MATRIMONIO CON SORPRESA di Julien Hervé, 2024

MATRIMONIO CON SORPRESA di Julien Hervé, 2024

Alice e François riuniscono i genitori nella sontuosa tenuta della famiglia di lei. Il padre di lui è un concessionario della Peugeot e da subito viene messo a disagio dai consuoceri, i Bouvier Sauvage, che vantano una discendenza nobile e vecchia di diversi secoli. I due giovani hanno intanto preparato una sorpresa: un test del DNA per tutti loro. Ognuno leggerà le proprie origini e rimarrà completamente spiazzato dal risultato scaturito da questo insolito esame di laboratorio…

 

La commedia alla francese riesce bene se a farla è un francese. Assioma inconfutabile che si applica perfettamente al film firmato dal regista Julien Hervé. Il plot, piuttosto elementare e meglio adattabile a una pièce teatrale, non si può certo considerare particolarmente esilarante. Due famiglie di classi sociali completamente diverse che si trovano a rivaleggiare in nome dell’amore sincero che unisce i loro rispettivi figli. Ognuno sembra legato alle proprie salde origini alle quali non intende certo rinunziare e che anzi diventa elemento di orgoglio quando si troveranno a conversare in salotto per accogliere la notizia del prossimo matrimonio dei figli. Certo non sarà facile per un Bouvier Sauvage acconsentire alla nozze della loro unica figlia e consegnarla nelle braccia di un Martin, insignificante concessionario d’auto. Superate a fatica queste differenze di ceto sociale, tutto sarebbe potuto andare liscio se i promessi sposi non avessero avuto la geniale idea, è il caso di dirlo, di sottoporre i rispettivi genitori al test del DNA. Lo scopo era di rivelare a ciascuno la propria reale discendenza. L’iniziativa, se può sembrare originale, non prevede certamente un risultato così esplosivo. Ognuno scoprirà qualcosa di inimmaginabile che porterà a rivedere nel bene e nel male le proprie convinzioni. Un film divertente, leggero, che vanta l’ineccepibile interpretazione di due grandi comici francesi: Didier Bourbon e Christian Clavier. Situazioni grottesche, ma sempre esilaranti, accompagnano lo spettatore in questa commedia che, forse nell’intento del regista, dovrebbe mettere alla berlina la società francese, così rigidamente attaccata ai propri sentimenti nazionalistici. Come sempre il lieto fine aggiusterà ogni velleità e ogni pregiudizio e il matrimonio verrà comunque fatto. Per la verità anche un poco in ritardo visto che nel frattempo si è materializzato un piccolo Martin per la felicità dei nonni che hanno già dimenticato le proprie inaspettate origini. Pian piano acquisiranno la giusta dose di saggezza per capire quanto siano importanti i rapporti umani che vanno anche vissuti con una buona dose di ironia e di umorismo.

data di pubblicazione:11/07/2024


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GENTE PER BENE di Paul Negoescu, 2024

GENTE PER BENE di Paul Negoescu, 2024

(Casa del Cinema di Roma, Festival del cinema rumeno)

Un impietosa fotografia della corruzione in una povera provincia rumena, specchio di una condizione universale nel rapporto tra ricattatore e ricattato. Un giallo che prepara una svolta violenta aprendo le porte a un inaspettato finale western..

Un poliziotto in crisi sembra dominato dalle circostanze della vita. Lasciato dalla moglie, senza figli, assoggettato a una routine in cui il suo sindaco sembra indirizzare tutti i più riposti pensieri. Il suo unico sogno di riscatto parte dal possesso di un frutteto, unico scopo della sua residua motivazione esistenziale. Non lo scuote anche l’ingenuo impulso di giustizia del suo giovane sottoposto che di fronte a un omicidio muove un’inchiesta seria che lui, il protagonista, cerca progressivamente di spegnere senza troppo clamore. Ma dietro l’uccisione, che è un vero e proprio regolamento di conti, c’è la corruzione, un contrabbando importante, i fili retti dal primo cittadino della cittadina in cui vive. Il poliziotto subisce, incassa, si vede regalato il frutteto in cambio del silenzio. Ma alla fine poi, come ne Il borghese piccolo piccolo, esplode e, in una rivalsa violenta che non avrà testimoni, manda a carte e quarantotto la ragnatela che gli è stata cucita intorno. Un film crudo, violento, indelicato che scuote le coscienze e che riflette un pezzo di vita in Romania ma anche nel mondo, nel finto torpore della provincia. Postelnicu è stato l’autentco protagonista della rassegna rumena comparendo in due pellicole, passando dai moti anti-Ceasescu di Sibiu a questo funzionale ritratto di un uomo di Stato travolto dalla propria apatia. Si è proposto in conferenza stampa spiegando che la storia voleva funzionare senza troppi intenti moralistici. L’ironia del titolo del film svela già tanto.

data di pubblicazione:08/07/2024


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CURCULIO di Plauto, traduzione di Giusto Monaco,

CURCULIO di Plauto, traduzione di Giusto Monaco,

regia e adattamento di Cinzia Maccagnano, con Edoardo Siravo, Gabriella Casali, Raffaele Gangale, Luna Marongiu, Cristina Putignano, Marta Cirello e tutti i giovani del laboratorio Plautus Festival, musiche Lorenzo de Seta, costumi Monica Mancini. Produzione Teatro dei due mari

(Anfiteatro Trebula Mutuesca di Monteleone Sabino, 6 luglio 2024, poi in tournèe estiva)

Nello scenario suggestivo di un teatro romano un classico della comicità che viaggia incessantemente d’estate dopo aver debuttato al Teatro Arcobaleno di Roma. Siravo s’impone con la sua bonomia in una congerie di bravi e giovani interpreti che svecchiano l’autore a ritmo di musical. Battute fuori programma con citazioni per Vannacci e per le peripatetiche della Salaria.

La commedia è una fabula ricca di personaggi e dunque di interpreti con tutti i consacrati schemi della narrazione plautina. L’amore di due giovani, il servo spregiudicato, il soldato fanfarone, la vecchia beona, il lenone interessato solo ai soldi, immersi in un gioco degli equivoci, leggero e divertente che è solo il prologo allo scioglimento finale in cui tutti i nodi della vicenda vengono brillantemente risolti. Più che il finale ci sono dunque da gustare i singoli siparietti cuciti dalla voce della narratrice che tira i fili dell’intricata matassa. C’è la Roma antica con i suoi vizi e le proprie virtù sotto lo sguardo trasognato dell’autore che sorride di fronte a tanti colpi di scena. Curculio è il parassita perennemente affamato, come si direbbe volgarmente un morto di fame, a cui viene intitolata la commedia. Caricature, mascheramenti bugie digerite con il sorriso sulle labbra. Immancabilmente alla fine i giovani promessi potranno sposarsi. E Curculio approfitterà di un ricco e lauto pranzo pasquale. Gioco di rotture, di spiazzamenti in cui i ruoli di uomini e donne possono essere validamente scambiati. Un teatro che trionfa d’estate ma che meriterebbe una riscoperta anche d’inverno vista la sua intatta leggerezza, sottofondo di modernità. Per la cronaca Curculio è un insetto del grano. Sinonimi: parassita, punteruolo, gorgoglione.

data di pubblicazione:08/07/2024


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LIBERTÀ di Tudor Giurgiu, 2024

LIBERTÀ di Tudor Giurgiu, 2024

 

(Casa del Cinema di Roma, Festival del cinema rumeno)

Il film di debutto per il festival del cinema romeno alla Casa del Cinema di Roma. Un intenso flash back su quanto successe a Sibiu nel giorno in cui fu rovesciato Ceasescu (1989). Un punctum storico in cui rivoluzione e controrivoluzione intensamente si confondono.

La presa diretta e le scene di gruppo con concentrazione di tempo e di spazio sono i punti di forza di un film ovviamente di finzione che però prende la parvenza di un documentario nel tessere gli intricati fili del rovesciamento del regime comunista, in seguito a un insostenibile situazione economica di degrado della popolazione. Chi ha davvero sparato per primo a Sibiu creando il corto circuito tra il popolo, l’Esercito, la polizia e la Securitate? Dunque verità e dissimulazione si confondono quando 502 presunti terroristi vengono detenuti in una piscina opportunamente svuotata di acqua e duramente trattati per il loro presunto status di sovversivi, alcuni solo per la colpa di aver militato nei corpi dello Stato. Lo psicodramma rumeno ha bisogno di distanza (35 anni dopo) per essere rivisto, e meditato. Il regista non prende posizione ma mette i fatti sul tavolo in maniera che lo spettatore possa farsi una propria idea su quanto avvenuto. Gli attori sono professionisti ma sembrano appartenere a un tardo neorealismo con la loro intensità emotiva. Per la cronaca durante i disordini di quell’ormai lontana si registrarono 99 morti e più di 200 ferimenti. Ma il clima di grande tensione del film digrada in un finale meno teso anche se tutt’altro che consolatorio. La pellicola adombra anche un possibile intervento spionistico della Russia. Presentato in prima mondiale al Transilvania Film Festival del 2023 ha già avuto 17 riconoscimenti nei premi internazionali.

data di pubblicazione:06/07/2024


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HORIZON AN AMERICAN SAGA – CAPITOLO I di Kevin Costner, 2024

HORIZON AN AMERICAN SAGA – CAPITOLO I di Kevin Costner, 2024

Il passato della Frontiera Americana, a partire dal 1856. Tante storie intrecciate: coloni alla ricerca della Terra Promessa, nativi- nella specie- Apaches, in difesa dei territori dei loro padri, fuorilegge, cacciatori di scalpi, giacche azzurre, donne di poca virtù ed eroine indomite. Il tutto a comporre la prima parte di un affresco sull”innocenza e la violenza di terre ostili negli anni che precedono la Guerra Civile.

Terreno da sempre battuto con esiti altalenanti da attori e registi USA, il Western torna alle sue migliori origini in una eclatante produzione, grazie a Kevin Costner. L’attore e regista, già vincitore di sette premi Oscar col suo Balla coi Lupi, ha un’evidente predilezione e direi autentica passione per il genere. Lo testimoniano precedenti riusciti episodi del suo percorso artistico, su tutti, il suo già citato blockbuster del 1990, ma, seppure meno fortunati al botteghino, gli ottimi Wyatt Earp del 1994 e Open Range del 2003. Con Horizon però, Kostner si è giocato tanto (pare abbia ipotecato anche il suo ranch) per un progetto ambizioso e coraggioso. I risultati economici, ovviamente, prescindono da un discorso critico e, francamente, non ci riguardano. Da spettatori non possiamo che apprezzare lo straordinario spettacolo che ci viene offerto in 3 ore, emozionanti e mai noiose E siamo solo alla prima parte di una trilogia! Nel film c’è l’America delle origini, c’è il racconto del Sogno Americano che troppe volte si trasforma in incubo, c’è “la c.d. questione dei nativi”, affrontato in termini asettici, quindi senza retorica pro o contro. Torna, soprattutto, l’iconica tradizione dei grandi vecchi western del passato. Primo riferimento, anche per la costruzione del plot è certamente, La Conquista del West, anch’esso composto da più episodi che trovavano poi un loro denominatore comune. Ma anche altri grandi cult del passato sono affettuosamente citati: L’uomo che uccise Liberty Valance, Sentieri Selvaggi (vedi alcune inquadrature da interno verso l’esterno che richiamano il capolavoro fordiano), e ancora Il Grande Sentiero, o Gli Inesorabili (ricordato nella drammatica scena iniziale con il tetto della casa incendiato e gli Apaches pronti a irrompere).

Naturalmente la nuova regia di Costner non è solo una rilettura nostalgica dei film e dei registi che ha amato. La straordinaria produzione ha infatti permesso estetismi e locations di tutto rispetto: una fedeltà nei dettagli, quasi maniacale e una sceneggiature ricca e variegata che troverà naturale sviluppo nei successivi episodi, il secondo dei quali previsto per il prossimo 15 agosto. Bisogna dunque lasciarsi immergere in questo effluvio di straordinarie immagini, farsi catturare dalle storie (troppe dice qualcuno?), dal formidabile cast di attori messo a disposizione dalla produzione (Coster, Howard Kaplan e molti altri coraggiosi investitori). Tra i protagonisti, Costner nel ruolo di Hayes Ellison, un lupo solitario che si trova coinvolto in vicende rischiose, Sienna Miller, splendida madre di due figli tra dolori e amori, l’asciutto Sam Worthington, nel ruolo del tenentino progressista, Abbey Lee-Marigold, ragazza disinvolta dal cuore gentile, Luke Wilson nel ruolo del rude capo carovana. Impossibile citarli tutti. Plausi particolari, di certo, vanno al direttore della fotografia J.Michael Muro, allo scenografo R.Hill, e, dulcis in fundo, a John Debney, già premio Oscar, autore delle musiche classiche e possenti. La sceneggiatura se la dividono l’eclettico Cosner e Jon Baird. A loro va l’innegabile merito della gestione di una storia troppo grande per essere raccontata in un solo film, nonché di aver saputo costruire con rigore “ storico” un nuovo evento da immettere nel solco del Grande Cinema. Qualcuno ha osservato che, forse un tale intrico di storie poteva meglio trovare il suo naturale sfogo nelle serie TV, dove i tempi sono forzatamente più rilassati, ma, consiglio da cinefilo, credetemi, il grande schermo continua a mantenere il suo fascino e per un’impresa del genere ne rappresenta il medium più congruo e affascinante.

data di pubblicazione:05/07/2024


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L’OCCIDENTE E IL NEMICO PERMANENTE di Elena Basile – Paperfirst editore

L’OCCIDENTE E IL NEMICO PERMANENTE di Elena Basile – Paperfirst editore

Una voce dissonante nel coro indistinto di chi vuole la guerra permanente, un benefit senza termine per la concessione delle armi all’Ucraina. L’altra faccia della medaglia di questa politica di sostegno è ovviamente la completa distruzione di un Paese, delle sue risorse e il mantenimento al potere di Zelenski nella virtuale sospensione della democrazia. Sul fronte pacifista il quid machiavellico: sostieni la guerra se hai speranze di vincerla e non per prolungare l’agonia di un popolo. Realpolitik per inquadrare la vicenda della guerra russo-ucraina da una prospettiva più vasta dell’avviso putiniano del 2022. Prodromi che risalgono a Majdan, al 2014, se si vuole allo sbriciolamento della Repubbliche ex sovietiche, a quando Kiev era la capitale di un impero, sottotesto che mai viene dimenticato dai russi. Così il pamphlet dell’ex ambasciatrice è una provocazione efficace in un’Italia che mediaticamente è schiacciata sull’atlantismo e sul feroce condizionamento statunitense, senza neanche un lampo di autonomia e indipendenza. Dietro l’autrice c’è ovviamente Il Fatto, le tesi di Travaglio e Santoro, le acuminate analisi del vituperato Orsini. Seminare il dubbio è esercizio ontologico di dibattito oltre l’unidimensionalità del pensiero unico. Contributo fattivo, intelligente, dialettico. Perché una crisi definita regionale non diventi un conflitto globale e non scateni la lusinga del ricorso al deterrente nucleare. Nel libro c’è anche la visione del conflitto Hamas-Israele e anche in questo caso, fuori di superficialità, si cercano le radici profonde di un odio che rimane atavico, scolpito nella storia. Interessanti contributi per la confezione editoriale la prefazione di Luciano Canfora e la postfazione di Alberto Bradanini, Abituati ai diplomatici dai modi felpati e con la feluca, quasi tutti uomini, ritroviamo al centro del pensiero un soggetto femminile estremamente combattivo e che fa uscire la diplomazia da quel velo di pesante retorica che l’ha sempre contraddistinta.

data di pubblicazione:27/06/2024

ALL WE IMAGINE AS LIGHT di Payal Kapadiya, 2024

ALL WE IMAGINE AS LIGHT di Payal Kapadiya, 2024

A Mumbai la vita quotidiana di Prabha viene sconvolta quando riceve un regalo inaspettato da suo marito che è andato a vivere all’estero. La sua giovane compagna di stanza, Anu, cerca invano di trovare un posto in città dove fare sesso con il suo ragazzo. Un viaggio in un villaggio costiero offre alle due donne uno spazio dove i loro desideri possono finalmente manifestarsi.

Il film racconta le vite parallele di due infermiere coinquiline a Mumbai, la più giovane Anu (Divya Prabha) e Prabha (Kani Kusruti): la prima cerca un posto per stare col ragazzo, ma nel frattempo la famiglia le combina in matrimonio, la seconda riceve un regalo inaspettato dal marito che lavora in Germania e da tempo non si fa sentire. Prabha ha poi dimenticato il come e il perché si “ama”, tanto che non sa nemmeno gestire le attenzioni di un medico, Anu desidera il ragazzo che frequenta, che è musulmano ma la differenza di religione per loro non conta, ed è infatti con lui che si immagina un futuro. Emerge anche un’altra figura, Parvaty, la cuoca dell’ospedale dove lavorano le due infermiere, che desidera solo tornare nella sua cittadina vicino al mare, perché sfrattata dal suo appartamento di Mumbai, sradicandola da una realtà in cui vive da 20 anni.

Quello che risulta è un ritratto delicato e toccante che riflette la stasi e lo sconforto (sembra) perenne delle due infermiere, con una routine che sembra senza avvenire. Ma al tempo stesso emerge anche un’analisi sociopolitica, in cui si denunciano le evidenti disparità di genere, classe e religione radicate nel Paese.

È con tutte le tre figure femminili citate che All We Imagine As Light diventa un film di viaggio, nella seconda parte un viaggio che si sposta dal caos cittadino verso la costa, al traffico si sostituisce il suono delle acque, ed in mezzo alla natura rigogliosa il film trova la sua definizione.

data di pubblicazione:27/06/2024


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FREMONT di Babak Jalali, 2024

FREMONT di Babak Jalali, 2024

Donya è miracolosamente riuscita a fuggire da Kabul dove lavorava come traduttrice presso le truppe statunitensi in Afghanistan. Ora vive a Fremont, in California, operaia in una piccola fabbrica cinese di biscotti della fortuna. Il pensiero dei suoi familiari e il rimorso per averli abbandonati nel suo paese rende le sue notti insonni. Per risolvere questo problema inizierà a frequentare lo studio di uno psicoterapista e pian piano darà un senso alla sua solitudine…

Il regista Babak Jalali, di origini iraniane, insieme alla regista e sceneggiatrice italiana Carolina Cavalli, confeziona su misura un film sulla figura quanto mai enigmatica di Donya. Una rifugiata che vive ai margini di una comunità afghana, in un paese non suo e che cerca con ogni mezzo di farlo diventare suo. La ragazza passa il suo tempo tra la fabbrica di biscotti della fortuna, dove lavora, e la sua modesta camera in un vero e proprio ghetto dove sono vigenti le leggi e le usanze del lontano Afghanistan. Proprio nella solitudine della sue interminabili notti da insonne, i pensieri salgono alla sua mente e le creano forti tormenti. A Kabul ha infatti lasciato ogni cosa e tutti i propri affetti. Lei stessa però si considera una fortunata per essere riuscita a porsi in salvo, fortuna che forzatamente cerca di trasferire agli anonimi consumatori di quei biscotti che contengono all’interno un messaggio profetico. Film nella sostanza statico pone Donya (Anaita Wali Zada) al centro di una schermo che lei stessa riesce a trapassare con lo sguardo e raggiungere direttamente lo spettatore. Il film infatti ruota su una staticità e una riproduzione di gesti senza soluzione di continuità che, aiutate da una fotografia in bianco e nero, sono quanto mai funzionali e dipingere l’immagine di una donna sola in cerca di amore vero. Se la sorte pare si prenda gioco di lei, in effetti, dietro le quinte, sta preparando per la ragazza la possibilità di un lieto fine, fornita da un meccanico (Jeremy Allen White) anche lui triste e solo. Come ogni lavoro che in qualche modo si focalizzi solo su l’immagine malinconica del protagonista, anche questo film rischia di annoiare, se non addirittura infastidire, lo spettatore. Se lo si guarda invece nell’ottica di una sorta di emancipazione e crescita, nella ricerca di una felicità che stenta ad arrivare, allora il film di Babak Jalali assumerà una valenza particolare e se è vero che la felicità sta nel biscotto giusto, allora basta avere la fortuna di trovarlo.

data di pubblicazione:26/06/2024


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ALL WE IMAGINE AS LIGHT di Payal Kapadiya, 2024

L’HISTOIRE DE SOULEYMANE di Boris Lojkine, 2024

Un ciclista (rider) che consegna cibo a Parigi e richiedente asilo di nome Souleymane ha due giorni per preparare la sua storia per un colloquio decisivo per ottenere la residenza legale.

Premio della giuria e per la migliore interpretazione nella sezione ‘Un Certain Regard’, L’Histoire de Souleymane è un cine-documentario diretto da Boris Lojkine, che tratta la storia di un immigrato della Guinea che prova ad inserirsi nella capitale francese.

È un’opera accecante che Boris Lojkine trasforma in una romanzo umanistico che si muove a velocità continuamente esagerata nel cuore di Parigi, su una bicicletta di uno dei tanti ultimi della società, il cui futuro in Francia si deciderà due giorni dopo, durante un colloquio con l’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi.

Una Parigi non sicuramente “ville lumiere”, non usuale nelle altre classiche visioni dei vari registi, ma piena di caos, scorbutica e nevrotica per certi versi, con un uso istruito delle luci della città: i fanali delle biciclette, i fari degli autobus, i lampioni delle fermate.

La trama è un vero e proprio conto alla rovescia che dura poco meno di tre giorni, un breve periodo che ci consente di addentrarci ne dettagli della vita quotidiana di Souleymane, seguendone in tempo reale ogni singola mossa. È così che la sua storia personale emerge in tutta la sua frenesia e in tutta la sua realtà, senza nessun filtro, dando così come risultato un film sociale in cui si descrivono le reali condizioni di lavoro e la sua reale situazione.

L’interpretazione è schietta, la lingua libera e autonoma, senza dialoghi costruiti artatamente: siamo dall’inizio alla fine a fianco di Souleymane. La fotografia dà un taglio documentarista che si addice alla trama commovente. L’intervista finale è la vera chiusura dell’anello che permette di dare un senso al titolo del film “la storia di Souleymane”.

È uno di quei film che si possono anche definire necessari, con un taglio tipico alla Ken Loach, che parla anche di speranza, cosa di cui oggi abbiamo un immenso bisogno.

data di pubblicazione:25/06/2024


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L’ELEFANTE CHE AVEVA PERSO GLI OCCHI di e con Boni Ofogo

L’ELEFANTE CHE AVEVA PERSO GLI OCCHI di e con Boni Ofogo

e TAMBURO E VOCE BATTITI DI UN CANTASTORIE di e con Nando Brusco

(Associazione La Farfalla – Castel Fusano, 15 giugno 2024)

Due storytellers mescolano musica e parole per ridare vita alla tradizione secolare dei cantastorie. Tra colori e atmosfere di storie forse lontane, forse vicinissime, il festival internazionale di storytelling fa tappa a Roma.

Ci sono cantastorie che girano ancora per il mondo, come nelle leggende e nei racconti medievali. Oggi si chiamano storytellers, ma la sostanza resta la stessa: depositari di una tradizione orale lunga secoli, lasciano che le storie dei propri paesi viaggino sulle loro gambe. E il 15 e il 16 giugno, queste storie sono passate dalle parti di Roma sulle gambe di Boni Ofogo, storytellers camerunense, e di Nando Brusco, cantastorie calabrese. Nella splendida cornice della sede dell’associazione La Farfalla nella pineta di Castel Fusano, la sera del 15 giugno il pubblico ha ascoltato storie di Africa e Crotone, di piccoli ruscelli e di mare, di elefanti nervosi, re cacciatori e donne antiche. In un mix unico di lingue, armonie e stili narrativi, ci si lascia trasportare dalla musica e dalle parole, tutto rigorosamente improvvisato, come nella migliore tradizione dei cantastorie. Resta l’incanto per l’espressività di Ofogo e l’ammirazione per la maestria di Brusco, capace di alternare diversi tipi di percussioni e innumerevoli modulazioni della propria voce.

Da non perdere i prossimi appuntamenti del festival internazionale di storytelling, diretto da due italiani, Paola Baldi e Davide Bardi, dal 21 al 23 giugno all’Abbazia di Farfa. Protagoniste dei prossimi spettacoli, nonostante le inimmaginabili difficoltà per essere presenti, le sette storytellers palestinesi del gruppo Seraj Librieries di Ramallah. Storie da ascoltare, oggi più che mai.

data di pubblicazione:17/06/2024


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