L’UOMO SEME diretto e interpretato da Sonia Bergamasco

L’UOMO SEME diretto e interpretato da Sonia Bergamasco

(Teatro Vascello – Roma, 5/10 marzo 2019)

Sonia Bergamasco porta in scena al Teatro Vascello dal 5 al 10 marzo 2019 una stupefacente storia tutta al femminile dando forma e immagine alla scrittura forte e appassionata di Violette Ailhaud, autrice de L’uomo semeUno spettacolo sofisticato e profondo, in cui voce, canto e movimento si alternano e si sovrappongono in maniera armonica. Una storia sulla crudeltà della guerra e sul desiderio di amore e di maternità delle donne.

 

Scritto nel 1919 e tenuto segreto per volontà dell’autrice, fino al 1952, questo breve racconto viene pubblicato in Francia nel 2006 e diviene notissimo soprattutto con il passa parola. Tradotto in molte lingue, viene messo in scena da Sonia Bergamasco che lo ho ripensa e lo costruisce in chiave di ballata.

In un villaggio di montagna dell’Alta Provenza, all’indomani della Grande Guerra, tutti gli uomini sono morti. Il paese è abitato solo da donne e bambini. Violette Ailhaud, testimone dei fatti, trova solo allora le parole per raccontare di quando, ancora ragazza, il suo villaggio aveva vissuto un’identica tragedia. Nel 1852 tutti gli uomini di un piccolo paese vengono uccisi, deportati o imprigionati perché ostili al colpo di stato di Napoleone III. Restano solo mogli, figlie, madri e fidanzate che con dolore e tenacia, cercano di ricostruire la comunità.

Le donne stringono un patto: condivideranno il primo uomo che metterà piede nel villaggio. Avrà precedenza quella che lui toccherà per prima. Subito dopo, il seme maschile sarà diviso senza generare rivalità. Quando un uomo arriva casualmente nel villaggio, però, la forza del desiderio e la fascinazione introducono una novità nel corpo e nella mente della protagonista. I due si innamorano, si desiderano, merito anche del comune amore per i libri. L’uomo rispetterà il patto, farà quel lavoro perché lo ritiene un suo dovere, perché gli piacciono le cose ben fatte, ma lo farà senza amore e andrà via. I figli nasceranno e saranno di tutto il villaggio.

Sonia Bergamasco ideatrice, regista ed interprete dello spettacolo, racconta lo spaccato di vita di una giovane donna, le sue lacerazioni ed il suo innamoramento che la farà vibrare ma che alla fine resterà sospeso. Ma è anche il suo racconto della guerra dal lato delle mogli e delle madri e della voglia di vita e di rinascita di queste donne.

La Bergamasco coinvolge il quartetto vocale pugliese delle Faraualla (straordinarie Loredana Savino, Gabriella e Maristella Schiavone, Teresa Vallarella) e il suono delle percussioni di Rodolfo Rossi per un percorso musicale atavico e ancestrale che fonde ritmi, voci, linguaggi e suoni. Un allestimento raffinato che si avvale delle scene e dei costumi di Barbara Petrecca e del disegno luci di Cesare Accetta. Al centro un enorme albero spoglio con i rami come braccia aperte e sofferenti, un dolmen quasi sacro e protettivo, simbolo della forza della natura e della vita nonostante tutto.

L’uomo seme è infatti il racconto di un femminile arcaico legato al cerchio delle stagioni e ai rituali della terra. Queste donne sopportano la violenza e gli oltraggi della guerra e dell’odio ma soprattutto ricercano quell’istinto di sopravvivenza che è una riflessione profonda sul potere della vita, sulla forza del desiderio e sulla capacità delle donne di guardare al futuro.

data di pubblicazione:10/03/2019


Il nostro voto:

IL CIELO NON È UN FONDALE di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini

IL CIELO NON È UN FONDALE di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini

(Teatro India – Roma, 6/10 marzo 2019)

Quattro figure popolano lo spazio tra un fondale nero ed un termosifone bianco. Tagliarini inizia a narrare il suo sogno e il suo incontro con una Deflorian barbona e problematica e pian piano ognuno si piega alla propria esigenza di raccontare e raccontarsi. Si apre cosi Il cielo non è un fondale lo spettacolo di Daria Deflorian ed Antonio Tagliarini in scena al Teatro India di Roma dal 6 al 10 marzo 2019. Un racconto urbano basato sulle memorie che quattro voci intrecciano fra loro, creando strade, connessioni e incroci, un puzzle di monologhi interiori che vengono fuori intervallati al canto. Il recitato è spontaneo, privo di accessori, dosato e diretto. Le parole riflettono le esistenze all’interno di luoghi familiari e privati nei quali ognuno manifesta il proprio spazio intimo.

 

In una metropoli di tutti e di nessuno, appaiono e scompaiono le figure di Alom, il venditore di rose che un tempo era un generale nell’esercito del Bangladesh, di Mohamed il cuoco pakistano, della vera barbona incrociata nel giardino del sogno e che assomiglia a Daria, e poco importa se siano ricordi di autentici incontri o fantasmi rimasti impigliati. Una struttura estremamente semplice, una recitazione minimale e naturale, un testo equilibrato e profondamente ironico, capace di esasperare e celebrare ogni piccolo elemento o imprevisto quotidiano, la possibilità di far diventare assurdo ogni piccolo episodio trascorso e contemporaneamente di innalzarlo a situazione condivisa o condivisibile per la sua verità innegabile.

Così senza continuità e senza un apparente filo logico e narrativo si arriva alle riflessioni domestiche di Daria Deflorian ed il suo rapporto con il termosifone in ghisa alternato alla parodia con le proprie ambizioni di attrice, alle fughe notturne al supermercato, dosate con raffinata e consapevole comicità.

Uno spettacolo che restituisce un senso di familiarità al pubblico che si ritrova in quelle piccole confessioni sulle proprie abitudini che si scontrano con la realtà esterna e le sue tempistiche schizoidi, in uno stato di completo sfasamento con il circostante.

Un atto drammatico apparentemente “senza trama e senza finale” che parte dal sogno secondo una ritmica efficace di incontri e di confronti, di cadute e di incidenti, di parole e di canzoni.  I quattro attori (i bravissimi Francesco Alberici, Daria Deflorian, Monica Demuru, Antonio Tagliarini) esplorano la nostra condizione urbana, aprendo un dialogo tra finzione e la realtà e finendo per popolare la scena di termosifoni bianchi di ghisa, unici elementi in grado di riscaldare le coscienze e diffondere calore.

data di pubblicazione:09/03/2019


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MARATONA DI NEW YORK di Edoardo Erba, regia e adattamento di Andrea Bruno Savelli

MARATONA DI NEW YORK di Edoardo Erba, regia e adattamento di Andrea Bruno Savelli

(OFF/OFF Theatre – Roma, 26 febbraio/3 marzo 2019)

Maratona di New York di Edoardo Erba uno dei testi teatrali contemporanei più rappresentati al mondo, è in scena all’OFF/OFF Theatre di Roma dal 26 febbraio al 3 marzo 2019. Un progetto rappresentato da oltre vent’anni che è anche una prova fisica di resistenza con gli attori impegnati a correre per l’intera durata della pièce. Il nuovo allestimento, proposto da Andrea Bruno Savelli, presenta una nuova sfida in quanto le protagoniste sono due donne.

 

 

Da una parte c’è una leader, nella corsa così come nella vita, una donna determinata, forte e sicura (interpretata da Fiona May) e dall’altra la sua amica, più insicura, incerta, fortemente legata ad un passato dal quale non riesce a separarsi (interpretata da Luisa Cattaneo). Le due donne devono allenarsi tutti i giorni per prepararsi alla maratona di New York. Inizia l’allenamento ed inizia il dialogo tra le due, con un incedere progressivo anche verbale che scandisce i ritmi e delinea lo stato d’animo di entrambe. Aumenta la velocità ed aumentano i battiti e le emozioni, si inizia a definire un orizzonte difficilmente percepibile ad inizio dell’allenamento. Per tutta la durata dello spettacolo le due donne sviluppano una vera corsa, che cresce insieme all’enfasi per una vicenda che pian piano comincia a rivelarsi in tutta la sua drammaticità. D’un tratto i riferimenti, la strada, le chiavi della macchina, il contesto, i ricordi cominciano a sbiadirsi ed appare quella che è la vera meta. Un’affannata corsa fisica ed emotiva nel profondo delle loro esistenze.

La Maratona di New York è un inno all’amicizia al femminile, uno spettacolo forte e moderno che si estende a qualsiasi idea di vicinanza umana. Un confronto tra due donne tra determinazione e insicurezza, tra passato e futuro che è anche un incontro fra due amiche, che si confidano dubbi, paure e incertezze, cadendo e ferendosi proprio come accade in una corsa reale, che questa volta è, un’estrema ultima volata. Una drammaturgia dallo straordinario impatto emotivo dove il gesto sportivo diventa una metafora del percorso della vita. Un percorso immaginario che, tra ostacoli, fatica, sudore, ricordi, tempo e spazio sospesi, celebra la storia di un’amicizia sincera e fraterna.

data di pubblicazione:03/03/2019


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CAVOLI A MERENDA di e con Pino Strabioli

CAVOLI A MERENDA di e con Pino Strabioli

(Teatro della Cometa – Roma, 19 febbraio/3 marzo 2019)

Un delicato omaggio a Sergio Tofano autore, attore, regista, illustratore, scrittore, figura fondamentale del 900 e della storia culturale italiana, raccontato ed evocato da Pino Strabioli come solo lui potrebbe. Cavoli a merenda, un escursus leggero e senza tempo tra le opere di Tofano tra burattini e musica, in scena al Teatro della Cometa di Roma dal 19 febbraio al 3 marzo.

 

Una narrazione garbata e raffinata, ironica e divertita per raccontare la personalità di Tofano, filastrocche di personaggi, giovincelli, venditori, portinaie, piccoli industriali, avvocati, un piccolo mondo che, dietro l’apparente allegria, nasconde i dolori e le difficoltà dell’Italia del ‘900. Tra ragazzini con difficoltà di lingua e l’inventore dell’attaccapanni, tra maldicenze gratuite e papere bianche e nere, per finire con il Signor Bonaventura, l’uomo baciato dalla fortuna in compagnia del mitico bassotto, che ha spronato alla lettura intere generazioni di ragazzini sulle pagine del Corriere dei piccoli. Piccole storie di vita più o meno quotidiana in compagnia di forme, marionette, figure ed il suono di una chitarra. Una passeggiata divertita nella sua scrittura, fra i personaggi folli e stralunati delle sue novelle grazie alla voce ed alla presenza di Pino Strabioli, un signore del nostro teatro, con il suo modo gentile e colto di affabulare.

Con la collaborazione di Andrea Calabretta (burattini, oggetti, ombre) e Dario Benedetti (chitarra), Pino Strabioli racconta il poliedrico Sto, lo pseudonimo con cui Tofano amava firmare i suoi racconti ed i suoi fumetti. Uno spettacolo nato dalla voglia di scavare nella memoria, nella cultura del novecento, nei ricordi delle generazioni che cresciute leggendo del Signor Bonaventura, per allontanare le sventure ed inseguire il sogno del milione.

data di pubblicazione:25/02/2019


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ENRICO IV di Luigi Pirandello regia di Carlo Cecchi

ENRICO IV di Luigi Pirandello regia di Carlo Cecchi

(Teatro Argentina – Roma, 12/24 febbraio 2019)

Enrico IV è una pietra miliare del teatro pirandelliano e della sua intera poetica. L’opera, in calendario al Teatro Argentina dal 12 al 24 febbraio 2019 per la regia di Carlo Cecchi, porta in scena i grandi temi della maschera, dell’identità, della follia e del rapporto tra finzione e realtà attraverso le vicende di un uomo, un nobile dei primi del Novecento, che da vent’anni vive chiuso in casa vestendo i panni dell’imperatore Enrico IV di Germania (vissuto nell’XI secolo), prima per vera pazzia, poi per simulazione ed infine per costrizione. Ciò che va in scena è la follia del teatro, un teatro che guarda al reale svelando il suo gioco e gli inganni interiori. Il testo è alleggerito dall’originale in quanto i lunghi monologhi sono ridotti in maniera estrema, secondo un linguaggio contemporaneo in una messa in scena che alterna atmosfera di prove aperte e di rappresentazione e nella quale Carlo Cecchi sfodera ironia, sarcasmo ed intelligenti intuizioni fuori copione.

 

 

Il regista focalizza la sua attenzione su quell’uomo che decide di portare avanti la messinscena di Enrico IV in pellegrinaggio da Matilde di Canossa ben oltre gli effetti della caduta da cavallo. Per anni vive una vita patinata e fiabesca con l’aiuto di quattro uomini pagati per fingersi suoi consiglieri, ma a un certo punto riconquista la ragione e si rende conto che tutti lo prendono per pazzo. Allora capisce che esserlo gli conviene, permettendogli di osservare, da fuori, la grande sceneggiata predisposta per lui, che coinvolge anche la donna che amava, Matilde Spina, l’amante di lei Tito Belcredi, un dottore che vuole provocargli uno choc per farlo rinsavire. Cancella la propria vita per scegliere il teatro e per il teatro impazzisce e continua a fare quella recita che dapprima è una tragedia e poi diventa farsa.

Adattatore, regista e attore proprio nei panni del protagonista, Cecchi non si prende per niente sul serio e procede a una sforbiciata radicale del proprio personaggio riuscendo a usare finzione e umorismo ai fini di un gioco che spiazza e confonde lo spettatore: l’intreccio di normalità e follia, la perdita d’identità, il rapporto tra reale e maschere che indossiamo o che gli altri ci costringono a indossare, il fallimento della scienza, la rinuncia alla vita per non affrontare la sofferenza, la follia come fuga e rifugio – qui aleggiano la mascherata e il teatro nel teatro. A sostenere la struttura performativa alcuni bravi attori che fanno parte del vissuto di Cecchi: Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Tirifirò, insieme a Chiara Mancuso, Remo Stella.

Carlo Cecchi esaspera la finzione, dimostra la falsità di quella macchina teatrale che vive grazie a personaggi, che si nutre di gesti stereotipati non reali. E non è un caso che l’ultima battuta sia «Su, alzati, domani c’è un’altra replica», perché il Teatro offre la possibilità e la libertà di riprovare e rifare. La tragedia allora si trasforma in farsa e la macchina del teatro continua.

data di pubblicazione:15/02/2019


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