da Antonio Iraci | Apr 4, 2019
(Teatro Vascello – Roma, 2/7 aprile 2019)
Angelo Baldovino, uomo socialmente fallito al quale nessuno dà più credito, accetta di sposare Agata rimasta incinta da una relazione con il Marchese Fabio Colli. In questo matrimonio di facciata, Angelo si comporterà in maniera del tutto ineccepibile in quanto, in un mondo di disonesti, inizierà ad assaporare “il piacere dell’onestà” non solo per riabilitarsi nei confronti degli altri ma soprattutto per rivalutarsi verso se stesso.
Dopo quasi otto anni dalla messa in scena di Così è se vi pare, Alessandro Averone, regista e attore teatrale formatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, presenta in questi giorni al Vascello Il piacere dell’onestà centrando in pieno un tema molto caro al drammaturgo siciliano. Pirandello, soprattutto nei suoi lavori teatrali, ha spesso affrontato il problema dell’uomo e dell’impossibilità di mostrarsi per quello che è, non per quello che la società vuol fargli credere di essere. Ecco che Averone ci presenta una serie di personaggi che tra il tragico e il grottesco fanno fatica e smascherarsi per dare spazio alla propria essenza al di là delle apparenze: l’uomo così è solo una immagine esteriore di come gli altri lo rappresentano e quindi ben lontano dal manifestare la propria vera natura. Accanto al regista, sulla scena nei panni di Baldovino, troviamo Marco Quaglia, Alessia Giangiuliani, Laura Mazzi, Gabriele Sabatini e Mauro Santopietro, in una produzione del Teatro Metastasio di Prato in collaborazione con Knuk Company, che compongono un cast di eccezionale bravura. Gli attori si muovono con assoluta presenza scenica rivelando senza difficoltà l’essenza propria dei vari personaggi. Alle maniere affettate e intrise di ipocrisia del marchese Colli, fa da contrappunto il comportamento schietto di Baldovino che, pur adattandosi alle apparenze richieste dagli accordi stabiliti, non può fare a meno di rivelare la propria integrità morale nei confronti di Agata la quale, comprendendo la sua onestà, inizierà a manifestargli il proprio sincero amore. Le scene, curate da Alberto Favretto, sono essenziali mentre giocano un ruolo fondamentale i costumi di Marzia Paparini che, a seconda dei personaggi, sono elaborati ma in alcuni casi caratterizzati da un’apparente banalità.
Le musiche, a cura di Mimosa Campironi, sono apparse a chi scrive a volte stridenti e sconnesse rispetto alla rappresentazione, coerenti solo per l’ouverture da Le Nozze di Figaro di Mozart.
Lo spettacolo sembra comunque trasmettere lo spirito proprio del pensiero di Pirandello dove ognuno, sia in teatro come nella vita di ogni giorno, recita la propria parte secondo un copione dal quale difficilmente ci si può discostare.
data di pubblicazione:04/04/2019
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da Antonio Iraci | Mar 21, 2019
Dopo l’improvvisa morte della madre, Dafne, nata con la sindrome di Down, dovrà occuparsi non solo energicamente del padre che lotta contro una forte depressione, ma anche pensare a riorganizzare la sua vita rielaborando il lutto dentro di sé. Di contro troverà fortunatamente un clima di affetto tra i colleghi del supermercato in cui lavora e tra gli stessi clienti, che la circondano d’affetto in maniera assolutamente disinteressata. Nonostante la giovane età, Dafne con il tempo riuscirà a prendere le redini della situazione, gestendo tutto con l’ottimismo che la contraddistingue, mostrandosi capace di superare i momenti tristi e trovare la forza di andare avanti per la sua strada.
Federico Bondi è un giovane regista e sceneggiatore italiano che si è fatto già conoscere dalla critica e dal pubblico con il suo primo lungometraggio Mar Nero, più volte premiato nel 2008 al Festival di Locarno. Questo suo secondo lavoro Dafne, che arriva nelle sale nella Giornata Mondiale delle Persone con Sindrome di Down, dopo essere stato vincitore della Sezione Panaroma durante la 69ma Berlinale, è un progetto nato quasi per caso come ha dichiarato lo stesso regista, osservando un giorno per strada un padre anziano e sua figlia con la sindrome di Down che si tenevano per mano. Ripensando a quella scena non esitò a scrivere un soggetto che, dopo l’incontro con la protagonista Carolina Raspanti, diventò una vera e propria sceneggiatura. Il film sin da subito colpisce proprio per l’interpretazione della sua protagonista perché si percepisce come la giovane porti in scena sé stessa, così com’è realmente nella vita: “non è stata Carolina ad entrare nel film, è stato il film a piegarsi a lei”. La Raspanti grazie ad un modo nell’affrontare il quotidiano ricco di verve, coraggio e determinazione, riesce perfettamente a trasmettere quanto sia importante guardare avanti perché, comunque sia, la vita è bella per quello che è e che, qualsiasi sia la nostra condizione genetica, non è una malattia che possa impedirci di viverla pienamente.
Dunque una storia semplice, a metà strada tra commedia e dramma, che ci diverte e commuove al tempo stesso; una narrazione che ci fa percepire quanto “diversi” siano tutte le persone incapaci di percepire e di godere “del qui ed ora”.
Il padre di Dafne, che per tre giorni dalla nascita non ebbe il coraggio di guardare la figlia nella culla, osserva la sua intraprendenza quasi con ammirato stupore perché è proprio lei a dargli la forza necessaria per sopravvivere al dolore per la perdita della moglie: ciò che conta è restare uniti e affrontare insieme con un sorriso quello che verrà.
Un plauso va a questo giovane regista che con la sua spontaneità è riuscito a creare un piccolo gioiello cinematografico e a dare un messaggio forte al pubblico che, dopo la proiezione ufficiale durante l’ultima Berlinale, lo ha ringraziato con un lungo e caloroso applauso, lo stesso che certamente tributerà il pubblico in sala.
data di pubblicazione:21/03/2019
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da Antonio Iraci | Mar 6, 2019
Silvia, anche se deve ancora compiere undici anni, dimostra una certa maturità: è molto brava a scuola e sa cavarsela in tutte le situazioni che la vedono impegnata in prima persona. Suo malgrado vive in una situazione familiare molto pesante, con una madre perennemente depressa e un padre che cerca di barcamenarsi in casa tenendo per quanto possibile la famiglia unita. La bambina, che vive a Pistoia, ha il grande desiderio di visitare Roma ma, nonostante le reiterate promesse dei genitori, non riesce ad esaudire questo desiderio fino al giorno in cui decide di partire da sola, con il coraggio e la determinazione che la contraddistinguono. L’incontro sul treno con Emina, ragazza rom, le aprirà un mondo finora a lei sconosciuto dove lo spirito di sopravvivenza e l’affetto daranno origine a situazioni contraddittorie seppur pregne di una profonda umanità.
Selezionato e premiato in vari festival internazionali, finalmente approda nelle sale italiane La fuga di Sandra Vannucchi, al suo esordio per la regia. Il film trova ispirazione da un’avventura realmente vissuta dalla regista quando a dieci anni decise di fuggire di casa per recarsi da sola a Roma e visitare la città all’insaputa dei suoi genitori. La storia raccontata nel film, tuttavia, prende una piega diversa perché la protagonista fugge da una situazione familiare disastrosa con una madre in totale stato depressivo ed un padre tutto impegnato a tenere unito un menage familiare che va letteralmente a pezzi. Ancora una volta ritorna sul grande schermo – basti pensare al tema principale sul quale si è basata l’ultima edizione della Berlinale – la famiglia come specchio della società e il disagio che i minori, in alcune situazioni di particolare indifferenza genitoriale, devono sostenere e sopportare. Ci si trova di fronte a una totale assenza di dialogo e di interesse verso le reali esigenze affettive, surrogate spesso con oggetti quali playstation, telefonini o zainetti alla moda. La fuga di Silvia non nasce solo come atto di ribellione per attirare l’attenzione su di sé, ma si trasforma nel desiderio di scoprire un mondo nuovo che le possa aprire prospettive di crescita. Determinante l’incontro con una coetanea rom: tra di loro, così diverse per estrazione sociale e cultura, nascerà un’amicizia profonda e un reciproco aiuto.
La fuga racconta una storia delicata che ci emoziona profondamente per la sua semplicità e che ci permette di sondare la sensibilità di una bambina che soffre per il rifiuto di essere ascoltata. Film indipendente, low budget, girato tra la Toscana e Roma, ha come protagonisti Donatella Finocchiaro e Filippo Nigro nel ruolo dei genitori di Silvia, interpretata dalla giovanissima Lisa Ruth Andreozzi, che per questo ruolo ha già ottenuto una menzione speciale al Festival di Woodstock, alla sua seconda esperienza cinematografica dopo aver interpretato nel 2015 il ruolo di Martina ne Il professor Cenerentolo di Leonardo Pieraccioni.
Bravi anche gli altri attori non professionisti provenienti da un campo nomadi romano dove sono state girate alcune riprese del film che mostrano la condizione disumana in cui i rom sono costretti a vivere.
Ottima la fotografia di Vladan Radovic, già vincitore del David di Donatello nel 2015 con il film Anime Nere di Francesco Munzi.
data di pubblicazione:06/03/2019
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da Antonio Iraci | Feb 19, 2019
Un gruppo di ragazzi, tutti minorenni, sfrecciano con i loro scooters per le vie del rione Sanità di Napoli. Il sogno della loro vita è quello di procurarsi con ogni mezzo tanti soldi, sufficienti a garantire loro l’ultimo modello di sneakers o altro capo d’abbigliamento super firmato. Usano e spacciano droga e non esitano un istante ad impugnare le armi per tenere sotto controllo il quartiere. Il loro leader è Nicola che conosce a fondo le regole del gioco e sa esattamente che per affermarsi dovrà contrastare i vecchi boss malavitosi che ora detengono il potere. Letizia, la sua ragazza, lo seguirà in questa escalation di criminalità, conquistata anche lei da una vita facile, piena di lusso e di divertimenti.
Presentato in prima mondiale nell’edizione della Berlinale appena conclusasi, La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano che ne ha curato la sceneggiatura insieme allo stesso regista e a Maurizio Braucci, ha meritatamente ottenuto l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura: la scrittura usata, senza troppi preamboli, ci porta nel cuore di una città dove anche un ragazzino inesperto può ambire a ricoprire un posto di rilievo nella malavita organizzata. Il termine paranza, indicato per un tipo di pesca che utilizza le reti a strascico, in gergo camorristico individua una piccola banda malavitosa formata da minorenni, ragazzi giovanissimi che hanno abbandonato la scuola e che hanno, come unico sogno, quello di entrare nella criminalità spicciola del quartiere in cui vivono. Per potersi imporre dovranno intanto avere una pistola, che non importa saperla maneggiare: con essa devono imparare a fronteggiare chi già detiene il potere, introducendosi nel traffico della droga che consente loro di procurarsi in breve tempo una grande quantità di denaro. Divenuti i capi indiscussi che controllano gli affari, di fronte alla loro ingenua sfrontatezza e, talvolta, efferatezza nell’usare le armi, anche i vecchi boss si arrendono e cedono il passo.
Il film di Giovannesi, regista molto sensibile verso i problemi dei giovani (ricordiamo Alì ha gli occhi azzurri del 2012 e Fiore del 2016), ha dichiarato di non volere assolutamente guadagnarsi una funziona pedagogica ma semmai illustrare una realtà, tutta napoletana, dove gli stessi giovani si sentono costretti ad una scelta criminale, per lo più inconsapevoli dei rischi e del prezzo molto alto che prima o poi dovranno pagare. Una decisione quindi determinata dalla contingenza di soddisfare per sé, e per la propria famiglia, dapprima dei bisogni primari per poi arrivare a comprarsi quei generi di lusso che rappresentano, ai loro giovani occhi, veri e propri status symbol del potere.
I due interpreti Francesco Di Napoli (Nicola) e Viviana Aprea (Letizia), così come tutti gli altri, sono attori non professionisti incredibilmente presi dalla strada e alla loro prima esperienza cinematografica.
A differenza di Gomorra di Matteo Garrone, anch’esso ispirato all’omonimo best seller di Saviano, La paranza dei bambini seppur in ambito camorristico ci mostra un aspetto un po’ diverso, quasi tenero, intriso di un realismo estremo che ci porta ad osservare la vita pulsante dei quartieri napoletani dove, nonostante le brutture che questi ragazzi vivono, aleggia una profonda umanità, sentimento che in fondo anima anche le loro giovani coscienze.
La giuria della Berlinale, che quest’anno è stata presieduta da Juliette Binoche, così come riferivano alcuni rumors che circolavano prima della premiazione, aveva mostrato grande apprezzamento per il film, la cui sceneggiatura risulta “impastata” di violenza e amore nel decrivere le vicende dei suoi protagonisti, verso un ineluttabile epilogo sul quale il regista si è volutamente astenuto dall’esprimere alcun giudizio morale.
Film decisamente da vedere.
data di pubblicazione:19/02/2019
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da Antonio Iraci | Feb 16, 2019
Seppur la critica internazionale presente a questa edizione della Berlinale abbia sin da subito accolto molto favorevolmente il film di Nadav Lapid, giovane regista e sceneggiatore di Tel Aviv, stupisce ugualmente l’assegnazione di un premio così importante come l’Orso d’Oro al suo Synonymes che, a parere di molti, è stato un po’ sopravvalutato. Il film narra delle vicende del giovane Yoav che decide di fuggire da Israele perché l’aria è diventata per lui irrespirabile, per trovare rifugio a Parigi dove cercherà in tutti i modi di integrarsi iniziando ossessivamente a perfezionare il suo francese. Sicuramente un film di valore interpretato in maniera mirabile dall’attore israeliano Tom Mercier, che ha saputo ben esprimere l’idea e lo spirito decisamente politici che il regista, in aperta polemica con il suo paese, ha voluto imprimere al suo film. Grande è stata poi la soddisfazione per il cinema italiano, dal momento che sono stati premiati ben due dei tre film presentati: Dafne di Federico Bondi come miglior film per la Sezione Panorama e La paranza dei bambini, in selezione ufficiale, che è stato premiato con l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura. Entrambi, secondo chi scrive, hanno vinto meritatamente il premio, dimostrando ancora una volta che il cinema italiano, sovente così bistrattato in patria, riesce al contrario ad ottenere riconoscimenti nei più importanti festival internazionali come questa Berlinale appena conclusasi.
Ecco l’elenco completo dei premi assegnati ai film in concorso:
Orso d’Oro per il Miglior film a Synonymes di Nadav Lapid;
Orso d’Argento, Gran Premio della Giuria a Grâce à Dieu di François Ozon;
Orso d’Argento per il film che apre Nuove Prospettive a Syspemsprenger di Nora Fingscheidt;
Orso d’Argento per la Migliore Regia a Angela Schanelec per il film Ich war zuhause, aber;
Orso d’Argento per la Miglior Attrice a Yong Mei nel film cinese Di jiu tian chang;
Orso d’Argento per il Miglior Attore a Wang Jingchun sempre nel film cinese Di jiu tian chang;
Orso d’Argento per la Migliore Sceneggiatura a Giovannesi, Saviano e Braucci per La paranza dei bambini;
Orso d’Argento per il Miglior contributo artistico a Rasmus Videbaek per la fotografia in Out Stealing Horses.
E così questa 69esima edizione della Berlinale si è conclusa in maniera non proprio soddisfacente, a detta di molti. Nella cerimonia di chiusura si è voluto più volte ringraziare il contributo di Dieter Kosslick che ha diretto la Berlinale per ben diciotto anni. L’anno prossimo la direzione passerà a Carlo Chatrian, attualmente responsabile artistico del Locarno Film Festival.
La 70esima edizione avrà luogo dal 20 Febbraio al 1 marzo 2020 e noi di Accreditati ci auguriamo di essere ancora una volta presenti, con l’impegno e l’amore per il cinema che da sempre ci caratterizzano.
data di pubblicazione:16/02/2019
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