da Rossano Giuppa | Ott 16, 2023
(Roma Europa Festival 2023)
Caterina Barbieri, artista dal background internazionale che esplora gli effetti psico-fisici del suono tra estasi e allucinazioni temporali è tornata al Roma Europa Festival lo scorso 15 ottobre per presentare al Teatro Argentina di Roma il suo ultimo lavoro Spirit Exit che trova ispirazione nelle suggestioni di Santa Teresa d’Avila, Rosi Braidotti, Emily Dickinson e altre donne dalla forza visionaria, grandi figure femminili del passato per sonorità e melodie sperimentali, sintetizzatori e mondi interiori. (foto Furmaan Ahmed).
Caterina Barbieri è una compositrice e musicista italiana che vive e lavora a Berlino. Il suo lavoro esplora gli effetti psicofisici della ripetizione e delle operazioni basate su schemi nella musica, indagando il potenziale polifonico e poliritmico dei sequencer per creare composizioni suggestive, innovative e mistiche al tempo stesso. Nel giro di pochissimi anni è passata dall’essere una delle artiste più significative della scena underground elettronica italiana a uno dei nomi di punta del panorama internazionale. Complice quel suo tocco in grado di tenere insieme sound elettronici più classici e sperimentazione evoluta, algoritmi e mente umana.
Le sue ultime pubblicazioni Fanta Variations e Spirit Exit hanno ricevuto il plauso di critica e pubblico disegnando le tracce di questo slittamento fino all’inaugurazione della propria etichetta Light-Years. Proprio Spirit Exit, presentato sul Palco dell’Argentina con il light designer Marcel Weber e le immagini video di Ruben Spini, scritto in piena pandemia ed ispirato alla figura di filosofe e mistiche, recluse per vocazione o carattere come Santa Teresa D’Avila, Rosi Braidotti e a Emily Dickinson, sembra una sfida all’immobilità, un viaggio che ingloba per la prima volta arrangiamenti integrati, utilizzo di strumenti organici e voce.
Il mondo sintetico e cibernetico a cui l’artista ci aveva abituati, accoglie ora voce e testi che arrivano come lampi fluttuanti nello spazio.
Spirit Exit è perciò un nuovo capitolo della sua vita artistica. È un disco di affascinante abilità musicale, fortemente austero, con sovrapposizioni di sintetizzatore che si incastrano e si separano. Perfetta l’esibizione, mistica ed aliena, la gestualità post moderna, ponte tra poesia ed elettronica, tra umano e post-umano, il light design avvolgente e centripeto, un viaggio esperienziale tra coni di luce ed atmosfere rarefatte.
data di pubblicazione:16/10/2023
da Rossano Giuppa | Ott 12, 2023
(Roma Europa Festival 2023)
Può succedere che una idea performativa venga concepita appena prima di addormentarsi, in uno stato di sospensione che spesso è carico di emotività e di creatività. Nell’assolo Somnole, Boris Charmatz, uno dei più celebrati coreografi francesi del panorama contemporaneo e dal 2022 direttore del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, nella doppia veste di coreografo ed interprete, indaga la condizione biologica dell’ibernazione, osservando ciò che succede al di sotto della superficie, dal sognare a occhi aperti alla scossa del risveglio. Il tutto mentre riecheggiano reminiscenze musicali fischiettate dallo stesso, che danno una dimensione sonora al percorso fisico e mentale dell’artista attraverso una danza in divenire fluido (foto Marc Domage).
Sonnecchiare in attesa del sonno. S’intitola Somnole il primo assolo che Boris Charmatz ha scritto per sé ed andato in scena 10 e 11 ottobre al Teatro Argentina per Romaeuropa Festival.
Le coordinate del lavoro sono racchiuse tra il movimento perpetuo, la voglia di ballare, di saltare e di esaurire l’energia del fisico, e un’immagine del corpo più calma, anche più oscura, che rimanda all’arresto dopo l’esaurimento, alla sonnolenza. Nato anche per effetto del confinamento causato dall’emergenza Covid, Somnole vuole evocare soprattutto i gesti degli insonni, dei sonnambuli.
A torso nudo, con una gonna ed emerso dal buio, Charmatz studia e delimita lo spazio a falcate rapide e a passi leggeri; cammina, corre, salta ostacoli immaginari e guarda l’aria attorno a sé da più prospettive; linee e piani verticali ed orizzontali cercando ora un sostegno, ora un nemico contro cui scagliarsi e battersi; sfianca il proprio corpo, ostentando il sudore e battendosi il ventre. Tutto d’un fiato. Dall’inizio alla fine lui stesso fischia le note su cui danza, una performance di suono e gesto, un tour de force poetico, un assolo con il desiderio di dominare la scena, ma anche di condividerla con il pubblico.
Nella costrizione di una coreografia prima pensata e solo in un secondo momento eseguita, Somnole va oltre la stessa sonnolenza da cui nasce, diventando vortice con cui il danzatore interagisce in contrapposizione alla stasi del corpo dormiente e immobile.
Nello sforzo il respiro reclama spazio e detta il ritmo assieme alla voce che ogni tanto si fa largo e vibra tra le corde di un corpo a cui si sta chiedendo sempre di più per una composizione fisica e musicale che Charmatz compone ed interpreta con gran classe.
data di pubblicazione:12/10/2023
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Ott 7, 2023
(Roma Europa Festival 2023)
Il regista svizzero Milo Rau, appena nominato direttore del Wiener Festwochen, chiude la Trilogia degli antichi miti, cominciata con Orestes in Mosul e seguita da Il Nuovo Vangelo con l’opera Antigone in Amazzonia, che ha debuttato in prima nazionale al Teatro Argentina di Roma il 3 e il 4 ottobre, nell’ambito di Romaeuropa Festival 2023. Uno spettacolo che riadatta l’Antigone di Sofocle associandola ad un preciso episodio, il massacro di Eldorado do Carajàs una strage, avvenuto il 17 aprile del 1996, nella quale diciannove contadini, che avevano occupato per protesta un tratto di autostrada, furono uccisi dalla polizia militare. Corpi lasciati senza sepoltura che sanno di oltraggio e condannati a non avere mai pace, come per Polinice, fratello di Antigone.
(foto Kurt Van Der Elst)
Con Antigone in Amazzonia prosegue il percorso di Rau al REF nel segno di un teatro che, attingendo dalla classicità occidentale, si confronta con i grandi temi della nostra attualità. Lo spettacolo è stato pensato ed in parte realizzato nello stato brasiliano del Parà. Qui insieme a MST – Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra, ad attori professionisti e non professionisti e coinvolgendo le popolazioni indigene, Rau ha ridisegnato la tragedia greca utilizzandola come metafora per costruire un affondo sulle conseguenze prodotte dal conflitto tra sviluppo senza controllo e gli ancestrali proprietari della terra.
Nella primavera 2019 Milo Rau si reca nello Stato brasiliano del Parà dove le foreste bruciano senza sosta ed entra in contatto con le lotte degli indigeni e con il Movimento decidendo di adattare la tragedia di Antigone alla tragedia contemporanea che minaccia la sopravvivenza stessa dell’umanità mettendo insieme attori professionisti e no e trasponendo in teatro e video, presente e passato, realtà e finzione, su più piani visivi e temporali.
Sul palco del Teatro Argentina, coperto da uno spesso strato di terriccio si muovono soltanto Pablo Casella e Frederico Araujo, insieme a De Bosschere e De Tremerie. Manca all’appello Kay Sara: l’attrice e attivista brasiliana, nella quale Rau aveva riconosciuto Antigone, ha infatti abbandonato la produzione prima che questa trovasse compimento ritirandosi nel profondo dell’Amazzonia per stare vicina al suo popolo.
A interpretare il ruolo della figlia di Edipo è quindi Araujo, in un’operazione di sovrapposizione di generi: è lui, in una delle sequenze più forti, a ricordare quanti e quali crimini abbiano insanguinato la comunità LGBTQIA+ brasiliana, mentre urlando raccoglie manciate di terra dal palco e la getta. Kay Sara compare solo in video, insieme a un coro composto da contadini, sindacalisti e lavoratori rurali di Marabà, alcuni dei quali sopravvissuti al citato massacro perpetrato dalla polizia nel 1996, durante una manifestazione pacifica avvenuta nello Stato di Parà. Come nella tragedia di Sofocle, il coro espleta il racconto degli ambiti drammaturgici più importanti; i cinque atti della tragedia classica sono qui introdotti da un prologo, eseguito in portoghese sulla musica live di Casella: ritornello del canto è il più celebre verso del dramma “molte cose sono mostruose, ma nulla è più mostruoso dell’uomo”.
Immagini nitide e devastanti: la mattanza, eseguita con crudeltà e freddezza, strazia i corpi e le anime; calci e pugni si riversano sul gruppo, finché un proiettile sparato nella nuca dei manifestanti spegne il corteo nel sangue e nel silenzio. Rau sdoppia l’azione e il tempo tra palco e video: le immagini cinematografiche, il corpo di una delle vittime che Antigone, contro il diktat di Creonte, vuole seppellire; il lamento di Kay Sara è una litania straziante e ancestrale, un compianto funebre che tuttavia si interrompe, improvvisamente, con una frase pronunciata verso l’obiettivo della telecamera. “Stop filming”, urla l’attrice, ribandendo come l’arte non possa lenire il dolore.
Non è però con il rimpianto di Creonte, o con la profezia così realistica del cieco Tiresia, che Milo Rau chiude la sua Antigone. C’è un sesto atto inatteso. Un secondo video mostra un esito diverso del massacro del ’96: ecco i morti alzarsi in piedi, sotto lo sguardo attonito dei presenti; ecco i poliziotti levarsi i caschi, posare i manganelli e i fucili; ecco tutti stringersi le mani, abbracciarsi, e intonare un canto di riconciliazione, la pacificazione, impossibile e commossa, tra vittima e carnefice.
data di pubblicazione:07/10/2023
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Set 20, 2023
(Roma Europa Festival 2023)
Il 19 e 20 settembre è andata in scena al Teatro Argentina di Roma, nell’ambito del Roma Europa Festival, la performance Angela (a strange loop) con la regia di Susanne Kennedy e lo stage design a cura dell’artista Markus Selg. La regista si concentra su un personaggio femminile, Angela influencer che ha una malattia ignota, per interrogare l’evoluzione del nostro immaginario e invita il pubblico a un’esperienza sensoriale, visiva e fenomenologica. La sua storia è un percorso multimediale tra il buio e la luce, tra il reale e virtuale.(foto Julian Roder)
Lo spettacolo si apre con un testo in loop sul fondo della scena che anticipa come tale spettacolo sia una ricostruzione di eventi reali, una storia vera basata su diari privati e documenti pubblici, un racconto che passa attraverso tre fasi, una prima nera iniziale, il nigredo, una fase bianca, intermedia l’albedo e una fase finale rossa, il rubedo. Siamo inizialmente in una camera da letto, ma man mano si inizia a scivolare in una realtà diversa. Attorno ad Angela, la madre, il fidanzato, un’amica ed una figura fantastica che sussurra e suona e che la accompagna in una realtà parallela. Le pareti della stanza si trasformano nel corso della storia in altri contesti, per accompagnarci in uno spazio sovrannaturale.
Il punto di partenza è una domanda che riporta alle origini stesse del pensiero: in cosa consiste l’io? Come si manifesta? E come si relaziona con la realtà? La protagonista è una influencer intrappolata nella sua routine, una donna normale anche se soffre di una malattia che le impedisce di uscire fuori dalla casa in cui si sente intrappolata ma sicura.
Il contesto in cui la domanda viene posta è però quello di un mondo che pulsa tecnologia e realtà virtuale che sta ridefinendo le logiche su cui poggia la nostra cultura. I dialoghi scorrono preregistrati: dalla nascita alla morte, l’esistenza di Angela è narrata da un avatar, un pupazzo con la voce umana presente in uno schermo in un continuo alternarsi di stati d’animo e visioni tra entusiasmo e ironia, speranza e malinconia, ingenuità e consapevolezza.
L’acclamata regista tedesca Susanne Kennedy approda per la prima volta al REF proseguendo una ricerca tra drammaturgia classica e una visionarietà digitale creata insieme all’artista multimediale Markus Selg, che segmenta l’esistenza di questo personaggio secondo uno schema in cui situazioni quotidiane, malattia e guarigione, veglia e sogno, nascita, invecchiamento e morte diventano motivo di narrazione e di costruzione tecnologica al tempo stesso, perché alla fine la differenza tra reale e virtuale non esiste più.
Performance decisamente interessante soprattutto nella sperimentazione estetica e tecnologica, densa di accadimenti attorno alla protagonista che alla fine rimane non definita, proprio perché non si riesce a percepire cosa davvero pensi o cosa provi, ciò che è vero o falso all’interno della realtà stessa. Impossibile cogliere un messaggio. Indubbiamente la soluzione migliore è abbandonare il desiderio di comprendere per perdersi nel costrutto narrativo.
data di pubblicazione:20/09/2023
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Set 12, 2023
(Roma Europa Festival 2023)
Il 10 e l’11 settembre alle 21 è tornata, nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica “Ennio Morricone”, Anne Teresa de Keersmaeker per presentare in prima nazionale la sua nuova creazione EXIT ABOVE – after the tempest. Dopo il successo dello spettacolo Drumming della scorsa edizione del Roma Europa, la coreografa, presenza storica del Festival prosegue con la sua compagnia Rosas la ricerca sul rapporto tra musica e movimento coreografico. EXIT ABOVE – after the tempest parte dal blues per arrivare all’elettronica e alla dance di oggi. In scena, assieme a danzatrici e danzatori della compagnia ci sono Meskerem Mees (cantautrice fiamminga emergente di origini etiopi) e Jean-Marie Aerts, sound designer dei TC Matic, formazione rock belga degli anni Ottanta. (foto Anne Van Aerschort).
La musica è sempre stata la grande passione ed il punto di partenza dei lavori di Anne Teresa de Keersmaker che ha fondato la compagnia di danza Rosas a Bruxelles nel 1983 proprio mentre creava l’opera Rosas danst Rosas. A partire da questa pièce rivoluzionaria, ha sviluppato una sua ricerca coreografica basata sull’esplorazione del rapporto tra danza e musica, lavorando progressivamente su strutture musicali e partiture di diversi periodi, che vanno dalla musica antica a quella contemporanea e popolare. La sua sperimentazione attinge anche agli assunti della geometria e dei modelli aritmetici, alla natura ed alle logiche sociali per creare quadri d’assieme che esaltano l’articolazione del corpo nello spazio e nel tempo.
Proprio dal riascolto di un vecchio vinile ha preso il via la collaborazione tra la coreografa e il chitarrista e sound designer dei TC Matic. gruppo, che suonava un tipo di musica contenente vari stili tra cui new wave, blues, funk, hard rock, avant-garde e chanson francese. Proprio il blues è stato sin dall’inizio il motore che ha acceso la creatività della coreografa e del sound designer Jean-Marie Aerts per realizzare la costruzione coreografica.
Lo spettacolo parte con un assolo che rievoca La Tempesta di Shakespeare per poi proseguire con un’ampia disamina del gesto del camminare: il vagare, il marciare, la corsa, l’isolamento e la pausa, il ritrovarsi in gruppo per muoversi insieme. Ad affiancare i performer in scena ci sono la straordinaria cantautrice di origini etiope Meskerem Mees e il chitarrista blues ed ex danzatore di Rosas Carlos Garbin per un dialogo intergenerazionale condotto, ancora una volta, nel segno della integrazione artistica e comunicativa. Una continua interazione tra l’individuo e il gruppo, il singolo e il collettivo che esalta la gioia del danzare di dodici giovanissimi performer.
Lo spettacolo celebra l’armonia e la diversità proprio perché basato su un gruppo di giovani danzatori tra loro estremamente eterogenei e legati da un disegno coreografico che celebra differenze e similitudini. Lavoro assolutamente moderno ed attuale dedicato alla bellezza del danzare, del muoversi, del confrontarsi, dell’ascolto. Interessantissimi i testi della cantautrice Mees così come è meraviglioso il disegno luci che esalta le differenti fisicità e l’armonia complessiva dei corpi.
data di pubblicazione:12/09/2023
Il nostro voto:
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