da Paolo Talone | Nov 17, 2020
(Teatro Belli – Roma, 14/16 novembre 2020)
Debbie e Jack sono una giovane coppia a cui è stata rapita l’unica figlia. Il dolore intrappola i due in un vicolo senza uscita di rinfacci, accuse, disattenzioni e ricordi ormai sfumati.
Si chiude in un forte abbraccio il dolore di Debbie e Jack, genitori della piccola Kimberley, scomparsa una mattina come tante mentre andava a scuola. The early bird gira intorno al vuoto e alla disperazione per questa improvvisa sparizione o rapimento. Invano si tenterà una ricostruzione dettagliata di cosa sia realmente accaduto quella mattina. I ricordi sono nebbiosi e incompleti, la memoria va in frantumi e diventa una gabbia dalla quale è impossibile uscire. È un girotondo infinito quello si vede sulla scena, un girare a vuoto tra hula hoop con cui nessuno giocherà più. La straziante drammaticità di questo evento, racchiusa in un’idea di scrittura piuttosto semplice e breve, si arricchisce di una regia pensata come se fosse un’eterna danza-rituale tra i due sconfitti genitori. Roberto Marra (Jack) e Valentina Corrao (Debbie) sono i giovani interpreti di questa pièce, arricchita dal parallelo disegno drammaturgico delle luci e dei gesti. Impressi in una luce fredda e poco profonda, i loro corpi appaiono come lastre di ghiaccio incastrate in una montagna di pensieri e dimenticanza. Cercano di appoggiarsi l’uno all’altra, ma nessuno dei due è così forte da sostenere tutto il peso della coppia. Il dialogo frammentato si riflette nelle loro movenze lente e disarticolate: non c’è pace o soluzione al loro ragionamento. Il dramma arriva tutto grazie all’interpretazione coerente dei due artisti in scena, ma è Valentina Corrao a distinguersi per naturalezza e concentrazione sul gesto danzante, come sulla fluidità della voce esibita con gradevolezza nel canto e nella recitazione.
data di pubblicazione:17/11/2020
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Nov 11, 2020
(Teatro Belli – Roma, 9 novembre 2020)
La redazione di un giornale spinge la giornalista Jane Carter a scrivere un pezzo di indignazione contro la richiesta di Shamina Begun – conosciuta come “la sposa jihadista” – di tornare con il suo bambino in Inghilterra. L’incontro con un veterano di guerra cambierà il suo parere.
Retroscena: Shamina Begun partì dall’Inghilterra per sposare un combattente dello Stato Islamico in Siria quando aveva appena 15 anni. Trovata in un campo profughi chiese di tornare in Inghilterra; anche la sua famiglia fece appello. Ma l’allora ministro degli Interni britannico le negò questa possibilità, privandola della nazionalità inglese. Il suo bambino morirà poche settimane dopo nel campo dove erano rifugiati.
Quale opinione esprimere davanti a questa richiesta di aiuto negata? La ragazza merita di pagare o deve essere perdonata? The nights del pluripremiato drammaturgo Henry Naylor parte da questo spunto per raccontare una storia che ci colpirà con la forza di un pugno dato allo stomaco. Sfiora appena il dato di cronaca per addentrarsi immediatamente nella riflessione che scava dentro la capacità dell’uomo di diventare violento e vendicativo in situazioni estreme, chiarendone ma senza giustificare le motivazioni. Non si può avere la presunzione di avvicinarsi alla spina più acuminata dell’altrui dolore e rimanere illesi al tempo stesso. Lo comprende Jane Carter, una giornalista alla ricerca di un parere che avalli il suo giudizio di condanna nei confronti di Shamina. Va a cercarlo in un negozio di cimeli bellici, gestito da un veterano della guerra in Iraq, quella che vide la caduta di Saddam Hussein. Il capitano Kane non fornisce però la risposta che lei si aspettava: un’opinione non è sempre facile da dare quando si conosce la verità. E la verità è sempre lì dove si trova l’azione, anche se ad avvicinarsi troppo si rischia la vita. Il passato riemerge da casse di legno inchiodate dal tempo, il lucchetto arrugginito e polveroso apre una porta cigolante e mostra arsenali di atroci esecuzioni. Fantasmi rievocati fanno la loro apparizione. Per un attimo il meccanismo della violenza generata da altra violenza si inceppa. Il mondo non è più diviso in buoni e cattivi e il fiume impetuoso della verità sgretola la barriera che divide l’Occidente dall’Oriente. Rimane il gesto, questo solo può essere giudicato umano o disumano. Non perde di teatralità la lettura del testo portato sullo schermo dalla coppia Bucci/Grosso per la Compagnia Le Belle Bandiere. Basta un cambio di cappello a dare vita a un nuovo personaggio o il rumore creato con la bocca per evocare l’immagine di un cranio che si rompe o una bomba che esplode. La musica poi fa da meraviglioso contrappunto all’emozione della scena e la regia video, semplicemente risolta in una sequenza di inquadrature strette sugli attori, comunica l’estrema intimità della confessione. Ci costringe a guardare da vicino ciò che nella realtà teniamo a giudizio da lontano, facendo del mezzo informatico un veicolo linguistico di nuove possibilità, ora che siamo costretti ad applaudire la scena nella solitudine del nostro divano.
data di pubblicazione:11/11/2020
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Nov 5, 2020
(Teatro Belli – Roma, 2/8 novembre 2020)
Edimburgo, strapiombo di Salisbury Crags al tramonto. Libby è una scrittrice in crisi, Declan la salva prima che lei si getti di sotto. Il ragazzo ha una storia da raccontare e Libby ne approfitta per ritrovare ispirazione.
Per indicare qualcuno che parla a nome di un altro in inglese si usa il sostantivo mouthpiece. Il titolo dà l’idea di quello che vedremo, succede così quando si rispettano le rigide regole dello storytelling. Lo sa bene Libby, una scrittrice di opere teatrali in preda al blocco dello scrittore. È a un passo dal buttarsi nel vuoto quando Declan, un ragazzo di appena diciassette anni con una straordinaria dote di disegnatore, la ripesca indietro e tra i due inizia un’amicizia. Libby rimane affascinata da uno dei disegni del ragazzo, una bambina in piedi sullo skyline di Edimburgo sovrastata da una bocca gigante che sta per inghiottire tutto. Quando gli chiede le ragioni dell’opera scopriamo che il ragazzo ha una storia difficile alle spalle, ed è una storia da raccontare. Libby coglie l’occasione per tornare a scrivere, appropriandosi del racconto di Declan. L’interesse nei confronti del ragazzo è quindi egoistico. La loro è un’amicizia improbabile, se non altro per il divario di età. Ma quello che li distingue nettamente è la provenienza sociale: Declan fa parte del nuovo tessuto povero inglese, che fa i conti con le scarse finanze e le frustrazioni che ne conseguono. È del tutto solo e deve arrangiarsi. Non così la borghese Libby, che sfrutta la storia commovente di Declan per tornare a darsi uno scopo nella vita. È in questo modo che Hurley trasforma la vita reale in teatro, creando un gioco incredibile di continuo passaggio dalla finzione alla realtà e da questa di nuovo nella finzione dello spettacolo che Libby vuole mettere in scena. Il cortocircuito nella testa dello spettatore è assicurato, coinvolto in prima persona anche grazie alle soluzioni da teatro epico insite nella struttura del testo. Ma le regole dello storytelling non sono quelle della vita reale. Il finale è tutto da scoprire.
Una riflessione sull’urgenza dell’arte, vista come necessità o sfogo e non come un prodotto scientificamente strutturato. Uno spettacolo che guarda al dramma della vita di tutti i giorni. Una scrittura brillante e coinvolgente, come gli attori in scena, Cecilia Di Giuli e Edoardo Purgatori, sacrificati forse alla lettura al leggio, ma tuttavia complici di una regia dinamica che si avvale della forza seduttiva e convincente della loro interpretazione. Un esperimento che ci ricorda quanto il teatro sia legato alle nostre esistenze e quanto abbiamo bisogno di arte. Qui, ora, soprattutto in questo periodo di pandemia.
data di pubblicazione:05/11/2020
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 29, 2020
(Teatro Belli – Roma, 26/27 ottobre 2020)
Il punto di vista di una eccezionale drammaturga sul naufragio della coppia, così vero da lasciare sconcertati. Caryl Churchill e il problema della relazione nel secondo appuntamento – online! – per Trend.
Trend non si ferma e senza perdere tempo trascina la sua programmazione in streaming. La scena contemporanea – che sia inglese o di altra nazionalità – non deve arrestarsi in questo drammatico tempo di pandemia. Tuttavia ci auguriamo che il “contemporaneo” che viviamo passi velocemente e ci restituisca quello che ci sta portando via. Il teatro e la cultura vivono dell’incontro di persone. Eccoci così davanti allo schermo del nostro computer. La straordinaria e encomiabile serietà dello staff di Trend e del teatro Belli aprono il sipario virtuale: va in scena Sleepless. Tre notti insonni, un dramma che racconta in tre quadri la crisi di tre differenti coppie, colte nel punto più estremo della consunzione del loro rapporto. Il filo conduttore che le accomuna è il fallimento e la depressione. Caryl Churchill registra tutto adottando un linguaggio surreale e assurdo, fissando nella gabbia scura della notte il tempo dello sfogo delirante. Lo spazio è il letto, centrale nella scena, sotto una parete cieca che la regia di Lorenzo Loris vuole senza porte e senza finestre. Nessun luogo dove guardare altrove, nessuna via di uscita. Il muro è uno schermo dove si proietta solo l’immagine della morte, che porta a soluzione la sorda incomunicabilità dei personaggi. Così fra tradimenti e rinfacci, tra mugolii di dolore e inconsistenti racconti, ricatti mascherati dietro insicurezze e pentimenti le tre vicende si snodano in uno stringersi claustrofobico di lenzuola. Elena Callegari e Mario Sala sono gli attori che ricoprono tutte le parti. Insieme danno l’idea del peso degli anni che queste coppie hanno addosso. Non sono giovani, da mostrare gli entusiasmi dell’inizio, né sono troppo vecchi da rassegnarsi ancora a una piatta e tacita sopportazione. Per le loro doti interpretative e le loro caratteristiche fisiche e vocali, la scelta risulta azzeccata e contribuisce a dare risalto al grottesco e all’assurdo che sottende il dramma.
Ancora un testo in cui a essere drammatizzato con sorprendente arte è il vuoto del quotidiano, l’ordinario delle nostre esistenze. Aspettiamo il prossimo appuntamento, Home, I’m darling di Laura Wade per la regia di Luchino Giordana e Ester Tatangelo (biglietti acquistabili sul sito www.teatrobelli.it ).
data di pubblicazione:29/10/2020
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 24, 2020
(Teatro Belli – Roma, 23 ottobre 2020)
Spettacolo di debutto della 19ª edizione di TREND – nuove frontiere della scena britannica, in scena al Teatro Belli di Trastevere per un calendario di 14 appuntamenti da qui a dicembre, Wall di David Hare, nella versione di Valter Malosti, traccia fin da subito il percorso tematico del festival edizione 2020 a cura di Rodolfo Di Giammarco: il muro come concetto divisivo, fisico mentale e sociale, che separa gli individui, come noi spettatori tenuti in platea a giusta distanza di sicurezza.
L’idea di alzare un muro per dividere Israele dai territori palestinesi sorse in seguito agli attacchi terroristici, diventati ormai frequenti durante la seconda intifada. In particolare la bomba esplosa il 1° giugno 2001 nella discoteca Dolphinarium di Tel Aviv, che causò la morte di una ventina di giovani e il ferimento di oltre un centinaio, fu l’evento detonatore che portò alla costruzione della barriera/argine tra Israele e Palestina. Più di 4/5 della popolazione israeliana era a favore di questa costruzione. Ma se per la parte israeliana il muro rappresenta un recinto di separazione ovvero una barriera di difesa, che ristabilisce una presunta normalità nella vita della popolazione al riparo dalle incursioni terroristiche, per la parte palestinese questo è un muro di segregazione raziale, che impedisce di spostarsi liberamente e in qualche punto di non poter più vedere il mare. David Hare scrive un monologo adattato a racconto teatrale di questa contradditoria realtà. Come afferma infatti lo scrittore David Grossman, incontrato dall’autore a Gerusalemme durante la scrittura della pièce, se da un lato il muro mostra al mondo tutta l’arrogante potenza israeliana, dall’altro ne rivela tristemente la sua debolezza e la sua fragilità: Israele non è ancora una casa sicura, la gente non vive ma sopravvive. Il reportage di Hare – messo in scena da lui stesso a Londra la prima volta – è chiaro e dettagliato, una fotografia esatta della situazione politica e sociale in questo fazzoletto di terra di dieci anni fa. Il racconto non esibisce pareri o preferenze, né cerca di dare soluzioni. Il punto di vista di Hare è equilibrato, in altre parole non sceglie di stare né da una parte né dall’altra del muro. Vi passa però attraverso, tra le centinaia di checkpoints dislocati lungo il percorso, per cercare di capirne le ragioni e i limiti. Valter Malosti, affezionato amico e immancabile presenza a Trend, ne propone un adattamento asciutto, crudo, essenziale. Fa suo un racconto estremamente soggettivo, che restituisce con forza e convinzione. Il teatro si conferma nuovamente come lo spazio necessario e insostituibile per la diffusione della conoscenza, della cultura e della crescita umana.
Con l’augurio di poter vedere concludersi questa rassegna di spettacoli senza ulteriori limitazioni dovute alla pandemia in corso, ricordiamo che lunedì 26 e martedì 27 ottobre andrà in scena Sleepless / Tre notti insonni di Caryl Churchill per la regia di Lorenzo Loris. Ringraziamo tutto lo staff del Belli per la calda e sicura accoglienza e tutta la squadra organizzativa di Trend, che anche in quest’anno difficile ci ha voluto come spettatori.
data di pubblicazione:24/10/2020
Il nostro voto:
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