognuno in lotta il proprio spazio vitale, in odio amore continuo.

La Familia Coleman vive stipata in un minuscolo appartamento nel quartiere popolare Boedo, una famiglia numerosa e problematica composta da una nonna, una figlia e quattro nipoti in cui le regole sono sovvertite: la nonna occupa il posto della madre e la madre si presenta come una bambina immatura che vive nella propria fantasia. Ci sono due gemelli. Uno ha preso il posto del padre assente: violento, alcolista, e ladro. Alla figlia tocca il ruolo della madre ideale: è l’unica che lavora e porta i soldi in una casa che sprofonda. Ogni personaggio ricava un proprio angolo nell’ angusto spazio disponibile, popolato da più voci che, tra disperazione e leggerezza, si alternano e si sovrappongono senza riuscire a comunicare.

L’autore e regista Claudio Tolcachir, tra i protagonisti del teatro argentino contemporaneo, non ancora quarantenne, erede degli artisti militanti della generazione precedente, ha fondato il collettico Timbre4 trasformando la propria casa, un appartamento di ringhiera nella periferia di Buenos Aires, in un teatro e in una scuola per attori. In questo contesto è nata la famiglia Coleman e con essa un vero e proprio caso teatrale. Dal giorno del debutto, avvenuto nel 2005 in quella stessa casa, lo spettacolo ha registrato uno straordinario successo collezionando numerosi riconoscimenti e incantando pubblico e critica di più di 30 paesi nel mondo per giungere nei più importanti teatri europei.

La scena è ingombra di un mobilio fatiscente, lo spaccato familiare e sociale è lontano anni luce dall’immaginario stereotipato del popolo argentinoche balla il tango e beve mate ad ogni ora del giorno e della notte. I Coleman, in tuta e ciabatte, sono postatomici.

Ad ogni scena si scopre qualcosa di più sui rapporti e sui vincoli di parentela che governano la vita di questa famiglia. Il centro gravitazionale è nonna Leonarda, che gestisce le nevrosi di sua figlia Memè e dei quattro nipoti. Nel momento in cui la nonna viene ricoverata in ospedale per un malore, la famiglia è costretta ad uscire dal guscio del proprio salotto e a presentarsi al mondo ed Edoardo, il dottore che ha in cura la nonna, cerca di fare chiarezza sullo stato di anomalia che presentano i Coleman.

Tolcachir scava a fondo nel paradosso dei rapporti umani, tenendosi in equilibrio tra disperazione e leggerezza. I Coleman sono un caso sociale e psichiatrico debordante; rinchiusi in tale claustrofobia non riescono a non odiarsi ma neppure a separarsi.

Gli attori sono straordinariamente bravi. Personaggi al limite, situazioni assurde, dialoghi deliranti. Nello spettacolo non c’è spazio per la malinconia ma un perfetto equilibrio tra dramma e humour nero, che disegna il meglio e il peggio di ogni personaggio. La malattia della nonna li riunirà. Ma solo apparentemente.

data di pubblicazione:13/10/2017


Il nostro voto:

ROMA EUROPA FESTIVAL ESPÆCE – Regia di Aurélien Bory

ROMA EUROPA FESTIVAL ESPÆCE – Regia di Aurélien Bory

(Teatro Argentina – Roma, 7 e 8 ottobre 2017)

Già ospite del Romaeuropa Festival con Plexus (REf 2014) e con Questcequetudeviens? (REf 2015), Aurélien Bory è tornato a Roma per presentare al Teatro Argentina il 7 e l’8 ottobre 2017  Espæce.

Con l’acrobata Guilhem Benoit, il danzatore Mathieu Desseigne Ravel, la contorsionista Katell Le Brenn, la cantante d’opera Claire Lefilliâtre e l’attore Olivier Martin Salvan,  Bory celebra lo scrittore francese Georges Perec e la sua scrittura attraverso un viaggio poetico fatto di giochi di parole, di allusioni, di memorie, di percorsi.

Il titolo di questa sua ultima prova è Espæce, crasi di Espèces d’espaces, una delle opere di Perec un neologismo coniato da Bory proprio per definire nel più visivo dei modi il tema dello spettacolo, lo spazio, o meglio, i vari tipi di spazio e il vuoto che li circonda e li contiene.

La scena diviene allora un enorme libro in continuo divenire, che racconta storie, emozioni, vuoti, ironie di 5 individui alla ricerca di se stessi e della propria identità, attraverso pagine che si sfogliano e si raccontano, cariche di immagini, di sguardi e di pensieri.

Un divenire che trova nella macchina scenica la magia onirica e maliconica di Bory, capace di usare magistralmente lo spazio  e di fondere, nel suo teatro visivo, elementi di danza, di musica, di acrobazia e di poesia.

È il teatro nudo con i suoi elementi tecnici, i muri che avanzano e si trasformano, per definire l’azione e generare sorpresa e commozione raccontando le esistenze e le storie.

L’impatto poetico e visivo è altissimo, come se fosse il libro stesso a parlare. Un altro raffinato tassello di un Festival che quest’anno continua a regalare emozione.

data di pubblicazione:13/10/2017


Il nostro voto: