ENRICO IV di Luigi Pirandello regia di Carlo Cecchi

ENRICO IV di Luigi Pirandello regia di Carlo Cecchi

(Teatro Argentina – Roma, 12/24 febbraio 2019)

Enrico IV è una pietra miliare del teatro pirandelliano e della sua intera poetica. L’opera, in calendario al Teatro Argentina dal 12 al 24 febbraio 2019 per la regia di Carlo Cecchi, porta in scena i grandi temi della maschera, dell’identità, della follia e del rapporto tra finzione e realtà attraverso le vicende di un uomo, un nobile dei primi del Novecento, che da vent’anni vive chiuso in casa vestendo i panni dell’imperatore Enrico IV di Germania (vissuto nell’XI secolo), prima per vera pazzia, poi per simulazione ed infine per costrizione. Ciò che va in scena è la follia del teatro, un teatro che guarda al reale svelando il suo gioco e gli inganni interiori. Il testo è alleggerito dall’originale in quanto i lunghi monologhi sono ridotti in maniera estrema, secondo un linguaggio contemporaneo in una messa in scena che alterna atmosfera di prove aperte e di rappresentazione e nella quale Carlo Cecchi sfodera ironia, sarcasmo ed intelligenti intuizioni fuori copione.

 

 

Il regista focalizza la sua attenzione su quell’uomo che decide di portare avanti la messinscena di Enrico IV in pellegrinaggio da Matilde di Canossa ben oltre gli effetti della caduta da cavallo. Per anni vive una vita patinata e fiabesca con l’aiuto di quattro uomini pagati per fingersi suoi consiglieri, ma a un certo punto riconquista la ragione e si rende conto che tutti lo prendono per pazzo. Allora capisce che esserlo gli conviene, permettendogli di osservare, da fuori, la grande sceneggiata predisposta per lui, che coinvolge anche la donna che amava, Matilde Spina, l’amante di lei Tito Belcredi, un dottore che vuole provocargli uno choc per farlo rinsavire. Cancella la propria vita per scegliere il teatro e per il teatro impazzisce e continua a fare quella recita che dapprima è una tragedia e poi diventa farsa.

Adattatore, regista e attore proprio nei panni del protagonista, Cecchi non si prende per niente sul serio e procede a una sforbiciata radicale del proprio personaggio riuscendo a usare finzione e umorismo ai fini di un gioco che spiazza e confonde lo spettatore: l’intreccio di normalità e follia, la perdita d’identità, il rapporto tra reale e maschere che indossiamo o che gli altri ci costringono a indossare, il fallimento della scienza, la rinuncia alla vita per non affrontare la sofferenza, la follia come fuga e rifugio – qui aleggiano la mascherata e il teatro nel teatro. A sostenere la struttura performativa alcuni bravi attori che fanno parte del vissuto di Cecchi: Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Tirifirò, insieme a Chiara Mancuso, Remo Stella.

Carlo Cecchi esaspera la finzione, dimostra la falsità di quella macchina teatrale che vive grazie a personaggi, che si nutre di gesti stereotipati non reali. E non è un caso che l’ultima battuta sia «Su, alzati, domani c’è un’altra replica», perché il Teatro offre la possibilità e la libertà di riprovare e rifare. La tragedia allora si trasforma in farsa e la macchina del teatro continua.

data di pubblicazione:15/02/2019


Il nostro voto:

LA TRAGEDIA DEL VENDICATORE di Thomas Middleton, regia di Declan Donellan

LA TRAGEDIA DEL VENDICATORE di Thomas Middleton, regia di Declan Donellan

(Teatro Argentina – Roma, 23 gennaio/3 febbraio 2019)

Il grande maestro della regia, Declan Donnellan, ha diretto per la prima volta una produzione in lingua italiana La tragedia del vendicatore di Thomas Middleton nella versione di Stefano Massini, in scena al Teatro Argentina di Roma dal 23 gennaio al 3 febbraio 2019. Scritta nei primi anni del regno di Giacomo I, tra il dilagare della violenza e del malcostume, La tragedia del vendicatore riflette una visione del mondo cupa e disperata di chiara matrice medioevale: di fronte alla corruzione ed alla forza inquinante del potere e della lussuria, l’isolamento ascetico e la rinuncia sembrano l’unica via per sfuggire al peccato.

 

Contemporaneo di Shakespeare, Thomas Middleton attribuisce ai personaggi nomi identificativi dell’indole di ciascuno, così da connotarne fin da subito il ruolo e il comportamento: Vindice, Spurio, Supervacuo, Lussurioso, Ambizioso, Castiza.

La trama è intricatissima. In una non meglio precisata corte italiana, Vindice e Ippolito, figli di Graziana e fratelli di Castiza, si incontrano davanti al Palazzo del Duca. Vindice – come dice il nome – desidera vendicare a qualunque prezzo la morte della promessa sposa Gloriana, stuprata e avvelenata dal Duca poco prima delle nozze. Vindice si traveste e si presenta a corte sotto le spoglie di uno strano personaggio di nome Piato. Qui si assiste ad un susseguirsi di stupri, vendette e seduzioni, processi e condanne. Vindice/Piato ed il fratello Ippolito attirano il Duca in una trappola, lo torturano e lo uccidono, vendicando Gloriana. Si scatena a questo punto la commedia degli equivoci che da il via a un satanico susseguirsi di morti in cui tutti uccidono tutti. Vindice ha ottenuto quel che cercava, ma la sua sete di vendetta lo conduce alla morte e travolge anche Ippolito.
È un teatro, quello di Donnellan, che esalta l’attualità della storia . Si parla di un governo corrotto, di un popolo che si compra con pochissimo, di una società ossessionata dal sesso, dalla celebrità, dalla posizione sociale e dal denaro, dominata dal narcisismo.

Declan Donnellan si focalizza sul bisogno di vendetta e punizione, sulla incapacità di lasciarsi alle spalle il dolore e il ricordo. Fino a che, anche per via di un contesto di corte dilaniato da inimicizie e corruzione, a pagarne le conseguenze in prima persona è proprio lo stesso protagonista.

Risalta il grande equilibrio tra i personaggi, tutti fortemente rilevanti, tra tragedia e commedia, tra dolore ed allegria, grazie alla matrice satirica che anima tutta la narrazione, tra feste di corte, fratelli contro i fratelli, madri disposte per trenta denari a prostituire le figlie, figli contro padri, in una vortice di vendette che inevitabilmente lascia tutti sconfitti. Eppure si ride.

Il feroce sentimento di vendetta di Vindice, per la prematura e violenta morte dalla promessa sposa Gloriana, è la causa scatenante di tutto il degrado ed il marcio che viene fuori. E la vendetta è la parola di riferimento in quel luogo dove dominano ingiustizia e lussuria ma dove tutto sembra disfarsi di fronte alla lotta per il potere.

data di pubblicazione:04/02/2019


Il nostro voto:

FAMIGLIA scritto e diretto da Valentina Esposito

FAMIGLIA scritto e diretto da Valentina Esposito

(Teatro India – Roma, 16 /20 gennaio 2019)

Dal 16 al 20 gennaio 2019 al Teatro India, torna lo spettacolo Famiglia, della drammaturga e regista Valentina Esposito, fondatrice della factory Fort Apache Cinema Teatro, un progetto teatrale rivolto a detenuti ed ex detenuti per il loro inserimento nel sistema spettacolo.

 

Intenso e coinvolgente, Famiglia è un’antica ma non sbiadita fotografia di una famiglia in cui, nonostante le concordanze apparenti, ciascuno “tira dritto per una strada”, tutti provvisoriamente riuniti, tre generazioni tra vivi e morti, il giorno del matrimonio dell’ultima e unica figlia femmina: una cerimonia apparentemente tradizionale in cui si cannibalizzano e si divorano i sentimenti e gli affetti; una polveriera carica di amore e odio che sta per esplodere.

Essenziale ed evocativo, dotato di elementi figurativi spogli, Famiglia è testimonianza di un’umanità marginale, perdente, cruda per un racconto che è poesia amarissima e profonda.

Essenza del manifesto di attività che FACT (Fort Apache Cinema Teatro) esplicita sin dalla sua costituzione nel gennaio 2014 per volontà di Valentina Esposito, autrice e regista impegnata per oltre un decennio nelle attività teatrali all’interno del Carcere di Roma Rebibbia.

Insieme a Marcello Fonte, tanti attori straordinari (ex detenuti e non) che danno vita al dramma: uno spettacolo che prova a scandagliare l’anima dei personaggi facendo perno anche sulla sofferenza legata ai lunghi anni di reclusione affrontata da molti di loro. Ecco allora che il matrimonio dell’ultima e unica figlia femmina di una numerosa famiglia tutta al maschile, diventa pretesto per riunire tre generazioni di persone legate da antichi dolori e incomprensioni, per rimettere sullo stesso tavolo i padri dei padri e i figli dei figli, e consumare una vicenda d’amore e d’odio, di affetti e violenza, di solitudine. Un teatro dal sapore antico, da primo Nekrosius, fatto di oggetti ripescati nel quotidiano, di nenie e di veli da spose, di bianco, di nero e di rosso, forte di una coralità estrema, di fotogrammi intensissimi, pittorico ed esteticamente sofisticato nella essenzialità.

data di pubblicazione:19/01/2019


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MARE MATER, LA NAVE DEI BAMBINI di Fabio Cocifoglia, con Manuela Mandracchia

MARE MATER, LA NAVE DEI BAMBINI di Fabio Cocifoglia, con Manuela Mandracchia

(Teatro Vascello – Roma, 14/16 gennaio 2019)

Mare Materla nave dei bambini è un racconto meraviglioso e straordinario, come solo le storie vere sanno essere. L’opera di Fabio Cocifoglia con Manuela Mandracchia, Luca Iervolino, Giampiero Schiano, insieme ai Ciprix, una compagnia di musical composta interamente da ragazzi, in scena al Teatro Vascello dal 14 al 16 gennaio 2019, è il frutto di un complesso lavoro di scrittura realizzato grazie all’importante contributo archivistico del Museo del Mare di Napoli.

 

E’ la storia della Nave-Asilo “Caracciolo”, una corvetta non più utilizzata, che tra il 1913 e il 1928 pose Napoli al centro dell’interesse pedagogico internazionale. Si stava portando avanti un esperimento educativo straordinario, pensato e voluto dalla signora Giulia Civita Franceschi e che aveva accolto a bordo della nave circa 750 bambini e ragazzi detti “i caracciolini”, provenienti soprattutto dai quartieri spagnoli e recuperati da una condizione di abbandono per insegnare loro i valori ed i mestieri del mare e garantirgli una prospettiva di vita decorosa. E il mare restituisce la dignità a questi ragazzi; non più figli di nessuno, non più esseri dimenticati e sbandati nella città di Napoli, ma finalmente futuri uomini e donne strappati alla miseria ed educati al lavoro e alla vita.

In scena, un’istitutrice (Manuela Mandracchia) ed il suo bagaglio di ricordi che riaffiorano assieme a due ex caracciolini ora uomini (Luca Iervolino e Giampiero Schiano) che identificano l’inquieta consapevolezza di un passato lontano ma anche il tormento per aver fatto il possibile ma forse non il massimo per non averli potuti salvare tutti.

Pezzo dopo pezzo in scena prendono vita i ricordi, l’esperienza umana e formativa in grado di restituire ai destinati all’oblio una rinnovata dignità umana. La sveglia, la colazione, la cura personale, la scuola, il pranzo, il riposo, le attività di pesca. La giornata, all’interno della nave scuola, viene ricordata nei minimi dettagli a comporre un puzzle perso nel tempo.

Ma l’apparizione del gerarca fascista incaricato di sollevare la signorina Giulia Civita Franceschini dal suo incarico, stroncherà ogni tentativo di consolazione lasciando la protagonista con la cupa sensazione che alla fine non si era fatto abbastanza.

Educatrice ma anche madre premurosa, Manuela Mandracchia domina la scena e ci conduce attraverso la propria coscienza seguendone il ritmo attraverso immagini vive e forti, ricordi la cui apparizione reca con sé, nello stesso tempo, gioia e dolore. Dolore di una perdita ed incapacità di abbandonarsi alla rassegnazione e, soprattutto, concedersi il perdono.

Un lavoro profondo e intenso condotto da Fabio Cocifoglia su una donna in bilico tra tenerezza e coraggio nell’affrontare scelte difficili per quel periodo storico. Un racconto che diventa poesia e che incanta.

data di pubblicazione:16/01/2019


Il nostro voto:

STUDIO DA LE BACCANTI di Emma Dante

STUDIO DA LE BACCANTI di Emma Dante

(Teatro India – Roma, 22 dicembre 2018/5 gennaio 2019)

La partenza è un laboratorio ed una ricerca sul mito greco, prendendo a riferimento un testo apparentemente distante e devastante, Le Baccanti di Euripide. È lo spettacolo Studio da Le Baccanti, in scena al Teatro India dal 22 dicembre 2018 al 5 gennaio 2019. Una discesa negli inferi interiori alla ricerca delle origini del misticismo e delle contraddizioni della cultura e della religione. Emma Dante, insieme agli allievi dell’Accademia Silvio D’Amico, ne estrae un teatro fisico, trasgressivo che sa di euforia e di morte: una elaborazione che lavora sull’ebbrezza e sulle contraddizioni giovanili.

 

Le Baccanti è considerata una delle più grandi opere teatrali di tutti i tempi. Esaspera il tema della forza della religione, il suo messaggio è un monito a tutti gli uomini ad adorare sempre gli dei e a non mettersi contro di essi. Un’accezione religiosa però non certamente positiva: Dioniso si dimostra una divinità assolutamente spietata nel punire chi non aveva creduto in lui, al punto di sterminare i suoi stessi parenti ed esiliare i sopravvissuti.

Dioniso, nato dall’unione tra Zeus e Semele,donna mortale vuole convincere tutta Tebe di essere un dio e non un uomo. A tale scopo per prima cosa ha indotto un germe di follia in tutte le donne tebane, che sono dunque fuggite sul monte Citerone a celebrare riti in onore di Dioniso stesso (le Baccanti). Ma Penteo, re di Tebe, rifiuta strenuamente di riconoscere un dio in Dioniso e lo fa arrestare.

Le Baccanti intanto hanno invaso alcuni villaggi, devastando tutto e mettendo in fuga la popolazione. Dioniso, parlando con Penteo, riesce allora a convincerlo a mascherarsi da donna per poter spiare di nascosto le Baccanti. Una volta che i due sono giunti sul Citerone, però, il dio aizza le Baccanti contro Penteo che si avventano su di lui e lo fanno a pezzi per punire colui che non aveva creduto nella natura divina di Dioniso.

Il progetto è partito da un’attenta analisi del testo, nella traduzione di Edoardo Sanguineti, focalizzandosi principalmente sulla presenza del coro. La suggestione create dalla stessa regista e dal suo staff (Carmine Maringola alle scene, Sandro Maria Campagna per i movimenti scenici, Serena Ganci per le musiche e gli arrangiamenti corali, Cristian Zucaro alle luci) sono come sempre sorprendenti ed efficaci grazie al gioco delle luci, alla gestualità dei corpi ai dettagli espressivi, alla fluidità del racconto, alle scelte musicali. Straordinario nella sua semplicità l’impianto scenico. Una densità emotiva ed una forza d’urto che dal palco si trasferisce agli spettatori.

Bellissimo e intenso il lavoro sulla fisicità e sul ritmo dei giovanissimi protagonisti, mai banali o eccessivi, ognuno con una specifica identità espressiva, unici nel loro essere acerbi e veri.

data di pubblicazione: 26/12/2018


Il nostro voto: