da Antonio Iraci | Apr 27, 2019
(Teatro Arcobaleno – Roma, 26 – 27 e 28 aprile 2019)
Nel dialetto siciliano la “minnazza” è il grande seno che dà nutrimento e protezione, come la Grande Madre di Sicilia, che soccorre ma che sa anche punire ed essere spietata. Leo Gullotta, catanese doc, ci parla di sé e della sua terra così ricca di cultura e di contraddizioni da secoli oggetto di conquista e di sfruttamento, ma dove ognuno si sente felice per come è, senza aspirare ad alcun miglioramento perché, usando una citazione del Principe di Salina, “i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti, la loro vanità è più forte della loro miseria”.
In una carrellata di immagini e di suoni, un bravissimo Leo Gullotta ci intrattiene sulla sua terrazza virtuale per introdurci in quel caos che è la Sicilia dove ancora oggi, dopo secoli di dominazioni, si respira un’aria di generale intorpidimento ma anche di fervore culturale. Un piccolo itinerario tra miti e leggende dove la storia di quest’isola baciata dal sole ci fa capire come sofferenza e rassegnazione cedono sovente il passo all’ottimismo e alla voglia di riscatto sociale. Varie le citazioni letterarie che si susseguono su uno sfondo dai colori abbaglianti dove con prepotenza si inseriscono coloro che, osando, hanno sfidato la società per affermare i propri principi di libertà e di giustizia. Un’antologia di personaggi quali Tomasi di Lampedusa, Luigi Pirandello, Luigi Capuana, Andrea Camilleri, tanto per citarne alcuni, che affiancano i nomi di coloro che, vittime di mafia, hanno lasciato un segno nella storia come i giudici Falcone e Borsellino o il giornalista Pippo Fava. Leo Gullotta dà nuovamente prova di essere un grande attore e riesce a cambiare continuamente registro sulla scena facendoci assaporare momenti di puro divertimento alternati a momenti di pesante sconforto. Attimi di riflessione che riguardano una Sicilia di ieri, che a stento riesce ad inserirsi nel contesto di un’Italia finalmente unificata, e una di oggi, al centro di una rivoluzione sociale causata dalla migrazione di migliaia di profughi prevalentemente africani. Le immagini che si alternano sulla scena, attraverso alcuni video realizzati da Mimmo Verdesca con l’accompagnamento musicale del maestro Germano Mazzocchetti, ci presentano volti e situazioni inediti ai più e ci rivelano una realtà forse troppo dura da digerire. Leo Gullotta si conferma artista di grande ingegno e sensibilità, con una naturalezza che ci prende e sorprende ad ogni parola, usando espressioni che arrivano dirette al cuore senza bisogno di traduzione o interpretazione grazie anche ad una lingua di Sicilia aspra e tenera allo stesso tempo, che ci affascina e ci conquista per lasciarci in bocca il sapore del buono.
data di pubblicazione:27/04/2019
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Apr 26, 2019
Il dodicenne Zain vive con la numerosa famiglia in una baraccopoli di Beirut, costretto a svolgere lavori pesanti per guadagnarsi da vivere. Dopo che una sorella viene costretta dai genitori a sposarsi a soli 11 anni, il bambino fugge da casa per affrontare una lotta ancora più dura in un contesto spietato dove riesce a barcamenarsi grazie all’aiuto di una immigrante irregolare etiope. Arrestato e condannato per aver pugnalato l’uomo che ha causato, sposandola, la morte della sorella, Zain cita in giudizio i genitori per averlo messo al mondo, consapevoli di non potergli garantire né protezione né tantomeno affetto.
Al momento di ricevere il Premio della Giuria a Cannes nel 2018, la regista e sceneggiatrice libanese Nadine Labaki afferma qualcosa di inconfutabile: il cinema non è solo un mezzo per far divertire il pubblico ma spesso serve a farci riflettere su una realtà che non conosciamo o, peggio, che inconsciamente ignoriamo.
Il protagonista Zain (il giovanissimo attore siriano Zain Al Rafeea), davanti al giudice che lo interroga, giustifica la propria colpa e afferma con risolutezza che nella sua vita ha sempre cercato di diventare un uomo onesto e rispettabile, ma Dio e il contesto di degrado in cui vive non glielo hanno mai permesso. Una denuncia, la sua, verso i genitori che lui stesso porta in tribunale per averlo fatto nascere, incapaci persino di dargli una identità sociale e di occuparsi di lui e dei suoi numerosi fratelli.
Un film fragile e potente nello stesso tempo, un pugno sullo stomaco per tutti coloro che sottovalutano i problemi di molti bambini, emarginati e sfruttati da una società cieca, perché non vuole vedere il loro disagio, e sorda, perché non vuole ascoltare la loro richiesta di aiuto. La regista si è soffermata su alcuni aspetti della vita reale del suo Paese, che vengono fuori dai frequenti primi piani dei protagonisti e da dove, senza enfatizzazione e retorica, emerge una estrema sensibilità che non può che colpire e conquistare il pubblico. Un tema certamente attuale che non riguarda solo la realtà libanese ma di tutti quei paesi da dove la gente scappa per trovare un futuro migliore, un fuggire dalla violenza e dallo sfruttamento per ricadere spesso in un contesto simile dove non è assicurato il tanto agognato benessere.
Veramente toccante la recitazione dei vari personaggi coinvolti nella storia come quella di Yordanos Shiferaw nella parte dell’etiope Rahil e soprattutto quella del vero protagonista Zain, il cui volto riesce veramente ad esprimere la fierezza e la sofferenza di un bambino costretto dalle circostanze a diventare troppo presto un vero uomo, responsabile delle proprie scelte. Ambientazione molto accurata di un contesto suburbano, dove la gente è costretta a vivere in alloggi di fortuna tra sporcizia e malaffare, senza alcuna possibilità di riscatto per assicurarsi un’esistenza umana.
Dopo L’insulto del regista Ziad Doueiri del 2018, anche il libanese Cafarnao ha ottenuto quest’anno la nomination come miglior film straniero agli Oscar confermando a Nadine Labaki, al suo terzo film come regista dopo Caramel e E ora dove andiamo?, un meritato successo tanto da essere nominata Presidente della Giuria della Sezione Un Certain Reguard alla prossima edizione del Festival di Cannes 2019.
data di pubblicazione: 25/04/2019
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da Antonio Iraci | Apr 17, 2019
Tom Ripley è un giovane fascinoso americano di modesta estrazione sociale che sa suonare molto bene il piano e che riesce a conquistarsi la simpatia di tutti. Un giorno, dopo essere stato ingaggiato come pianista ad una festa di gente molto facoltosa, viene contattato da un ricco armatore che gli propone, dietro lauto compenso, di andare alla ricerca del figlio Dickie, che vive da un po’ di tempo in Italia, e convincerlo a tornare negli Stati Uniti. Tom accetta e riesce a contattare il giovane a Ischia dove sta passando un incantevole soggiorno insieme alla fidanzata Marge. Affascinato da questo mondo fatto di lusso e di divertimenti, Tom riesce a conquistarsi l’amicizia di Dickie del quale è anche segretamente attratto. Dickie, infastidito dalla presenza costante di Tom che nel frattempo si è mostrato anche un po’ troppo invadente nel rapporto tra lui e la sua ragazza, cerca di troncare questa frequentazione: purtroppo durante una gita in barca a Sanremo, in seguito ad una violenta discussione, verrà ucciso da Tom. Questi, abituatosi oramai a quella vita così agiata, decide di assumere l’identità dell’amico morto. Di lì a poco sarà proprio Marge a nutrire i primi sospetti ed anche la polizia inizia a svolgere le proprie indagini.
Il talento di Mr. Ripley ebbe un discerto successo ed ottenne diverse nomination, soprattutto grazie ai due protagonisti: Matt Damon, nella parte di Tom, che riesce a riscattare il proprio complesso di inferiorità sociale attraverso un’attrazione omoerotica verso Dickie, e Jude Law che, con la sua naturale bellezza, veste la parte del rampollo ricco, bello e viziato, superficiale anche nei rapporti affettivi a cominciare da quello verso la fidanzata Marge, interpretata da una giovanissima Gwynet Paltrow. La storia, tratta dal romanzo thriller di Patricia Highsmith, fu portata per la prima volta sul grande schermo da René Clément nel 1960 con il titolo Delitto in pieno sole e vantava tra gli interpreti Alain Delon.
Il film di Anthony Minghella, girato prevalentemente tra Napoli, Ischia e la Penisola sorrentina, ci suggerisce una ricetta tipica del luogo, di facile realizzazione: maccheroni cacio e uova.
INGREDIENTI (per quattro persone): 350 grammi di maccheroni (rigatoni, penne, mezzemaniche), 4 uova, 50 grammi di pecorino romano, 100 grammi di parmigiano, 50 grammi di capocollo di maiale, 1 cipolla, olio extravergine di oliva, sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO: Tagliare il capocollo a cubetti e farlo soffriggere in olio insieme alla cipolla tritata. Appena imbiondito aggiungere un mestolo d’acqua e spegnere il fuoco. Sbattere le uova e aggiungere i due formaggi grattugiati fino ad ottenere una crema. Lessare la pasta al dente e mantecarla a fuoco moderato insieme al capocollo. Versare le crema di uova e formaggio e mescolare bene fino ad ottenere una stracciatella. Servire ben caldo con pepe a piacere.
da Antonio Iraci | Apr 17, 2019
Nei primi anni del Novecento la signora Moore (Peggy Ashcroft), un’anziana donna inglese, in compagnia della giovane Adela (Judy Davis), fidanzata del figlio, intraprende un viaggio in India, a quel tempo ancora sotto il dominio della corona britannica. Appena arrivate fanno amicizia con il dottor Aziz (Victor Banerjee), un giovane medico indiano vedovo con due figli, che prova grande ammirazione per la civiltà inglese. Orgoglioso di far conoscere gli aspetti più interessanti della cultura indiana, propone alle due donne una gita per visitare le grotte di Marabar, famose per essere completamente al buio e per produrre un’eco impressionante. Durante la visita, alla quale non partecipa la signora Moore, Adela si allontana da sola e ad un certo punto sembra essersi persa, tra lo sconforto di tutti e soprattutto di Aziz che decide di andarla a cercare. La giovane donna verrà ritrovata all’esterno delle grotte in uno stato confusionale e con i vestiti in disordine, lasciando chiaramente ad intendere di essere stata molestata dal dottore che, invano, cercherà di dimostrare la sua completa innocenza. Arrestato e processato Aziz alla fine verrà rilasciato in quanto Adela ritratterà la sua accusa, con la conseguente reazione della popolazione locale oramai pronta alla rivolta contro la supremazia inglese ed anche dei residenti britannici che, sdegnati dal comportamento contradditorio della ragazza, decideranno di emarginarla.
Il film diretto da David Lean, regista, attore, sceneggiatore e produttore inglese morto nel 1991, fu tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore Edward Morgan Forster ed ebbe molto successo sia di critica che di pubblico ottenendo diversi premi internazionali tra cui due Oscar (miglior attrice non protagonista a Peggy Ashcroft e miglior colonna sonora a Maurice Jarre), tre Golden Globe e un premio BAFTA.
Questa storia, che ci introduce nella millenaria cultura indiana, ci suggerisce una ricetta molto semplice e di effetto tipica della regione orientale del paese: spezzatino di pollo alla bengalese.
INGREDIENTI: 600 grammi di petto di pollo a spezzatino, 1 arancia, 1 limone, 200 grammi di ananas, 2 mele, 50 grammi di burro, farina, sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO: Infarinare lo spezzatino di pollo e farlo leggermente rosolare nel burro fuso a fiamma moderata. Aggiungere il succo di una arancia e di un limone e lasciare cuocere per una ventina di minuti. Aggiungere quindi i pezzettini di ananas e di mela e lasciare ancora cuocere per pochi minuti, dopo aver aggiunto un poco di sale e pepe. Il piatto va servito tiepido accompagnato a piacere da crostini di pane.
da Antonio Iraci | Apr 8, 2019
(Museo dell’Ara Pacis – Roma, 6 aprile/ 27 ottobre 2019)
E’ stata inaugurata in questi giorni, presso il Museo dell’Ara Pacis, una mostra molto interessante sulla figura dell’Imperatore Claudio e delle sue due ultime mogli Messalina e Agrippina nel contesto della corte imperiale caratterizzata da efferati fatti di sangue, intrighi e vicende a dir poco ardite.
Claudio nacque fuori dal territorio italico, esattamente a Lugdunum, l’attuale Lione, nel 10 a.C. ed, a causa delle sue precarie doti fisiche e psichiche, non era mai stato seriamente preso in considerazione da Augusto il quale, come suo successore, avrebbe preferito indicare il fratello Germanico che però morì in strane circostanze. Designato il figlio Caligola per le sue indiscusse abilità politiche ma che disgraziatamente rimase ucciso in una congiura di palazzo, il posto rimase vacante in favore di Claudio che a cinquant’anni venne acclamato imperatore dal corpo militare dei pretoriani.
La mostra, attraverso un curatissimo percorso espositivo, ci presenta i vari personaggi attraverso installazioni audio-visive e preziose opere d’arte provenienti da importanti musei italiani ed internazionali che hanno contribuito ad elevare il valore dell’esposizione ad un livello molto alto. Tra i più importanti oggetti di interesse storico e archeologico esposti, troviamo la famosa Tabula Claudiana su cui è impresso il discorso tenuto da Claudio in Senato nel 48 d.C. sull’apertura ai notabili galli del consesso senatorio, nonché il prezioso cameo con il ritratto dell’imperatore, per gentile concessione del Kunsthistorisches Museum di Vienna, ed il piccolo ritratto bronzeo di Agrippina Minore proveniente dalla Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo.
La Mostra, così articolata, ha saputo ben evidenziare la vita e il regno di un imperatore che, nonostante fosse discusso dagli storici del tempo, mostrò al contrario grandi abilità politiche nel prendersi cura del suo popolo e nel promuovere grandi lavori pubblici, contribuendo così allo sviluppo e all’espansione dell’impero romano. Suscita curiosità il rapporto intrigato di Claudio con le sue quattro mogli e soprattutto con la lasciva Messalina, uccisa con il suo consenso, e con la nipote Agrippina, sua ultima moglie, considerata l’artefice della sua morte allo scopo di agevolare la successione al figlio Nerone.
Il grande evento Claudio Imperatore. Messalina, Agrippina e le ombre di una dinastia è stato curato da Claudio Parisi Presicce e Lucia Spagnuolo, ideato dal Musée des Beaux-Arts de Lyon che ha ospitato l’esposizione sino allo scorso 4 marzo. Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali e da Ville de Lyon, la mostra è sicuramente da non perdere in quanto ci presenta uno dei più controversi imperatori romani e ci fa scoprire gli elaborati meccanismi di corte e le spietate congiure per la conquista del potere.
data di pubblicazione:08/04/2019
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