da Rossano Giuppa | Nov 26, 2015
(Teatro Ambra Jovinelli – Roma, 12/ 29 novembre 2015)
Erano i mitici anni ’60. Quattro donne, molto amiche tra loro, giocano a carte e parlano in un salotto. Ogni giovedì, da molti anni, si riuniscono per fare una partita, chiacchierare, passare il pomeriggio. Portano con sé le loro bambine che giocano nella stanza accanto. Nessuna di loro lavora: fanno le madri, le mogli, si conoscono da molto tempo. Una di loro è incinta. Nella stanza accanto le loro figlie giocano alle signore, si ritrovano anche loro ogni volta che si incontrano le loro madri. Quarantacinque anni dopo le quattro bambine, ormai delle donne, si rivedono nella stessa casa e continuano quel dialogo mai interrotto, sul ruolo della donna, sui figli, sulla vita coniugale, sulla morte. Un confronto forte e immediato tra l’universo femminile dell’Italia degli anni ‘60 e quello di oggi, raccontato da quattro attrici che diventano otto donne. Le prime mogli e madri, dipendenti economicamente e senza un lavoro e hanno incentrato le proprie vite sulla dipendenza dal ruolo di madri e casalinghe. Nel secondo atto, invece le quattro bambine ormai cresciute si raccontano in un presente più agitato e frenetico, in cui l’indipendenza da casa lavoro, famiglia ha comportato il ridisegno e di ruoli e responsabilità.
Due partite, il testo di Cristina Comencini, torna in scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma fino al 29 novembre 2015, a 10 anni di distanza con un nuovo grande cast al femminile. Se nella prima messa in scena c’erano Margherita Buy, Isabella Ferrari, Valeria Milillo e Marina Massironi, a giocare nel doppio ruolo di mogli-madri-amanti negli anni ’60 e delle figlie 40 anni dopo, oggi ci sono attrici altrettanto brave e di successo: Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti e Giulia Bevilacqua, dirette dall’esordiente Paola Rota.
I fili che tengono unite queste donne sono i capisaldi dell’esistenza: la nascita e la morte. I dialoghi si inframmezzano di tragico e comico al tempo stesso in un flusso di pensieri e parole in cui madri e figlie si confondono e si riflettono in una continua dinamica di fusione e opposizione.
Un testo interessante e coinvolgente, non banale, su due epoche allo specchio, su due modi diversi di essere donne, alla ricerca di differenze e similitudini, nel tentativo di definire, oggi come ieri, la stessa identità femminile.
Molto brave le attrici, in grado di esaltare il lato sentimentale, frivolo, anche ridicolo delle madri a fronte di quello più agguerrito, impegnato e frustrato delle figlie, in un gioco di insieme che esalta l’ecletticità e lo spirito di squadra soprattutto di Paola Minaccioni, Giulia Bevilacqua e Giulia Michelini, mentre rimane un po’ più distaccata e legata ai suoi personaggi la Guzzanti.
data di pubblicazione 26/11/2015
Il nostro voto: 
da Rossano Giuppa | Nov 17, 2015
Il soldato Manuela Paris (Kasia Smutniak), appena rientrata dall’Afghanistan dov’è stata vittima di un attentato, deve combattere una sua personale guerra, ovvero il difficile reintegro nella vita di tutti i giorni. In quell’attentato sono morti alcuni dei suoi uomini, lei stessa è stata gravemente ferita e il sul corpo è segnato da cicatrici profonde, da ricordi dolorosi e confusi. Personaggio chiuso, essenziale, trattenuto, in un inverno freddo e umido deve ricomporre il proprio passato disperso nella luce e nella polvere dell’Afghanistan. Nella cittadina di mare vicino a Roma dove abita con la famiglia, Manuela incontra Mattia (Adriano Giannini), un misterioso ospite dell’Hotel Bellavista. L’uomo, apparentemente senza passato, come lei è sospeso in un limbo di attesa e di ricordi e assieme, si avventurano in un gioco inaspettato di sentimenti e scontri. L’incontro è l’occasione per fare ognuno i conti con la propria storia. Sovrapposizioni di pensieri e di immagini: scene di guerra contrapposte a quelle domestiche, il rito del pranzo di Natale in famiglia, gli incubi notturni, il dolore fisico, i parenti che vorrebbero sapere, il sesso, i silenzi. Il Limbo è la condizione di sospensione in cui si trovano i due protagonisti, la bolla che li separa dalla propria esistenza. Come uscire dal limbo? Forse solo con l’amore o meglio con la speranza dell’amore. Le due anime ferite, che vivono le proprie cicatrici, possono aprirsi al mondo ed all’amore accettando le proprie sconfitte e i propri destini.
Senza un filo di trucco, trincerata nel dolore, Kasia Smutniak è la tormentata protagonista di Limbodi Lucio Pellegrini, il film tv tratto dal romanzo di Melania Mazzucco (edito da Einaudi), presentato al Fiction Film Fest di Roma il 14 novembre e in onda su Rai1 il 2 dicembre, premiata, grazie alla sua forte ed intensa interpretazione, quale miglior attrice allo stesso Fiction Film Fest.
Un racconto quanto mai attuale che affronta il tema dei soldati di pace, dei valori della libertà e della democrazia, ma anche il racconto dello sguardo femminile sulla guerra, delle resistenze e dei pregiudizi che la protagonista deve combattere per affermare la sua leadership su un gruppo di soldati uomini.
Una storia difficile, dura, non rassicurante, ma certamente coinvolgente.
data di pubblicazione 17/11/2015
da Rossano Giuppa | Nov 16, 2015
Cinque lunghi e commossi minuti di applausi. Il Fiction Film Fest di Roma, il più importante appuntamento italiano dedicato al mondo delle serie televisive si è aperto l’11 novembre con Lea, una potente e sofferta storia, tutta al femminile, di ribellione ai soprusi e di rivolta alla ‘ndrangheta. Una storia straordinariamente narrata da Marco Tullio Giordana ancor più cruda perché legata alla vicenda vera di Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia che accusò il suo stesso marito e la sua cosca calabrese, e che dal marito venne fatta “sparire” il 24 novembre del 2009.
Lea è cresciuta in una famiglia criminale e un criminale è anche il padre di sua figlia Denise, l’uomo di cui si innamora da ragazza. Lea, però, desidera per sé e Denise una vita diversa, senza violenza e paura. Decide allora di collaborare con la giustizia e viene sottoposta con sua figlia al regime di protezione che poi per incomprensibili motivi burocratici le viene revocato. Rimasta senza soldi e senza la possibilità di trovarsi un lavoro, Lea chiede aiuto al marito per il mantenimento della figlia e lui ne approfitta per vendicarsi. Lea viene rapita per strada, torturata e alla fine uccisa e fatta sparire. Denise viene affidata al padre, ma pur essendo solo una ragazzina, non si piegherà; infiltratasi nella cosca familiare riuscirà a denunciare i veri colpevoli, fratello e padre, smascherati da un pentito, finché il corpo viene trovato: ergastolo per tutti, mentre la 24enne Denise vive ora da sorvegliata speciale.
Una grande storia di denuncia e impegno che rende omaggio a due donne diventate un modello civile di coraggio e coerenza. Una testimonianza esemplare di un destino già scritto, una tragedia greca raccontata con un linguaggio realistico ed immagini essenziali e profonde che enfatizzano il desiderio di giustizia e la voglia di legalità che reclama il nostro paese. Una narrazione asciutta e dolorosa che espone con lucidità e anima l’ordine cronologico degli avvenimenti, come solo Giordana sa rappresentare, grazie anche alla sua capacità di dirigere gli interpreti, tutti straordinari, a partire dalle due protagoniste, Vanessa Scalera (Lea) e Linda Caridi (Denise) anche se non noti, ma vivi, veri e indelebili.
Un film tv che si potrà vedere su Rai1 il 18 novembre, un’opera di grande valore civile, e di denuncia contro l’omertà, la sottomissione, le leggi non scritte della ‘ndrangheta, di rivolta per il bene dei figli, di coraggio di madre e di figlia e di amore materno assoluto, sopra tutto e tutti.
data di pubblicazione 16/11/2015
da Rossano Giuppa | Ott 29, 2015
(Teatro Vascello – Roma, 28 ottobre/1 novembre 2015)
Ossa, poltrone dai broccati polverosi e sfilacciati, tendini in tensione, atmosfere sulfuree, canti sintetici di uccelli all’orizzonte. Nel mezzo l’azione di un’unica protagonista, Paola Lattanzi. Il suo è un movimento androgino, violento, tribale e irrefrenabile, ma al tempo stesso rigoroso e mistico. Espressioni corporee esasperate che fendono un spazio ampio e indefinito, crudo.
E’ Sopra di me il diluvio, l’ultima creazione di Enzo Cosimi, coreografo e regista tra i più autorevoli della danza contemporanea italiana, debutto assoluto della Biennale Danza 2014 diretta da Virgilio Sieni, Premio Danza&Danza 2014 come Migliore Produzione Italiana, al teatro Vascello fino al 1 novembre.
Cinquanta minuti di pathos viscerale, di mimiche estreme, di scatti e tensioni, di dramma e dolore; una riflessione potente sulla vita terrena e sul rapporto con la Natura. A gambe aperte tra fossili e reperti tribali, la donna evoca l’eros e selvaggiamente marca il territorio. Toglie le scarpe feticcio e si denuda. Affonda il viso in una scatola, lo rialza con in bocca strisce di stoffa rosso fuoco. Ha azzannato la preda. Nel frattempo ossa e reperti diventano collane, decoro, simboli. Pian piano la luce si intensifica e si raffredda e sale come la nebbia. Tutto ora è bianco ed etereo. Anche i frastuoni ed i silenzi hanno lasciato il posto ad una nenia ancestrale e toccante e l’Africa con le sue violenze e le sue contraddizioni, con la sua purezza e la sua vitalità primaria, diventa l’immagine portante che dal piccolo monitor televisivo si espande sulla scena e su tutti.
data di pubblicazione 29/10/2015
da Rossano Giuppa | Ott 25, 2015
Elle (Lily Tomlin) è una nonna speciale. Poetessa, lesbica, sgorbutica, intelligente e folle, ha un passato doloroso alle spalle, una ferita ancora aperta per la morte della partner dopo 38 anni insieme. Improvvisamente si trova a dover rispondere alla richiesta di aiuto della nipote Sage, diciotto anni appena ed un problema di non poco conto, una gravidanza inaspettata e da interrompere; e solo una mattinata davanti per trovare i 630 dollari che una clinica le ha preventivato per effettuare l’operazione, prevista per il pomeriggio.
Inizia cosi un viaggio in macchina per ville e colline di Los Angeles alla ricerca della somma necessaria per affrontare l’intervento. La madre della ragazza nonchè figlia di Elle è una donna in carriera, i rapporti non sono idilliaci, impossibile chiederle aiuto. Elle è un fiume in piena, divertente, isterica e straziante. La recente perdita, la morte di quella donna con cui ha vissuto un’intera esistenza, l’ha spezzata in due, allontanandola dalla figlia e rendendola ancor più intrattabile di prima. Anche la recente storia con una donna più giovane sta naufragando. Inizia così la ricerca del denaro e come il vaso di Pandora ogni piega irrisolta del passato viene fuori, aprendo di fatto un sentiero che porterà le due donne a conoscersi meglio, coinvolgendo alla fine anche la madre della ragazza, ricucendo così i sentimenti di una famiglia fino ad allora divisa.
Aborto, omosessualità, responsabilità, amore, famiglia sono i temi affrontati con forza e chiarezza in un film che però non giudica e si limita, con grande efficacia, a raccontare la vicenda.
Pensato e diretto da Paul Weitz, che ha regalato al cinema prodotti come About a Boy o il culto generazionale American Pie, Grandma è un indie on the road con tre grandi attrici, mamma (Marcia Gay Harden), figlia (Julia Garner) e nonna (la già citata Lily Tomlin) con momenti divertenti e battute efficaci, una storia tutta al femminile alle prese con un bilancio delle proprie scelte generazionali.
Cinico, malinconico ed esilarante, Grandma è una pellicola sulle relazioni, interrotte e da recuperare, su segreti non detti e rancori mai superati, su affetti sepolti che ritornano a galla. Una storia forte di indipendenza e di sentimento fra tre donne difficili, di fatte cresciute senza uomini, che alla fine si ritrovano, ridando essenza e vitalità alle loro stesse esistenze .
data di pubblicazione 25/10/2015

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