BEAU HA PAURA di Ari Aster, 2023

BEAU HA PAURA di Ari Aster, 2023

Beau Wessermann abita da solo, terrorizzato da tutti quelli che vivono attorno a lui, in un appartamento fatiscente, sito in un luogo imprecisato ed invaso da criminali di ogni tipo. Un giorno decide di partire per incontrare la madre, verso la quale nutre un devastante rapporto di amore, quasi di morbosa sottomissione. Per una serie di strane circostanze non può più raggiungerla, avrebbero dovuto festeggiare insieme il suo compleanno. Da quel momento inizia la sua odissea attraverso un mondo ostile che lo respinge e che attenta persino alla sua incolumità…

 

Martin Scorsese, grande ammiratore di Ari Aster che aveva già più volte lodato per i suoi precedenti Hereditary e Midsommar, nel vedere l’ultimo suo attesissimo film ha definito il giovane regista newyorkese “una delle più straordinarie nuove voci nel mondo del cinema”. In effetti non si può che concordare con il grande maestro sull’abilità tecnica che sta dietro a questo film e soprattutto sul linguaggio visionario utilizzato, così unico e coinvolgente che oggi solo pochi sono in grado esprimere con un così alto livello. A differenza dei due lavori precedenti, in cui oltre all’aspetto onirico si era dato più rilievo alla componente horror, in Beau ha paura, protagonista Joaquin Phoenix, si vuole dare risalto alle sensazioni adrenaliniche che il personaggio trasmette, alle sue ansie, alle sue paure verso una madre matrigna e verso un mondo che sembra voler accoglierlo, ma che nella buona sostanza lo respinge, anzi tenta proprio di annientarlo. Difficile ricostruire una trama che possa rientrare in uno spazio temporale ben definito, in un percorso che va dal momento della sua nascita a quello della sua morte, un percorso insidioso pieno di incontri con personaggi al limite della schizofrenia. Beau è destinato a essere un perdente, a lui è precluso anche fare sesso perché ha ereditato dal padre e, prima di lui dal nonno e dal bisnonno, il triste destino di morire al primo rapporto completo con una donna. Questo è solo uno dei tanti misteri che avvolgono la sua vita: una madre troppo presente e un padre troppo assente, morto appunto al momento esatto del suo concepimento. Non è casuale che una scena iniziale riguardi una seduta di psicoterapia in cui si affronta il tema fondamentale del rapporto madre-figlio e della sue nevrosi, facendo da lì scaturire una sorta di ansia soffocante, una avversità cosmica che si riversa sull’infelice protagonista. Un film che esce da qualsiasi schema e che in tre ore riesce a trasmettere allo spettatore irritazione, impotenza, frustrazione. L’interpretazione di Joaquin Phoenix supera quella di Joker, nell’omonimo film per il quale ricevette l’Oscar come migliore attore: anche per questo incredibile ruolo si spera possa ottenere un più che meritato riconoscimento. Gli è dovuto…

data di pubblicazione:16/05/2023


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RITORNO A SEOUL di Davy Chou, 2023

RITORNO A SEOUL di Davy Chou, 2023

Freddie ha programmato di trascorrere le sue ferie in Giappone. Il volo viene improvvisamente annullato e senza pensarci troppo decide di cambiare destinazione per Seoul. In effetti la scelta non è casuale anche se presa d’istinto: nata in Corea, la ragazza è stata adottata da una coppia francese e non è mai più tornata al suo paese d’origine. Anche se inizialmente poco convinta, cercherà di contattare i suoi genitori biologici…

Fuori dagli schemi di una cinematografia coreana sempre più presente nelle sale e che, nel bene e nel male, ci sta abituando ad un modus operandi del tutto anticonvenzionale, Davy Chou, regista franco/cambogiano, ci porta in una dimensione del tutto nuova, molto introspettiva se si vuole a tutti i costi darne una definizione. Ispirata ad una storia reale che riguarda una sua amica coreana adottata in Francia, Freddie, la spigolosa protagonista del film, a 25 anni torna per la prima volta nel paese dove è nata e, quasi controvoglia, si ritrova sulle tracce dei genitori biologici. Mentre la madre rifiuta l’incontro, il padre invece la accoglie con grande slancio nella sua nuova famiglia e in maniera quasi “opprimente”, nonostante la difficoltà di comunicare con la figlia che non parla coreano, cercherà in tutti i modi di convincerla a rimanere in Corea. Il regista sembra saper cogliere i differenti stati d’animo dei protagonisti: da un lato un padre ubriacone, ma che dimostra sincera amarezza e non riesce a perdonarsi di aver dato la bambina in adozione, dall’altro la reazione della ragazza, a volte spietata e crudele che non sa, o forse non vuole, scusare i genitori per averla abbandonata al suo destino, in un paese del tutto estraneo alle loro tradizioni. Nel seguire la storia altalenante che accompagnerà la giovane, negli anni a seguire, si viene investiti da un sentimento di pura avversione nei suoi confronti dal momento che i comportamenti di Freddie risulteranno sempre caratterizzati da una evidente forma di aggressività e anaffettività, anche verso i vari uomini che la corteggiano e con i quali ha incontri sessuali effimeri e superficiali. Ma andando più nel profondo, piano piano risulterà più evidente che la ragazza nasconde in sé proprio un bisogno di affetto, di quello sincero però, che ricercherà verso l’unica in grado di darglielo. Davy Chou dirige con maestria degli attori eccezionali tra i quali spicca Ji-Min Park, al suo esordio come attrice, che interpreta alla perfezione il ruolo camaleontico di Freddie, ragazza a volte sensibile a volte dura e collerica, espressione di fragilità interiore che la protagonista cercherà in tutti i modi di tenere nascosta agli altri. Un film che all’inizio potrà destare qualche perplessità, ma che invece richiede la giusta predisposizione d’animo per arrivare ad apprezzarlo.

data di pubblicazione:15/05/2023


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LA QUATTORDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO di Pupi Avati, 2023

LA QUATTORDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO di Pupi Avati, 2023

La quattordicesima domenica del tempo ordinario, secondo l’anno liturgico, è quella che segue la Quaresima e anticipa l’Avvento. In quel tempo forse succedono grandi cose anche per la vita dei giovani protagonisti, Samuele e Marzio che, in una Bologna degli anni Settanta, decidono di formare il duo i Leggenda. Poi entra in scena la bellissima Sandra: tutto sembra andare per il giusto verso quando improvvisamente si spezza il filo sottile che unisce i tre e ogni cosa esplode come in una bolla di sapone…

 

Pupi Avati, reduce dai successi ottenuti con Lei mi parla ancora, protagonisti di indiscussa bravura Renato Pozzetto e Stefania Sandrelli, e a seguire Dante, che ha molto diviso la critica ma che ha comunque riscosso l’approvazione da parte del pubblico, si presenta ora con un film drammatico che ha suscitato in molti pesanti perplessità. Probabilmente perché da un maestro del cinema come Avati, per quanto poliedrico possa essere, le aspettative sono sempre alte. La storia accompagna i protagonisti da una fase adolescenziale a quella più matura della presa di coscienza dei propri fallimenti, sia professionali che affettivi in senso stretto. I Leggenda, hanno un breve momento di gloria quando arrivano quarti al Festival di Castrocaro, superando persino i Dik Dik di Sognando la California, ma dopo essere stati scartati da Sanremo, tutto sembra ormai destinato all’oblio. L’avvenente Sandra, pur conquistata in modo singolare da Marzio, che riesce persino a sposarla, non vuole rinunciare alla carriera di indossatrice. Un miscuglio di pensieri affollano la mente di Marzio, ricordi di un passato che forse sarebbe meglio dimenticare, abbandoni e ripiegamenti per sfuggire ad un destino avverso per poi ritrovarsi in vecchiaia con un pugno di mosche, senza sapere cosa fare per sbarcare il lunario.

Ma, nonostante il ripescaggio di attori di un certo calibro quali Gabriele Lavia, Edwige Fenech, di un improbabile Massimo Lopez, e nonostante il tentativo di lancio di Lodo Guenzi, Camilla Ciraolo e Nick Russo, gli stessi personaggi da giovani, il film stenta a decollare, anzi si va ad arenare proprio in quelle scene in cui l’aspetto drammatico avrebbe dovuto dare un maggiore sferzata emotiva all’intera storia. Forse troppa carne al fuoco con un risultato poco credibile anche se il regista bolognese si lascia andare a tratti autobiografici, confidandoci i suoi momenti poco felici, costellati da malinconia e insuccessi. Un film datato nelle immagini e ancor più nei contenuti, e se non tutte le ciambelle riescono col buco, forse questo film è una di quelle.

data di pubblicazione:10/05/2023


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TRE SORELLE di Anton Čechov, regia di Claudia Sorace- Coproduzione Index Muta Imago,  Teatro di Roma – Teatro Nazionale, TPE – Teatro Piemonte Europa

TRE SORELLE di Anton Čechov, regia di Claudia Sorace- Coproduzione Index Muta Imago, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, TPE – Teatro Piemonte Europa

(Teatro India – Roma, 9/14 Maggio 2023)

Un orologio luminoso segna il trascorrere inesorabile del tempo. Per Masa, Irina e Olga, le tre sorelle, tutto rimane invece sospeso nel ricordo di un passato, i cui contorni si stanno comunque sbiadendo per non lasciare più alcuna traccia. Per sfuggire a una vita mediocre, in una cittadina di provincia dove ora vivono, nutrono il comune desiderio di trasferirsi a Mosca, loro città di nascita. Le vicende che seguiranno renderanno questo sogno irrealizzabile…

 

Per il celebre scrittore e drammaturgo russo, in questa penultima opera del suo vasto patrimonio letterario lasciatoci in eredità, sembra che il tempo sfugga di mano: un passato che è passato, un futuro quanto mai incerto e un presente inconsistente. Le tre sorelle si interrogano sul senso della vita e sui loro progetti che convergono solo su un punto: il ritorno alla loro amata Mosca, da anni lontana nei fatti che le hanno portate a vivere un’esistenza grigia e senza entusiasmo. Il loro è un mondo quasi surreale fatto di desiderio, passione e aspettative destinate a rimanere irrisolte perché le vicende le hanno costrette, inesorabilmente, a scelte sbagliate e comunque insoddisfacenti. Gli altri personaggi sono da contorno e non appaiono mai sulla scena, pur avvertendone la presenza ingombrante, come quella del fratello Andrej, ragazzo molto colto destinato a un futuro brillante da intellettuale. Il compleanno di Irina, l’anniversario della morte del padre, un carnevale con ballo in maschera che verrà con un pretesto annullato, un incendio che scuote l’intera famiglia questi e altri eventi portano le tre sorelle ad interrogarsi sul perché di tante avversità e su cosa ne sarà di loro quando tra cento, forse mille anni, ogni ricordo sarà svanito. Ecco che questo vuoto esistenziale dei personaggi lascerà spazio solo a una frustrante rassegnazione, ogni velleitarismo verrà sacrificato e il ritorno a Mosca svanirà. Le tre attrici sulla scena sono Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli unite da movimenti spasmodici che le rendono quasi eteree, fluttuanti in un interno semplice e decoroso, mentre sullo sfondo si intravede il bosco di betulle che avvolge l’intera casa dove si svolge l’azione. Le musiche che accompagnano sono curate dal vivo da Lorenzo Tomio, suoni cadenzati che possono risultare a volte opprimenti quasi a segnare un tempo ritmico e inarrestabile. Le luci stroboscopiche, con la direzione tecnica di Maria Elena Fusacchia, contribuiscono a rendere discontinuità ai movimenti e creano un ambiente a volte quasi psichedelico, funzionale a sottolineare lo stato d’animo generale. Una trasposizione ben riuscita che riesce a coinvolgere sin dal primo momento il pubblico che ha apprezzato e accolto con entusiasmo l’ottima interpretazione delle tre protagoniste. Ha collaborato alla produzione Amat & Teatri di Pesaro per Pesaro 2024, Capitale Italiana della Cultura.

data di pubblicazione:10/05/2023


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LE CINQUE ROSE DI JENNIFER di Annibale Ruccello, regia di Gabriele Russo con Daniele Russo e Sergio Del Prete.

LE CINQUE ROSE DI JENNIFER di Annibale Ruccello, regia di Gabriele Russo con Daniele Russo e Sergio Del Prete.

Teatro Vascello – Roma, 12/16 Aprile 2023)

Napoli, un quartiere popolare abitato principalmente da travestiti. In apertura si nota subito tutto l’orribile kitsch dei mobili e dei soprammobili, i resti di una cena, rotocalchi popolari sul pavimento, trucchi sparsi ovunque. Il telefono squilla e Jennifer irrompe sulla scena stracarica di pacchetti, tra cui spiccano cinque rose rosse. Pronto…Pronto?…Pronto? Mannaggia hanno riattaccato! Chist’era sicuramente Franco, ovvì! E mo’ chi ‘o ssape se telefona n’ata vota…

Annibale Ruccello, purtroppo scomparso prematuramente, costruisce una storia attorno alla figura emblematica di Jennifer, un travestito napoletano che vive il dramma della propria solitudine, il tutto architettato intorno alla condizione dell’attesa.

Franco, figura reale o puro e solo frutto dell’immaginazione, ha promesso di farsi vivo, ma oramai sono passati tre mesi e di lui non si ha notizia. I fatti che ci vengono raccontati sono ridotti all’essenziale e apparentemente tutto rimane fermo ma, a pensarci bene, tutto è in movimento: il telefono squilla continuamente, i programmi alla radio alternano canzoni di Mina e Patty Pravo degli anni Settanta con notiziari locali che avvertono di un serial killer in azione nel quartiere, le rose appassite sono sostituite con quelle fresche e Jennifer è in attesa. La sua oramai è una situazione esistenziale in cui unico scopo è quello di aspettare una telefonata dall’amato Franco, telefonata che sembra essere oramai imminente ma che nella realtà non arriva mai. Tolti i panni della normalità, così come la definisce la società, Jennifer diventa tra le mura di casa finalmente se stessa e può indossare le sue mise più sofisticate e truccarsi come meglio crede per farsi trovare pronta ad accogliere Franco, oramai prossimo a materializzarsi.

Il monologo della prima parte di questo, per meglio definirlo, dramma vede la protagonista dialogare con il proprio alter ego, un’ombra che si aggira sulla sfondo a ricordarle chi sia veramente, la sua condizione di emarginazione, la sua perenne solitudine. Quando entra in scena Anna, altro travestito anche lui in attesa di una telefonata, che racconta di se’ e del suo rapporto imprescindibile con la gatta Rusinella, lo spettatore senza forzare lo spirito del testo può veramente ritrovare l’essenza della tragedia che si va via via realizzando.

Bravissimi i due attori in scena in un susseguirsi di battute che solo il dialetto napoletano può generare in maniera così pittoresca e che induce spesso al riso, anche se, ahimé, si tratta di un riso amaro…

data di pubblicazione: 13/04/2023


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