OTTO DONNE E UN MISTERO di  Robert Thomas

OTTO DONNE E UN MISTERO di Robert Thomas

(Teatro Quirino – Roma, 2/14 aprile 2019)
In scena al Teatro Quirino di Roma dal 2 al 14 aprile per la regia di Guglielmo Ferro Otto donne e un mistero, la celebre commedia noir di Robert Thomas, nota al grande pubblico anche per il film tratto nel 2002 dall’omonimo titolo, diretto da François Ozon con Catherine Deneuve e Isabelle Huppert, che ebbe un grande strepitoso successo di pubblico. Una versione italiana piacevole e ben strutturata che non perde nel difficile confronto con testo e film.
Siamo nella notte del ventiquattro dicembre in una villa praticamente isolata a causa delle abbondanti precipitazioni nevose dove otto donne, tutte tra di loro in stretta connessione con Marcel il padrone di casa perché parenti, amanti o dipendenti, sono lì presenti per festeggiare il Natale.
Fuori la neve ostacola qualsiasi spostamento, la figlia Suzanne (Claudia Campagnola), è appena tornata dall’Inghilterra portando un po’ di allegria e di buon umore in un contesto non particolarmente leggero. Abitano quella casa Gaby (Anna Galiena), moglie di Marcel, Augustine (Debora Caprioglio), sorella di quest’ultima abituata a origliare dietro le porte, innamorata del cognato, c’è la suocera l’avara Mamy (Paola Gassman) malata immaginaria su una sedia a rotelle. A completare il quadretto familiare ci sono Catherine (Mariachiara Di Mitri), l’altra figlia di Gaby e Marcel, Pierrette (Caterina Murino), sorella di Marcel e infine la Sig.ra Chanel (Antonella Piccolo), governante della casa e Louise (Giulia Fiume), la cameriera con i suoi segreti.
Prima che la festa di Natale cominci si scopre però che Marcel è morto in circostanze misteriose: assassinato con una coltellata alla schiena. D’improvviso gli otto personaggi femminili si ritrovano in una prigione claustrofobica, dove ciascuna sospetta dell’altra e dove ognuna esaspera la propria personalità e conflittualità con le altre.
Chi è stata a ucciderlo? La governante a servizio da tanto tempo? La moglie del morto? La sorella che continuava a chiedergli soldi? Le figlie stesse? La vecchia madre? La cognata isterica e austera, con i suoi desideri inespressi? La nuova cameriera? Inizia un gioco al massacro che vede coinvolte le donne nel ruolo di vittime e aguzzine. La commedia noir si snoda tra supposizioni e sorprese che sistematicamente smentiscono le ipotesi, rendendo la narrazione divertente e coinvolgente. Le otto attrici si calano nei personaggi con bravura e personalità, realizzando un isterico quadro corale convincente. E la soluzione di un giallo alla fine giunge senza un finale scontato. Un susseguirsi di colpi di scena e di pistola, sospetti che sistematicamente finiscono per ricadere da una all’altra donna, grazie a rimbalzi e rimandi: tutte ogni volta colpevoli e poi innocenti fino all’ultima.
Un piacevole mix di noir, sarcasmo e comicità. Una compagnia di attrici di talento tutte in grado di raccontare segreti, ambizioni, visioni personali, istinti e voglia di sopravvivenza a scapito di tutto e tutti.
data di pubblicazione: 9/04/2019

Il nostro voto:

UN NEMICO DEL POPOLO di Henrik Ibsen, diretto e interpretato da Massimo Popolizio

UN NEMICO DEL POPOLO di Henrik Ibsen, diretto e interpretato da Massimo Popolizio

(Teatro Argentina – Roma, 20 marzo/28 aprile 2019)

Perseguire la Verità o ricercare la Maggioranza? Chi dice la Verità? E’ colui che esprime ciò che pensa e agisce di conseguenza? Cosa è una Maggioranza? Una semplice somma di individui? E chi è fuori dalla Maggioranza, è un saggio o un rivoluzionario? Punti di domanda alla ricerca di risposte nell’attualissimo testo di Henrik Ibsen Un nemico del Popolo, coraggiosamente messo in scena da Massimo Popolizio per la traduzione di Luigi Squarzina.

 

Lo spettacolo, prodotto dal Teatro di Roma -Teatro Nazionale, si avvale di un eccezionale cast che annovera oltre allo stesso Popolizio nei panni del dottor Thomas Stockmann anche la bravissima Maria Paiato che ci regala una strepitosa interpretazione del personaggio del Sindaco Stockmann, fratello di Thomas (Popolizio) intorno al quale, nel bene e nel male, ruota tutta quanta la vicenda.

Chi è nemico del popolo? È alla fine il dottor Thomas Stockmann. Lo sono la sua correttezza, la moralità e la conoscenza che spingono lo stimato medico responsabile dell’impianto termale della cittadina a mettersi contro tutti i suoi concittadini ed in primis contro suo fratello Peter. Le acque delle terme sono inquinate e c’è il rischio di far ammalare le persone. Ma chiuderle vorrebbe dire rinunciare a facili guadagni per il sindaco e tutti i proprietari di immobili. In un baleno in un pubblico confronto Stockmann viene messo alla berlina, licenziato, linciato e disprezzato. Non avrà più nulla, se non la solidarietà della sua famiglia e la sua solitudine, sufficienti però per permettergli di continuare a vivere onestamente.

Come scopre il Dr. Stockmann non sono le terme a essere contaminate ma è la comunità a essere avvelenata dalle menzogne. La sua volontà di denuncia si scontra con il patto tra il potere costituito, rappresentato dal sindaco Peter Stockmann, dalla stampa non certo indipendente e la maggioranza, quella opinione pubblica che veicola le proprie decisioni in base al proprio interesse. Henrik Ibsen risulta di un’attualità sconcertante, scrivendo nel 1882 dell’egoismo del ceto medio piccolo borghese del popolo sempre pronto a dar ragione all’ultimo, della solitudine di chi ha ragione e va contro la maggioranza, degli interessi della politica, di ecologia e salute.

Il messaggio è quanto mai sorprendente: non potendo davvero conoscere tutto, il popolo ha bisogno di delegare la decisione a colui che sembra più idoneo a prendersi in carico i problemi e a scegliere le soluzioni più opportune.

Tutto il lavoro si sviluppa con lo scopo principale di fornire agli spettatori tutti gli elementi necessari affinché essi possano diventare parte integrante e consapevole di quella comunità cittadina che costituisce il vero centro di interesse della vicenda.

Una rappresentazione perfettamente classica che adopera la leva grottesca della recitazione e delle posture per enfatizzare ruoli e caratteri. Solo le donne della famiglia di Thomas conservano una presenza forte, perché guardano oltre e amano più degli altri.

Efficacissime la scenografia e le luci, straordinarie le voci del popolo dai palchi del teatro.

Uno spettacolo imponente che illumina con forza, proprio mettendo in discussione il sistema democratico quando costretto a piegarsi ai voleri di una maggioranza volubile, manipolabile, impreparata da parte di chi, per il benessere del popolo, finisce per divenire nemico del popolo.

data di pubblicazione:02/04/2019


Il nostro voto:

BEAUTY DARK QUEEN, LO STRANO CASO DI ELENA DI TROIA di Stefano Napoli

BEAUTY DARK QUEEN, LO STRANO CASO DI ELENA DI TROIA di Stefano Napoli

(Teatro Franco Parenti – Milano, 21/26 maggio 2019)

Beauty Dark Queen, Lo strano caso di Elena di Troiaovvero il racconto assolutamente personale di Stefano Napoli sulla figura Elena, la donna più bella del mondo che fu causa di guerre e sciagure. In scena Menelao, Paride, Elena, Afrodite, Eros ed una statuetta per raccontare la dark queen dalla bellezza fatale, oggetto di discordia tra uomini e donne assolutamente meravigliosa anche nella sua vecchiaia, quasi idealmente un sequel rispetto all’altra sua opera, Circus Dark Queen dedicato a Cleopatra. Una donna al centro dei desideri degli uomini ed in mezzo l’eterno gioco dell’amore, dei fraintendimenti, dei sotterfugi, del caso.

 

 

Regista colto e originale, Stefano Napoli, insieme alla sua compagnia Colori Proibiti, porta avanti da anni un rigoroso percorso di sperimentazione, fondato sul linguaggio del corpo sul movimento, sul non parlato e sull’espresso.

Un teatro plastico ed evocativo, fatto di micro storie dal sapore antico che rimanda ai fotogrammi del cinema dei Lumiere, un teatro che stimola la memoria visiva dello spettatore , fatto di citazioni e rimandi, di musica, di oggetti arcaici ed essenziali.

Un teatro che racconta l’amore malato che trasforma in prede i predatori, in una lotta per la sopravvivenza al termine della quale non ci saranno né vincitori né vinti.

Una storia cupa di bellezza e discordia, frutto dei capricci degli dei, una storia di desiderio di possesso, di donne che si difendono chiudendosi nella freddezza del cuore e che si chiude nello splendore effimero di un vestito importante, quasi una parabola vintage del mito. È una forma artistica di racconto, un modo intelligente di esprimere e raccontare con coraggio e passione, pensato ed esplicitato con cura maniacale.

Si gioca con un sipario aperto a metà che diventa cornice, oppure si utilizza uno spazio prossimo alla platea per andare oltre ed arrivare a tutti. Si racconta la tragicità degli eventi legati alla vanità e alla contesa attraverso il sarcasmo che sdrammatizza ed emoziona.

Sarà in scena a Milano al Teatro Franco Parenti dal 21 al 26 maggio 2019.

data di pubblicazione:17/03/2019


Il nostro voto:

L’UOMO SEME diretto e interpretato da Sonia Bergamasco

L’UOMO SEME diretto e interpretato da Sonia Bergamasco

(Teatro Vascello – Roma, 5/10 marzo 2019)

Sonia Bergamasco porta in scena al Teatro Vascello dal 5 al 10 marzo 2019 una stupefacente storia tutta al femminile dando forma e immagine alla scrittura forte e appassionata di Violette Ailhaud, autrice de L’uomo semeUno spettacolo sofisticato e profondo, in cui voce, canto e movimento si alternano e si sovrappongono in maniera armonica. Una storia sulla crudeltà della guerra e sul desiderio di amore e di maternità delle donne.

 

Scritto nel 1919 e tenuto segreto per volontà dell’autrice, fino al 1952, questo breve racconto viene pubblicato in Francia nel 2006 e diviene notissimo soprattutto con il passa parola. Tradotto in molte lingue, viene messo in scena da Sonia Bergamasco che lo ho ripensa e lo costruisce in chiave di ballata.

In un villaggio di montagna dell’Alta Provenza, all’indomani della Grande Guerra, tutti gli uomini sono morti. Il paese è abitato solo da donne e bambini. Violette Ailhaud, testimone dei fatti, trova solo allora le parole per raccontare di quando, ancora ragazza, il suo villaggio aveva vissuto un’identica tragedia. Nel 1852 tutti gli uomini di un piccolo paese vengono uccisi, deportati o imprigionati perché ostili al colpo di stato di Napoleone III. Restano solo mogli, figlie, madri e fidanzate che con dolore e tenacia, cercano di ricostruire la comunità.

Le donne stringono un patto: condivideranno il primo uomo che metterà piede nel villaggio. Avrà precedenza quella che lui toccherà per prima. Subito dopo, il seme maschile sarà diviso senza generare rivalità. Quando un uomo arriva casualmente nel villaggio, però, la forza del desiderio e la fascinazione introducono una novità nel corpo e nella mente della protagonista. I due si innamorano, si desiderano, merito anche del comune amore per i libri. L’uomo rispetterà il patto, farà quel lavoro perché lo ritiene un suo dovere, perché gli piacciono le cose ben fatte, ma lo farà senza amore e andrà via. I figli nasceranno e saranno di tutto il villaggio.

Sonia Bergamasco ideatrice, regista ed interprete dello spettacolo, racconta lo spaccato di vita di una giovane donna, le sue lacerazioni ed il suo innamoramento che la farà vibrare ma che alla fine resterà sospeso. Ma è anche il suo racconto della guerra dal lato delle mogli e delle madri e della voglia di vita e di rinascita di queste donne.

La Bergamasco coinvolge il quartetto vocale pugliese delle Faraualla (straordinarie Loredana Savino, Gabriella e Maristella Schiavone, Teresa Vallarella) e il suono delle percussioni di Rodolfo Rossi per un percorso musicale atavico e ancestrale che fonde ritmi, voci, linguaggi e suoni. Un allestimento raffinato che si avvale delle scene e dei costumi di Barbara Petrecca e del disegno luci di Cesare Accetta. Al centro un enorme albero spoglio con i rami come braccia aperte e sofferenti, un dolmen quasi sacro e protettivo, simbolo della forza della natura e della vita nonostante tutto.

L’uomo seme è infatti il racconto di un femminile arcaico legato al cerchio delle stagioni e ai rituali della terra. Queste donne sopportano la violenza e gli oltraggi della guerra e dell’odio ma soprattutto ricercano quell’istinto di sopravvivenza che è una riflessione profonda sul potere della vita, sulla forza del desiderio e sulla capacità delle donne di guardare al futuro.

data di pubblicazione:10/03/2019


Il nostro voto:

IL CIELO NON È UN FONDALE di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini

IL CIELO NON È UN FONDALE di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini

(Teatro India – Roma, 6/10 marzo 2019)

Quattro figure popolano lo spazio tra un fondale nero ed un termosifone bianco. Tagliarini inizia a narrare il suo sogno e il suo incontro con una Deflorian barbona e problematica e pian piano ognuno si piega alla propria esigenza di raccontare e raccontarsi. Si apre cosi Il cielo non è un fondale lo spettacolo di Daria Deflorian ed Antonio Tagliarini in scena al Teatro India di Roma dal 6 al 10 marzo 2019. Un racconto urbano basato sulle memorie che quattro voci intrecciano fra loro, creando strade, connessioni e incroci, un puzzle di monologhi interiori che vengono fuori intervallati al canto. Il recitato è spontaneo, privo di accessori, dosato e diretto. Le parole riflettono le esistenze all’interno di luoghi familiari e privati nei quali ognuno manifesta il proprio spazio intimo.

 

In una metropoli di tutti e di nessuno, appaiono e scompaiono le figure di Alom, il venditore di rose che un tempo era un generale nell’esercito del Bangladesh, di Mohamed il cuoco pakistano, della vera barbona incrociata nel giardino del sogno e che assomiglia a Daria, e poco importa se siano ricordi di autentici incontri o fantasmi rimasti impigliati. Una struttura estremamente semplice, una recitazione minimale e naturale, un testo equilibrato e profondamente ironico, capace di esasperare e celebrare ogni piccolo elemento o imprevisto quotidiano, la possibilità di far diventare assurdo ogni piccolo episodio trascorso e contemporaneamente di innalzarlo a situazione condivisa o condivisibile per la sua verità innegabile.

Così senza continuità e senza un apparente filo logico e narrativo si arriva alle riflessioni domestiche di Daria Deflorian ed il suo rapporto con il termosifone in ghisa alternato alla parodia con le proprie ambizioni di attrice, alle fughe notturne al supermercato, dosate con raffinata e consapevole comicità.

Uno spettacolo che restituisce un senso di familiarità al pubblico che si ritrova in quelle piccole confessioni sulle proprie abitudini che si scontrano con la realtà esterna e le sue tempistiche schizoidi, in uno stato di completo sfasamento con il circostante.

Un atto drammatico apparentemente “senza trama e senza finale” che parte dal sogno secondo una ritmica efficace di incontri e di confronti, di cadute e di incidenti, di parole e di canzoni.  I quattro attori (i bravissimi Francesco Alberici, Daria Deflorian, Monica Demuru, Antonio Tagliarini) esplorano la nostra condizione urbana, aprendo un dialogo tra finzione e la realtà e finendo per popolare la scena di termosifoni bianchi di ghisa, unici elementi in grado di riscaldare le coscienze e diffondere calore.

data di pubblicazione:09/03/2019


Il nostro voto: