CLARETTA L’HITLERIANA di Mirella Serri – Longanesi, 2021

CLARETTA L’HITLERIANA di Mirella Serri – Longanesi, 2021

Un libro che sconvolge e destabilizza una certa iconografia del fascismo. Claretta Petacci non è solo la fedele amante (una delle tante, ma la più importante) del Duce ma una politica intrigante che più che fascista ha cercato di essere hitleriana. Per salvare l’amato, se stessa e tutti i capitali lucrati dalla situazione di comodo che era riuscita a creare. Per se e per la propria famiglia. La Serri, critica letteraria ma più frequentemente storica revisionista, rilegge la storia alla luce di documenti inoppugnabili, assemblati in un incalzante excursus cronologico. Che non trascura sesso, guerra, trattative comportamenti intriganti e un’infinita di colpi bassi. A latere c’è la progressiva caduta di un Mussolini sempre più anziano, iroso, irretito nell’ambiguità del rapporto con il nazismo e con un’Italia che non è più sua. La memoria storica ci ricorda che fu, tra gli altri, Sandro Pertini, a decretare la condanna a morte del Duce anche se le modalità dell’atto rimasero avvolte a lungo nel mistero come una sorta di segreto di Stato o di complesso di colpa per l’efferatezza delle violenza sul corpo stesso della Petacci. Così la lettura di un saggio è appagante quanto quella di un romanzo per descrivere l’arcobaleno cangiante dell’attività di questa trentenne figlia di famiglia, prediletta dell’alcova ducesca. Abile nel trarre vantaggi dalla situazione ma anche estremamente compromessa con il regime. Tanto da non vedersi risparmiata l’ingloriosa ma tanto ricercata sorte di morire accanto a Benito Mussolini. Il libro è un grande affresco d’epoca su un decennio di lento scivolamento verso la catastrofe. Ma un declino non privo di lussi, di orpelli, di una vertigine insensata. Oltre Claretta si descrivono le ambizioni del clan di famiglia: opportunista e servile ma anch’esso inevitabilmente precipitato nella catastrofe collettiva della fine del fascismo. Claretta comunque emerge come lucida e calcolatrice, nonché fedelissima servitrice dell’ideologia di destra, anche estrema. Il sottotitolo è estremamente eloquente: “Storia della donna che non morì per amore di Mussolini”.

data di pubblicazione:24/05/2021

L’AMORE DEL CUORE di Caryl Churcil, con Tania Garribba, Fortunato Leccese, Alice Palazzi, Francesco Villano e Angelica Azzellini, regia di Lisa Ferlazzo Natoli

L’AMORE DEL CUORE di Caryl Churcil, con Tania Garribba, Fortunato Leccese, Alice Palazzi, Francesco Villano e Angelica Azzellini, regia di Lisa Ferlazzo Natoli

(Teatro Vascello – Roma, 15/23 maggio 2021)

Dramma domestico con iterazioni sceniche. Un canovaccio per saggiare l’espressionismo del testo e la validità della sinergia attoriale. Con un vivo successo di pubblico.

Un’acclamata autrice inglese su cui una lungimirante casa editrice ha investito addirittura un pezzo di futuro con la pubblicazione di sei volumi dedicati alla sua produzione, nella disponibilità di regia di uno dei talenti più apprezzati del magro parco italico. L’effetto è deflagrante nel sempre vivo teatro della Kustermann che si appresta a celebrare Giancarlo Nanni, indimenticato demiurgo del teatro e dei suoi originali spazi. Il testo è seminale e lo dirige dentro la scena uno degli attori, precisamente quello che interpreta il figlio ubriaco. Ed è un deterrente che ovviamente serve a coinvolgere il pubblico. Ed è un continuo avant’indrè, a ritmo veloce o a ritmo lento. Con gli attori come automi condannati a replicare sempre lo stesso inesausto copione con variazione di stile, di ritmo, di intenzioni. Una sorta di prolungati Esercizi di stile (come non pensare a Queneau). Dunque una tensione che si taglia con il coltello e che presuppone una durata che non vada oltre l’ora. Il realismo di una scena nuda e spoglia mette l’accento sul particolare tecnico dei microfoni vintage,. Il linguaggio è scarnificato, la tensione tra i componenti di una famiglia che attende, diremo quasi invano, la figlia dall’Australia, evidente. I dialoghi sono sempre sull’orlo dell’esplosione. L’attesa è pari a quella di un Godot, l’evocazione di un cadavere, di un’amica, di un tradimento, disseminano nel plot gli elementi di una vita e di un dramma in fieri. Uno spettacolo inquietante che sonda le paure e sembra enuclearle come un messaggio di speranza del post pandemia. La riflessione sul teatro trasmette allo spettatore una sorta di ineluttabile grado zero.

data di pubblicazione:24/05/2021


Il nostro voto:

SI VIVE UNA VOLTA SOLA, di e con Carlo Verdone, Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Max Tortora – Prime Video, 2021

SI VIVE UNA VOLTA SOLA, di e con Carlo Verdone, Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Max Tortora – Prime Video, 2021

Un Amici miei riveduto ma non abbastanza politicamente scorretto per evadere da parametri medi della commedia all’italiana. Storia con guizzi comici ma strizzatine sempre più evidente al cinema commerciale dei Vanzina. Il Verdone touch è sempre più flebile.

Esce per Amazon il più tormentato film sotto il segno della pandemia. Pronto già a febbraio del 2020 per l’uscita nelle sale, poi congelato, ripresentato timidamente per tre giorni e poi venduto alla popolare piattaforma. Plot fuori del tempo se 16 mesi non hanno fatto invecchiare la storia e non perché universale ma perché rattrappito nel suo statico limbo. In effetti se volessimo riassumere il film attraverso una sfilata di tag le parole da cui inequivocabilmente non potremo prescindere sono le seguenti (tenetevi forte): zoccola, culo, profilattici, corna, viagra, scambismo, sesso, zingarate, kamasutra”. Si ride ma con il limite di pretesti di grana grossa. Il personaggio di Verdone in effetti finisce col ridurre il rapporto con la figlia a chiacchierate incomunicative con il suo lato B. E la stessa chissà perché parla napoletano per rimandarci alla madre separata. La pratica dello scherzo è alla base della story. Il tormentato da questa costante è Papaleo che ha l’occasione per prendersi una vendetta di cui non vi diremo. Gli attori salvano il film e lo fanno ascendere alla sufficienza. Perché sono assemblati bene e mostrano di divertirsi in una rivalità interpretativa che è il valore aggiunto della pellicola. I contributi pubblicitari sono pesanti. Primo fra tutti il viaggio in Puglia che ci regala una sorta di cartoline, debitamente sponsorizzate del Salento. In questo senso le inquadrature a volte sono martellanti a ribadire una commercialità che è la metafora stessa del film. Ci auguriamo che Verdone ora non si indirizzi verso parti da pensionato. Farebbe torto al suo passato e al proprio validissimo cursus honorum.

data di pubblicazione:14/05/2021

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ROMANZO IRRESISTIBILE DELLA MIA VITA VERA di Gaetano Cappelli, Marsilio, ristampa 2021

ROMANZO IRRESISTIBILE DELLA MIA VITA VERA di Gaetano Cappelli, Marsilio, ristampa 2021

L’auto-fiction è il genere più praticato dalla letteratura italiana del momento ma Gaetano Cappelli, rieditando quanto scritto dieci anni fa, confonde le acque della biografia, come fa in tutti suoi romanzi inserendo elemento etnografici-tribali in un picaresco excursus su adolescenza, crescita e incongruente presente di uno scrittore lucano che tanto gli somiglia. Pensiamo a un Vitali del sud ma più corrivo, ancora più disinvolto, meno ortodosso e più sconcertante. Lettura che non annoia se non riannodata al suo immaginifico sottotitolo di “una vita raccontata fin quasi negli ultimi e più straordinari sviluppi”.

Cappelli cavalca il plot con disinvoltura, infischiandosi a tratti di verosimiglianza ed esagerazioni per garantirsi l’effetto comico e la indubbia piacevolezza del raccontare. Un “lasciatemi divertire” quasi palazzeschiano in cui non sai mai cosa aspettarsi girando pagine ed entrando in nuovo imprevedibile sviluppo. Perché i colpi di scena sono garantiti, così come gli arabeschi dello stile. Si potrà dire che tutti i suoi romanzi si assomigliano ma le variazioni sul tema continuano a garantire sorpresa, sin dalla lunghezza wertmulleriana dei titoli. Lo spunto è l’amore per una Beatrice idealizzata rivista quasi trent’anni dopo. Quando sparisce la fascinazione rimane la realtà ben più prosaica. Il crescendo tragicomico nelle avventure del nostro eroe (per cui inevitabilmente simpatizziamo) è inevitabile.

A essere presa in giro è la letteratura con la sua pretesa di grandezza, la musica con il suo inesausto capitale di imitazioni, la vita stessa con la girandola di tradimenti per la cronica mancanza di fiducia nel prossimo. Dunque è inevitabile essere cinici con piglio disincantato ma cercando di cogliere le piacevolezze, se si vuole anche consumistiche (Cappelli non le nega) del nostro esistere quotidiano.

Prodromi di Dolce vita un po’ nostalgica per i tempi passati, per il dialetto, per un essere orgogliosamente. “meridionali dentro”.

data di pubblicazione:14/05/2021

MINARI di Lee Isaac Chung, 2021

MINARI di Lee Isaac Chung, 2021

Un delicato bozzetto di una famiglia coreana trapianta nell’American Dream ovvero come creare un grande film da un piccolo plot. Il mood del regista avvince per la semplicità della narrazione e la delicatezza con cui viene usata la camera Meritato corredo di premi fino alla pregiata considerazione degli Oscar.

Il minari è un’erba coreana simile al crescione ed è la metafora di un radicamento che conserva il rispetto per le proprie radici. La famiglia orientale protagonista vive infatti un difficile trapianto in quegli Stati Uniti in cui è riposto tutto il capitale di fiducia per il futuro. Il capo-famiglia unisce a un’umile lavoro il progetto del varo di una grande fattoria. Un miraggio che suona come un riscatto per le umili origini di partenza e costituisce un’occasione di collante per un matrimonio che inizia a scricchiolare. Nella dialettica del progresso si innestano la malattia di cuore del piccolo figlio e l’inurbamento della nonna, prima rifiutata e poi largamente accettata nella famiglia. Ci sarà una svolta che risolleverà il menage dal rischio della separazione scacciando la tentazione della consorte di riposizionarsi in California. Il tono medio colloquiale della narrazione, l’umanità dei protagonisti (compresi i più giovani) e il tocco delicato della regia apportano un valore aggiunto a un’opera significativa, ampiamente distribuita nel circuito. La diffusione sulla piattaforma Sky contribuisce in questi giorni alla sua popolarità. Sei le nomination nell’ampio ventaglio degli Oscar con l’attribuzione finale per la migliore attrice non protagonista (la nonna, colta da ictus), un raccolto inferiore ai meriti della pellicola. Ha avuto buon fiuto Brad Pitt nel produrre l’ultimo rigoglioso frutto della sempre più sviluppata cinematografia coreana. Non c’è stato il bis di Parasite ma la qualità è sempre molto alta.

data di pubblicazione:12/05/2021


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