LA DODICESIMA NOTTE di William Shakespeare, regia di Carlo Cecchi

LA DODICESIMA NOTTE di William Shakespeare, regia di Carlo Cecchi

(Teatro Eliseo – Roma, 8/20 marzo 2016 e in tournée)

Carlo Cecchi porta in scena dall’8 al 20 marzo al Teatro Eliseo di Roma La dodicesima notte, la commedia per eccellenza di Shakespeare, in una produzione Marche Teatro Stabile in collaborazione con Estate Teatrale Veronese, in tournée in Italia fino alla fine di aprile 2016.

La commedia degli equivoci e degli scambi di ruolo, in un mix perfetto di intrecci e colpi di scena, una giostra in continuo movimento in cui si alternano personaggi variopinti e connotati, rappresentanti di uno spaccato del genere umano senza tempo ma assolutamente attuale. Un adattamento dinamico e leggero, grazie anche alla traduzione di Patrizia Cavalli, che rende il testo seicentesco decisamente contemporaneo, senza stravolgerlo nell’essenza.

Carlo Cecchi ha curato una regia equilibrata e composta. L’amore è il tema della commedia; la musica, che, come dice il Duca nei primi versi “è il cibo dell’amore”, ha una funzione determinante. Non come commento ma come azione. La scena reinventa un espace de jeu che permette, senza nessuna pretesa realistica o illustrativa, il susseguirsi rapido e leggero di questa strana malinconica commedia, perfetta fino al punto, a volte, di rasentare la farsa (Carlo Cecchi).

Trama ricca di intrecci: tutto si svolge nell’Illiria, un territorio indefinito dove Shakespeare fa approdare i suoi protagonisti scampati a un naufragio. La giovane Viola, sopravvissuta ad esso, travestita da paggio si pone a servizio del Duca Orsino e si  innamora di lui. Questi spasima per la nobildonna Olivia e le manda messaggi passionali per mezzo di Viola-Cesario. Disgraziatamente la Contessa si innamorerà proprio di Cesario e Viola si ritroverà così al centro di un bizzarro triangolo amoroso. Un inaspettato colpo di scena fa poi arrivare in Illiria il fratello gemello di Viola, Sebastiano, in realtà anche lui sopravvissuto al naufragio; i due fratelli si ricongiungono e Viola potrà finalmente confessare il suo amore al Duca mentre la Contessa vivrà felice insieme a Sebastiano. Ma in mezzo c’è dell’altro. C’è Malvoglio, il maggiordomo di Olivia, pieno di boria e di malinconia, innamorato della padrona, bersaglio di un atroce scherzo. Alla trama principale è infatti affiancata, come spesso accade in Shakespeare, una sottotrama ricchissima di episodi, quasi più estesa della prima. E Carlo Cecchi, come egli stesso spiega nelle note di regia, decide volutamente di conferire maggiore importanza a tale sottotrama, che considera addirittura più importante e interessante del filone principale. Il concentrarsi maggiormente sul vero nucleo comico della vicenda costituisce l’elemento innovativo dello spettacolo, in grado mettere in scena un vero e proprio carnevale, animato da personaggi allegorici e realistici al tempo stesso.

Un cast allegro e accattivante di bravi attori formato da Daniela Piperno, Vincenzo Ferrera, Loris Fabiani, Giuliano Scarpinato e Dario Lubatti. Ottima anche l’interpretazione di Barbara Ronchi nel personaggio di Olivia, involontaria partecipante delle follie del bizzarro ménage familiare. Ma grande mattatore in scena è proprio Carlo Cecchi, interprete del maggiordomo di Olivia, Malvolio, pomposo e austero, vittima di una beffa feroce che lo fa credere oggetto di attenzioni da parte della sua signora, spingendolo a rendersi pubblicamente ridicolo con indosso calze gialle e giarrettiere a croce per far colpo sulla donna.

L’allestimento scenico è essenziale e rarefatto ma non spoglio, grazie a una pedana girevole centrale che dà continuo dinamismo. Splendidi i costumi di Nanà Cecchi eleganti e divertenti, e di grande effetto la musica dal vivo composta da Nicola Piovani in grado di rendere l’atmosfera magicamente onirica e vivace.

data di pubblicazione:13/03/2016


Il nostro voto:

TI REGALO LA MIA MORTE VERONIKA, regia di Antonio Latella

TI REGALO LA MIA MORTE VERONIKA, regia di Antonio Latella

(Teatro Argentina – Roma, 2/14 febbraio 2016)

Un vecchio cinema, una fila di sedie di legno ed una donna che percorre a lunghi passi, per tutta la sua lunghezza, il palcoscenico chiedendo aiuto, mentre alle sue spalle le poltrone vengono a poco a poco popolate da scimmioni albini, che hanno a loro volta alle spalle uno schermo che proietta immagini ombre di Fassbinder e di Sybille Schmitz.

Un inizio straziante e dissonante: la voce dell’attrice contrapposta al coro ritmico e marziale di scimmioni che poi, spogliandosi a poco a poco della loro veste bestiale e rimanendo letteralmente in mutande si trasformeranno in tanti altri personaggi dell’universo fassinderiano.

Latella reincontra un regista che gli è caro, cioè quel Fassbinder da cui già era nato, nel 2006, Le lacrime amare di Petra von Kant e mette in scena Veronika Voss, protagonista del film omonimo, in Ti regalo la mia morte, Veronika: e lo fa cercando una fedeltà che coniughi le caratteristiche estetiche e narrative del film alla sua personale e potente visione teatrale.

Ci troviamo di fronte ad un teatro complesso, austero, difficile, che richiede massima concentrazione, ma raffinato e simbolico.

Veronika Voss è il personaggio che Fassbinder creò ispirandosi a Sybille Schmitz, attrice tedesca molto nota ai tempi del Terzo Reich.

Con le luci di sala ancora accese, Veronika  si presenta con il corpo e la voce di Monica Piseddu, con addosso solo un vestito sgualcito e una giacca rossa.

Un inizio pirandelliano dai diversi piani narrativi per una storia costruita da Rainer Werner Fassbinder attorno a un’attrice famosa negli anni Trenta, stella cinematografica del Reich, caduta in disgrazia dopo la caduta del potere hitleriano.

Comincia così la discesa allucinata nel suo passato, da cui emergono immagini di dolore e vergogna, come il suo legame con Goebbels e con il credo nazista.

Gli scimmioni sono il coro di una storia che viene a sua volta ripresa da una macchina che percorre anch’essa per tutta la lunghezza il palcoscenico avanti e indietro e che idealmente  la trasmette e ne immortala i fotogrammi.

Voce fuori campo Robert Krohn, che come nel film di Fassbinder è un giornalista sportivo che si presenta al pubblico con le sue telecronache delle corse di cavalli e che è innamorato dall’ex diva: cerca di salvarla dal progressivo abbandono alla morfina, che le viene somministrata in dosi abbondanti da una clinica compiacente e da una neurologa intenzionata ad arricchirsi grazie alla sua dipendenza; vorrebbe salvarla sostenendola nel momento in cui viene scritturata per una piccola parte che potrebbe essere per lei una rinascita e, invece, è un fallimento, la sua fine definitiva.

Un viaggio nella mente devastata di Veronika, diva sul viale del tramonto, dove i ricordi e i personaggi rievocati diventano immagini sfocate in bianco e nero.

Un percorso che però ci instrada anche verso le altre donne del cinema fassbinderiano (Maria Braun, Martha, Emma Küsters, la trans Elvira di Un anno con tredici lune), alla fine riunite in un paradiso pagano, in un giardino in cui troneggia un ciliegio calato dall’alto un mondo parallelo a metà tra le atmosfere di Cechov e la “Colazione sull’erba” di Manet.

Spettacolo non semplice ma affascinante, in scena al Teatro Argentina di Roma dal 2 al 14 febbraio, Ti regalo la mia morte Veronika è interpretato da un gruppo affiatato di attori (Valentina Acca, Candida Nieri, Caterina Carpio, Nicole Kehrberger, Fabio Pasquini, Maurizio Rippa) mentre Massimo Albarello, Sebastiano Di Bella, Fabio Belillo sono le ombre. Veronika Voss come già detto, è interpretata da una bravissima Monica Piseddu, mentre Annibale Pavone è Robert, l’unico uomo al quale è permesso, dopo la morte, di entrare nel magico giardino dei ciliegi e dei passi perduti.

Difficile, complesso, volutamente intricato, visionario.

data di pubblicazione:13/02/2016


Il nostro voto:

SOME GIRL(S) di Neil Labute, regia di Marcello Cotugno

SOME GIRL(S) di Neil Labute, regia di Marcello Cotugno

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 27 gennaio/14 febbraio 2016)

Continua la fortunata tournèe di “Some Girl(s)”, caustica e brillante commedia di Neil LaBute, portata in scena dal 2013 da Marcello Cotugno ed in programmazione ora al Teatro Piccolo Eliseo dal 27 gennaio al 14 febbraio. La storia di un quarantenne che poco prima del matrimonio decide di incontrare le sue ex storiche per chiarire episodi passati e mettere così a posto la propria coscienza. Quattro città, quattro diverse camere d’albergo e quattro donne che si alternano in un viaggio a ritroso nevrotico e a tratti psicotico: il primo amore adolescenziale, la donna sensuale e orgogliosamente indipendente, l’insegnante sedotta e abbandonata e la sua ultima fiamma. E Guy rampante giornalista e scrittore (il convincente Gabriele Russo), sfrontato e senza scrupoli, è alla ricerca di un nuovo scoop. Alla vigilia del suo matrimonio finirà per mettere a nudo non solo se stesso ma i sentimenti di quelle donne che hanno rappresentato un pezzo importante della sua vita.

Quattro stanze tra loro simili e differenti, in cui si sono consumate le relazioni con quelle donne che incontra in sequenza, un universo femminile fatto di fragilità, nevrosi, desideri e speranze non ancora sopiti. La prima è Sam (Laura Graziosi), la donna sposata che ha ancora vivo in lei quell’amore lontano, forse l’unico che ha provato; è la volta poi di Tyler (una spumeggiante Bianca Nappi), apparentemente disinibita e superficiale, non bisognosa d’amore, uno specchio premonitore; ancora Lindsay (Roberta Spagnuolo), che sente addosso la macchia di essersi innamorata di quell’allievo che le ha sconvolto la vita e che cercherà inutilmente di umiliare. Infine Bobbi, emancipata ed intelligente, anch’essa all’apparenza distaccata (molto brava Martina Galletta) che scoprirà dopo una furiosa litigata, la pochezza di Guy, intento a registrare tutte le conversazioni delle su ex e pronto ad utilizzarle per un nuovo libro.

La scena è caratterizzata da una camera d’albergo che cambia morfologia ma non atmosfera, fredda e superficiale, come la carrellata del passato che Guy fa rivivere a quelle donne. Come ripetitiva è la modalità di dialogo e di approccio del protagonista che vuole analizzare il dolore lasciato nei cuori delle sue ex e non espiare le sue colpe, inducendole anzi a rinnovare quel dolore affinché continuino a dipendere dal suo ricordo.

Soltanto alla fine si comprenderà la vera natura di Guy, un uomo che non è cresciuto perché troppo animato da una ambizione che lo spinge manipolare le donne della sua vita. Inevitabilmente sconfitto su tutti i fronti, alla fine si rialza, senza pensarci troppo su.

Una bellissima colonna sonora ed una regia, quella di Marcello Cotugno, attenta e curata, narrativa, non esasperata, efficace nell’esplicitare le sfumature di quell’universo femminile e di quel piccolo uomo.

data di pubblicazione:12/02/2016


Il nostro voto:

VANGELO di e con Pippo Delbono

VANGELO di e con Pippo Delbono

(Teatro Argentina – Roma, 19/31 gennaio 2016)

Torna al Teatro Argentina di Roma dal 19 al 31 gennaio la poesia nuda di Pippo Delbono.

Vangelo, spettacolo coprodotto da Emilia Romagna Teatro e Teatro Nazionale Croato di Zagabria, rilegge e rivive i passi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni in un presente doloroso e sofferente, fatto di ricerca di libertà ma anche di desiderio di riconciliazione.

In Vangelo Delbono va alla ricerca del Gesù delle origini, scomodo e potente, portatore di messaggi rivoluzionari e non di quello dal volto sofferente e doloroso proposto dalla Chiesa, dal quale anzi era rifuggito da ragazzo attratto piuttosto dai concerti rock, dalle proteste contro il potere e il Vietnam, dalla cultura hippie. E’ un Vangelo che racconta le sue esperienze di vita, i suoi incontri con immigrati dell’Africa e del Medio Oriente incontrati nelle piantagioni di mais in Italia. Un racconto basato sul rifiuto di violenza e di stragi, in cui ritroviamo Schubert, i Led Zeppelin, Alan Sorrenti e Scialpi, le parole di Pasolini e Sant’Agostino e la sua ostinata ricerca di paesaggi, mari, tramonti, cieli che parlassero di miracoli, di luce. E poi la sua malattia agli occhi che lo costringe ad un letto d’ospedale e che lo pone per dieci giorni di fronte ad un crocifisso appeso a un muro bianco. “Vedere doppio e cercare di mettere a fuoco quell’immagine, quelle voci, quei suoni, quegli echi, quei silenzi sentiti in quei campi di zingari e di profughi, in quelle corsie d’ospedale, ma anche quella forza vitale, quella inspiegabile gioia trovata nei luoghi deputati al dolore”.

Emarginazione e malattia, storie di vita tra personale e cronaca, umanità e spiritualità, secondo una capacità rappresentativa unica, in grado di dare credibilità a peccato e redenzione.  Un racconto personale, un vangelo laico, un’elegia a deboli ed emarginati, essenziale e barocco, mistico e dissacrante, raccontato con ironia e concretezza.

Nato dalle note delle musiche composte con Enzo Avitabile, dopo l’anteprima di Zagabria in forma di un’opera teatrale e l’attuale spettacolo di prosa, Vangelo evolverà in una produzione cinematografica internazionale che prenderà vita nel corso delle prove dello spettacolo teatrale.

E Pippo Delbono con i suoi partner storici della compagnia, uniti ad attrici croate e ad un profugo afgano, lo urla e lo sdrammatizza con il suo personalissimo linguaggio, fatto di presenze, immagini e suoni, di brani musicali sorprendenti ma sempre coerenti, di movimenti ripetuti e scomposti, di geometrie perfette, con un uso straordinario e maniacale dello spazio fatto di vuoti e di pieni, di pause, di rette e circoli che lasciano il segno.

data di pubblicazione:24/01/2016


Il nostro voto:

THE PRIDE di Alexi Kaye Campbell, regia di Luca Zingaretti

THE PRIDE di Alexi Kaye Campbell, regia di Luca Zingaretti

Amore e destino, fedeltà e perdono. Londra 1958 e Londra 2015.
The Pride, recentissima opera del drammaturgo e attore americano d’origine greca Alexi Kaye Campbell racconta di due coppie e di due storie, una ambientata negli anni ’50 e una nel 2015. Siamo infatti nella stessa città, Londra, ma in due epoche diverse. Sylvia, una ex attrice appena uscita da un esaurimento nervoso, sta lavorando alle illustrazioni del libro di Oliver, uno scrittore per ragazzi. C’è molta empatia tra i due, la donna non vede l’ora di presentarlo al marito Philip e quella sera andranno tutti e tre a cena insieme. 57 anni dopo Philip, fotoreporter, ha da poco interrotto la propria relazione con Oliver, un giornalista con il quale ha avuto una storia di due anni, a causa dei continui tradimenti di lui. Sylvia, amica di entrambi, cercherà di indagare i motivi per cui Oliver sta cercando di rovinare una relazione importante come quella che ha con Philip.
Le vicende dei protagonisti si intersecano e si alternano nello sviluppo delle relative vicende. Nel tempo passato, si tratta di una coppia tradizionale, marito e moglie. Nel tempo presente, invece, di una coppia omosessuale in crisi. I nomi dei personaggi sono gli stessi, così gli attori.
The Pride pone la grande questione della identità e delle scelte e della difficoltà di trovare e percorrere il proprio sentiero. La pièce ha debuttato al Royal Court Theatre di Londra, vincendo il Critic’s Circle Award e l’Olivier Award e dopo essere stata in scena al Teatro Argentina dal 24 novembre al 6 dicembre, è ora in tournée fino alla fine di febbraio 2016.
Un’opera importante in cui le due vicende procedono a scene alterne. Le due storie sembrano non avere nulla in comune, a parte i nomi dei personaggi. Ma via via che ci si inoltra, si scoprono echi, rimandi, problematiche che invece hanno molto in comune. Nella prima, un uomo sposato affronta la sua omosessualità sapendo che è cosa da nascondere e tenere segreto. Così, quando Philip conosce Oliver il trasporto è tanto forte da trasformare un uomo che rifiuta la sua omosessualità in un uomo che invece la affronta. Ma i tempi e la società sono quelli che sono e l’essere gay è ancora considerato una malattia, così Philip lascia Oliver e si appresta a iniziare il suo percorso di guarigione. Ma cosa sarebbe successo se Philip e Oliver si fossero incontrati oggi? Su questa traccia il testo si muove nel continuo confronto tra due epoche e due società, sollevando interrogativi sulla nostra vita contemporanea, sulle scelte, indagando i destini di uomini e donne. In scena, accanto a Luca Zingaretti (nel ruolo di Philip) che è anche registra e produttore, Valeria Milillo (Sylvia), Maurizio Lombardi (Oliver) e Alex Cendron.
The Pride è un testo splendido, ma difficile, con due storie di coraggio. Pochi di noi vivono la vita che si sono scelti. Quattro interpreti semplicemente perfetti, straordinari e sorprendenti per la capacità di passare da un ruolo ad un altro. Uno spettacolo interessante, concreto e magistralmente diretto. Da vedere.

data di pubblicazione 12/12/2015


Il nostro voto: