GLI SPOSI di Elvira Frosini e Daniele Timpano

GLI SPOSI di Elvira Frosini e Daniele Timpano

(Teatro India – Roma, 9/12 novembre 2018)

Un altro pezzo di storia contemporanea, ancora personaggi scomodi e difficili, portati in scena da Elvira Frosini e Daniele Timpano, Gli Sposi, Nicolae Ceausescu ed Elena Petrescu, capaci di soggiogare la Romania per più di vent’anni, ovvero il più sanguinario tiranno dei paesi del blocco comunista e sua moglie. Dittatori per caso, ignoranti ed arroganti, giustiziati davanti alle telecamere di tutto il mondo il 25 dicembre 1989.

 

 

Un racconto intimo e politico, Gli Sposi, buffo e crudo tratto da testo del drammaturgo francese David Lescot, rivisitato a modo loro dallo straordinario duo Frosini/Timpano ed in scena al teatro India dal 9 al 12 novembre.

Frontali davanti al pubblico, soli e costantemente in scena, sciorinano con impeto quella che è la propria storia e insieme a quella del paese che hanno devastato.

Un palco nudo, il vuoto della dittatura; solo due sedie e altrettanti microfoni per amplificare l’ascesa e la fine dei due protagonisti. Siamo in Romania, pochi anni dopo la Grande Guerra, quando il Movimento Legionario della Guardia di Ferro, di estrema destra ha preso il potere dopo la caduta dell’Impero asburgico. Al regime militare si contrappone il Partito Comunista Romeno, considerato illegale, nel quale il balbuziente giovane Ceausescu e l’operaia Petrescu militano attivamente.

Arrestato più volte, Ceausescu, incontra nel campo di concentramento Gheorghe Gheorghiu-Dej, un importante elemento del Partito Comunista, che lo sosterrà nella sua escalation gerarchica all’interno del partito negli anni che seguiranno e porteranno il socialismo al potere in Romania.
La coppia Ceasescu-Petrescu nel frattempo si sposa nel dicembre 1947.

L’uno parla dell’altra: si raccontano, si rintuzzano, a loro modo si amano, rivivono in scena dagli esordi rivoluzionari al consolidamento del potere.

Elena e Nicolae provengono entrambi dalla campagna, da famiglie semplici: lui è timido e balbuziente, lei studia i polimeri. Scelgono entrambi di militare nel partito comunista e concentrano pian piano nelle proprie mani ogni potere fino a divenire padroni assoluti del proprio paese. Sono goffi, mediocri, non hanno appeal eppure la loro ascesa è rapida e fatale. Incontrano i potenti del mondo e si costruiscono palazzi monumentali, acquistano lauree in chimica e riducono in povertà la popolazione romena. Sarà lei sarà la mente dell’ascesa al potere del suo compagno con la sua ambizione e sete di rivalsa.

Straordinari entrambi gli interpreti/registi nel raccontare la banale mediocrità di una coppia cinica e potentissima: storia di contraddizioni, di soprusi, di avidità tra canti socialisti e hit italiane tradotte in romeno, tra vita privata e incontri pubblici.

Una pièce tragica e ironica al tempo stesso, un testo drammaturgico che scorre con leggerezza fino alla fucilazione che li unisce per sempre, come da loro ultimo desiderio.

Un video mostra l’odierna Romania consumistica: il paese è finalmente libero e può aprirsi all’Occidente ma il mondo kitsch e patinato che ne viene fuori non è certo esaltante.

Un cronoracconto fatto di parole e movimento: il gesticolare convulso con la mano di Ceausescu, la sua balbuzie, l’influenza di una moglie inflessibile, i pugni socialisti levati al cielo, la fuga, tragicomica in elicottero e poi in macchina, fino alla cattura ed alla fucilazione, tutto evocato con rumori e piccoli gesti. L’analisi e la condanna della natura del potere, qualunque esso sia.

data di pubblicazione:12/11/2018


Il nostro voto:

LA SCORTECATA di Emma Dante

LA SCORTECATA di Emma Dante

(Teatro India – Roma, 30 ottobre/11 novembre 2018)

Emma Dante rilegge in chiave originale La scortecata, una delle novelle più celebri della raccolta de Lo cunto de li cunti scritta nel Seicento da Giambattista Basile, in scena al Teatro India dal 30 ottobre all’11 novembre, un capolavoro della tradizione letteraria italiana e mondiale. Una visione originale ed intima, decisamente distante dalla maestosa trasposizione cinematografica di Matteo Garrone ma egualmente efficace nel raccontare la fiaba amara di Basile.

La magia di Emma Dante sta nella scelta di un napoletano popolato di espressioni gergali, proverbi e slang popolari, in quella modalità narrativa ancestrale fatta di movimento, voce e gestualità secondo una macchina teatrale che ancora una volta sorprende e affascina.

 

 

 

É la storia di un re che si innamora della voce di un’anziana donna e ingannato dalla bellezza del suo dito mignolo mostratogli dal buco della serratura, invita l’anziana a trascorre una notte d’amore. L’anziana donna accetta ma cela il suo corpo deforme tra il buio della stanza e il bianco dell’enorme lenzuolo che copre, e insieme descrive il rapporto consumato tra i due. Scoperto l’inganno però il re si infuria con la donna e la butta dal balcone. La vecchia non muore ma resta appesa a un albero. Da lì passa una fata che le fa un incantesimo, diventata una bellissima giovane il re la prende con sé. L’incantesimo svanisce, il lieto fine non arriva e così la più giovane, novantenne, chiede alla sorella di scorticarla per far uscire, dalla pelle vecchia la pelle nuova ed essere, ancora, giovane e bella.

Quattro personaggi (il re, le due sorelle e la fata) per due attori, due uomini in uno spazio segnato da pochi arredi, con un castello in miniatura tra di loro. Due straordinari interpreti gli attori Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, con i loro corpi muscolosi e sudati in grado di rappresentare al meglio le movenze e le difficoltà fisiche due anziane. La forza e la profondità del racconto sta anche nelle due sedioline di legno, nella porta per terra, nel baule, quegli oggetti di un quotidiano passato che rendono vera e nostalgica la scena, così come la musica ancora una volta diversa ed alla fine perfetta.

Un forte epiteto sulla vanità, sul senso del ridicolo e sull’inganno dell’apparenza ma anche una riflessione più ampia sui meccanismi tribali della famiglia, sulla dolorosa vita degli emarginati, sull’accettazione dei segni del tempo.

Me so’ stancat ‘e essere vecchia” dice la donna alla sorella, sua unica compagna nella casa tumulo in cui si sono seppellite.

Le due vecchie, stanche e sole, sembrano a malapena sopportarsi, ma hanno bisogno di tenersi per mano persino per sedersi e per far passare il tempo, nella loro miseria, inscenando ogni giorno la stessa storia.

Straordinario l’uso evocativo delle luci e degli oggetti di scena, unito alle capacità interpretative dei due attori, la forza del teatro di Emma Dante in grado di illudere con un’atmosfera relativamente leggera e comica, per poi stravolgerla senza preavviso per lo spettatore, trasformandola in un reale grottescamente bello.

data di pubblicazione:08/11/2018


Il nostro voto:

TI PRESENTO SOFIA di Guido Chiesa, 2018

TI PRESENTO SOFIA di Guido Chiesa, 2018

Un padre separato, premuroso e concentrato sulla figlia Sofia, anni 10 reincontra una sua vecchia fiamma che non vede da tempo. È il colpo di fulmine tra Gabriele (Fabio De Luigi) e Mara (Micaela Ramazzotti). Lui è proprietario di un negozio di strumenti musicali ed ex musicista che ha abbandonato il sogno di sfondare nel rock per prendersi cura della figlia Sofia (Caterina Sbaraglia), una bambina di 9 anni che in camera insieme ai peluches ha i poster di Deborah Harry. Lei fotografa affermata che viaggia in giro per il mondo, indipendente, single e senza nessun desiderio di maternità.

 

L’amore sembrerebbe trionfare ma c’è un grosso ostacolo da superare: lei non vuol sentire neanche parlare di bambini. Gabriele decide quindi di nasconderle la presenza di Sofia. L’impresa però non sarà per niente facile e Gabriele finisce per impelagarsi in un pasticcio di bugie e sotterfugi per nascondere la presenza dell’una all’altra.

Dopo Classe Z  Guido Chiesa torna dietro alla macchina da presa per dirigere De Luigi e la Ramazzotti in Ti presento Sofia fortemente ispirato alla sceneggiatura del riuscito film argentino Sin Hijos, uscito in Italia col titolo Se permetti non parlarmi di bambini.

Chiesa, che firma la sceneggiatura con Nicoletta Micheli e Giovanni Bognetti, manifesta l’intento di provare andare al di là dei cliché con l’inversione dei ruoli tra l’uomo che rinuncia alla carriera per mettere la figlia al centro della propria vita e viceversa una donna che di figli non ne ha voglia non solo per dedicarsi appieno al lavoro, ma anche perché i bambini non li può sopportare.

Presentato quest’anno nella sezione Alice nella città all’interno della Festa del cinema di Roma, tra tante tematiche forti e dense, la pellicola di Guido Chiesa ha portato un po’ di leggerezza.

Il film è a tratti divertente, da domenica pomeriggio, la coppia di protagonisti funziona e Sofia, interpretata dalla bravissima Caterina Sbaraglia, per la prima volta sullo schermo, intenerisce anche per una naturale vis comica che le appartiene, ma risulta poco credibile quello che ruota attorno ai protagonisti. Un tocco grottesco ed ironico probabilmente avrebbe reso il film più interessante.

data di pubblicazione:31/10/2018


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FIORE GEMELLO di Laura Luchetti, 2018

FIORE GEMELLO di Laura Luchetti, 2018

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Alice nella città, 18/28 ottobre 2018)

Il fiore gemello è una rarità ed è un regalo della natura che non può essere separato. Fiore Gemello è la storia di due adolescenti presi a schiaffi dalla vita, che troveranno proprio l’uno nell’altro insieme la forza per riconquistare l’innocenza perduta. Anna, sedici anni è inseguita e minacciata e non riesce a parlare più. Basim è un immigrato clandestino ivoriano alla ricerca di pace e dignità. Insieme intraprendono un percorso che è di fuga e di crescita, di consapevolezza e di dolore ma anche di rinascita. E’ un viaggio anche dentro la natura acerba e misteriosa che protegge e accoglie.

Un immigrato africano clandestino e la figlia di un trafficante di migranti inseguita in maniera ossessiva dall’uomo per cui suo padre lavorava che si è invaghito di lei e la vuole ad ogni costo,si incontrano per caso. Anzi è lui che la protegge da alcuni bulletti. Entrambi sono in fuga dal male. Tutto intorno è più grande di loro. Ma bisogna sopravvivere, bisogna lavorare, bisogna trovare un luogo sicuro per dormire, bisogna proteggersi e bisogna crescere. Ad ogni costo anche attraverso la sofferenza. Non parlano la stessa lingua, vengono da mondi troppo diversi, ma l’affetto e l’amore che progressivamente li lega diventa la loro forza ed il loro futuro. Tutto ciò che accade intorno li aiuta a ritrovarsi e a credere l’uno nell’altro. Un sentiero doloroso che lascia intravedere la luce.

Laura Luchetti ha diretto il suo secondo lungometraggio, Fiore Gemello con un amore infinito trasformando una verità cosi attuale in poesia. Il film in concorso ad Alice nella città, si è aggiudicato già numerosi riconoscimenti, quali una menzione speciale al Toronto Film Festival 2018 e al Festival di Cannes. sarà presto in concorso anche ai BFI London e Busan International Film. La metafora di Anna e Basim (veramente unici i giovanissimi attori Anastasiya Bogach e Kalill Kone), accomunati da uno stesso destino è un percorso di dolore e di rinascita: scopriranno di appartenere allo stesso bulbo e di essere inscindibili, nonostante il passato tormentato ed il futuro incerto accompagnati da una Sardegna bellissima, ancora incontaminata ed impervia che rende la storia ancora più sospesa e magica, evocativa e mistica.

data di pubblicazione:27/10/2018








FRIDAY’S CHILD di A.J. Edwards, 2018

FRIDAY’S CHILD di A.J. Edwards, 2018

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Alice nella città, 18/28 ottobre 2018)

In una cittadina del Texas Richie Wincott, un ragazzo appena maggiorenne, esce dall’istituto nel quale è stato praticamente dalla nascita. Senza famiglia né riferimenti, deve cercare di far avviare la propria esistenza e guadagnarsi un ruolo nella società, ma non è facile, e il crimine è una tentazione facile, specie se intorno inevitabilmente arrivano le cattive compagnie. Si mette subito nei guai e viene sospettato di essere il fautore di una rapina. Niente sconti, anzi paradossalmente tutto è ancora più difficile visto che il destino lo fa innamorare di una brava ragazza mettendolo crudelmente di fronte a chi senza saperlo ha ferito mortalmente.

 

Friday’s Child, presentato alla tredicesima edizione di Alice nella città nella sezione Panorama, è la storia di un ragazzo confuso e sperduto che prova ad entrare in un mondo che non gli concede alcun appiglio. Richie è un ragazzo problematico, dallo sguardo quasi assente, dalle poche parole, sussurrate quasi sotto voce (straordinaria l’interpretazione di Tye Sheridan). Ancora incapace di poter trovare una propria stabilità inizia a commettere furti e piccoli crimini per poter sbarcare il lunario. Alla sregolatezza della sua vita si mischia poi il tentativo di trovare un lavoro, finché non si intromette nella sua storia l’elemento devastante, Swim che trascinerà in avventure sempre più estreme che porteranno la polizia sulle loro tracce.

L’ultimo personaggio che accidentalmente si incastra nella vita del protagonista è quello di Joan (molto brava l’attrice Imogen Poots), una giovane ragazza benestante che tenta di introdurre Richie nella sua vita. Ma le loro realtà sono troppo lontane per convivere. E quando forse uno spiraglio sembra aprirsi, il crimine commesso lo punisce in maniera ancora più drammatica, senza lasciargli scampo. L’espiazione forse riuscirà a trasmettergli una speranza per dare un senso al suo futuro.

A.J. Edwards disegna un mondo sfocato tra le strade del Texas, fatto di movimenti fluidi e liberi, grandangoli, vuoti e sovrapposizioni di luci e suoni, tra il reale e l’angoscia con lo sfondo di una natura immobile e ostile. Il regista porta sullo schermo il peso di una vita ai margini, la ricostruzione di una verità degradante, ma questo lo fa sempre mantenendo salda la sua percezione artistica delle immagini, facendo così trasparire le influenze subite dal suo maestro Terrence Malick. Angosciosamente innovativo Friday’s Child, vede inoltre coinvolto anche Gus Van Sant in veste di produttore esecutivo.

Un film che rimane attaccato alla pelle. Nonostante tutto si rimane legati ai personaggi fino alla fine, alla ricerca forse di un senso a tutto quello che sta accadendo, fino all’ultimo sospiro finale, fino a quel colloquio devastante e gelido che nello stesso tempo restituisce una dignità ed una ragione di esistere ad entrambi.

data di pubblicazione:27/10/2018