AFTERSUN di Charlotte Wells, 2023

AFTERSUN di Charlotte Wells, 2023

Sophie e il padre Callum stanno trascorrendo insieme una vacanza in una località balneare della Turchia. La vita dentro il villaggio turistico, le nuove conoscenze, il primo bacio: dopo anni, la ragazza rivive quei meravigliosi momenti attraverso dei filmini che lei stessa aveva girato in quei giorni. In quelle immagini che scorrono, il passato diventa presente con la nostalgia di qualcosa che forse non potrà più ripetersi, le situazioni cambiano con il rimpianto di non poterle più riproporre come si vorrebbe…

  

Charlotte Wells, sceneggiatrice e regista scozzese, si presenta sulla scena cinematografica internazionale con il suo film di esordio Aftersun che ha già guadagnato diversi consensi, e non solo da parte del pubblico. Il successo è sicuramente dovuto all’originalità della narrazione dal momento che viene presentata una storia che riguarda in effetti un qualcosa apparentemente già archiviato nella mente della giovane protagonista, senza peraltro fornire contezza di capire a volo cosa sia potuto succedere prima e dopo quel preciso momento. Sophie (Frankie Corio) è una bambina molto intelligente di appena undici anni che sta trascorrendo con il padre una breve vacanza estiva al mare. Tutto ciò che riguarda i fatti antecedenti e successivi è appena tratteggiato da alcune immagini molto frammentarie che volutamente lasciano allo spettatore il rompicapo di risistemare i vari tasselli del puzzle. C’è sicuramente una separazione in corso tra la madre e il padre (Paul Mescal), appena trentenne, fortemente legato alla figlia sia pur in maniera non opprimente, cosa che permette ad entrambi di scambiarsi le prime confidenze anche nel campo delicato dei sentimenti. Oggi Sophie è accanto a un’altra ragazza, presumibilmente la sua compagna, e si sente un neonato piangere, forse suo figlio. Questi piccoli flash non danno molti indizi, tutto rimane fuori dal contesto, ciò che importa è tutto concentrato in quei giorni di vacanza che erano la base indimenticabile di un rapporto padre-figlia verosimilmente genuino. Quello che la regista mette in luce, e lo fa veramente con grande professionalità, è il fluire di quei giorni, come sospesi tra due momenti, il prima e il dopo, carichi di dolore, forse per qualcosa di non realizzato, di non vissuto, di non compreso. Ecco dove sta la singolarità di questo film: una storia semplice ma raccontata in maniera discontinua, senza una normale sequenza temporale che possa agevolare la comprensione degli eventi. Ma proprio questa voluta reticenza è la chiave per provare a comprendere qualcosa che sfugge, quel sentimento così presente in quei giorni e che oggi la protagonista non ritrova più. Un film che va visto per scoprire, tra le pieghe del racconto, qualcosa che non risulta per niente facile da raccontare.

data di pubblicazione:24/01/2023


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TORI E LOKITA di Jean-Pierre e Luc Dardenne, 2022

TORI E LOKITA di Jean-Pierre e Luc Dardenne, 2022

Tori e Lokita vivono in un centro di accoglienza per migranti in Belgio. Si sono conosciuti su un barcone che dall’Africa li ha catapultati direttamente in Europa dove stanno cercando di crearsi un futuro lontano dagli orrori dei propri paesi d’origine. Pur non essendo parenti, dichiarano alle autorità di essere fratelli in modo tale che anche l’adolescente Lokita possa dimostrare di avere i requisiti necessari per ottenere un riconoscimento legale. Con questo obiettivo preciso saranno disposti a tutto, anche a collaborare con la malavita locale…

 

Con questo ultimo lavoro, recentemente premiato a Cannes, i fratelli Dardenne ancora una volta rivolgono il loro sensibile sguardo al sociale ed ancora una volta utilizzano l’innocenza dei giovani, costretti per necessità a confrontarsi con il mondo, sovente spietato, degli adulti. In questo film i due giovanissimi protagonisti, fuggiti dall’Africa, dovranno ricorrere a tutte le proprie risorse per cercare di convincere le autorità del Belgio a riconoscere il proprio stato sociale e permettere così di integrarsi legalmente nella vita del paese che li ospita. Tema tristemente di attualità, che riscontriamo ogni giorno sui notiziari e sui social, che ci riporta a quelle problematiche con cui ognuno di noi si trova a confrontarsi, anche se preferirebbe volgere a volte altrove la propria attenzione. Tori anagraficamente è un bambino ma ha già il carattere di un uomo fatto, che sa bene ciò che è necessario fare affinché anche Lokita possa ottenere lo status di rifugiata che le permetterà di trovare un lavoro dignitoso e vivere soprattutto nella legalità. I Dardenne mirano al cuore dello spettatore non per parlare di finzione, ma per darci uno spaccato di vita vera osservata dal punto di vista dei due giovani protagonisti, vittime di una società burocrata e ottusa, che mira alla forma e poco alla sostanza. Il loro cinema è fatto di persone vere e delle loro storie: non solo intrattenimento ma riflessione su ciò che è giusto per arrivare a costruire tutti insieme, migranti e non, un futuro migliore, senza pregiudizi e inutili conformismi. Ottima la scelta dei due attori non professionisti Pablo Schils che interpreta Tori e Joely Mbundu nella parte di Lokita, entrambi perfetti nei loro ruoli di vittime di un sistema corrotto che sfrutta la loro semplicità per il proprio tornaconto e per portare avanti affari disonesti. La loro “fratellanza” è reale anche se non di sangue: entrambi, dopo aver attraversato l’inferno, sono alla ricerca di una vita migliore che solo la spensieratezza della loro età acerba può ancora dare loro. Non casuale la scelta di quella canzone- filastrocca che tanti anni fa portò Angelo Branduardi a diventare famoso: alla fiera dell’est diventa il simbolo di ribellione alla schiavitù, il desiderio di liberarsi da ogni fanatismo, il grido disperato di chi vuole solo vivere e lavorare in pace. Ecco quindi che il messaggio dei Dardenne si traduce in una denuncia all’attuale sistema di immigrazione attuato attraverso gli occhi di chi desidera ancora illudersi di trovare in questo mondo la piena libertà e un’adeguata dignità.

data di pubblicazione:11/12/2022


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FURORE di John Steinbeck, adattamento di Emanuele Trevi con Massimo Popolizio

FURORE di John Steinbeck, adattamento di Emanuele Trevi con Massimo Popolizio

(Teatro Argentina – Roma, 6/18 dicembre 2022)

John Steinbeck, insignito del premio Nobel per la letteratura, nel 1939 pubblica Furore frutto di un lavoro giornalistico in massima parte dovuto al suo impegno civile e alla sua denuncia sociale. Nonostante l’incubo della grande depressione si ritenesse oramai del tutto vanificato, ci sono grandi masse di contadini che muoiono di fame a causa della siccità che colpisce alcune regioni degli Stati Uniti. Le tempeste di sabbia coprono irrimediabilmente i raccolti di cotone e le piantagioni di mais, da tutto ciò nasce questo racconto destinato a diventare un insuperabile capolavoro letterario.

  

Emanuele Trevi, critico letterario, autore di diversi saggi e romanzi, ha vinto lo scorso anno il Premio Strega con il libro Due vite, una densa biografia dei suoi più cari amici Rocco Carbone e Pia Pera. Per il Teatro di Roma – Teatro Nazionale cura un adattamento dell’opera di John Steinbeck, riuscendo perfettamente a sintetizzare gli aspetti più salienti di una drammaturgia che non può che colpire la sensibilità dello spettatore. La buona riuscita di questo spettacolo, che verrà presentato nei prossimi giorni al Teatro Argentina di Roma, è soprattutto dovuta alla presenza unica sulla scena di Massimo Popolizio, cresciuto professionalmente come attore teatrale anche per la lunga collaborazione artistica con il regista Luca Ronconi. Tra pacchi di giornali accatastati e una vecchia macchina da scrivere, per ricordarci che Steinbeck era stato anche uno stimato giornalista, Popolizio ci racconta l’odissea di quei contadini costretti dalla miseria a lasciare l’Oklahoma, oramai ridotta ad un deserto di sabbia, per migrare verso la lontana California, un paradiso dove sperano, e forse si illudono, di trovare lavoro e condurre una vita più umana. Le percussioni, curate dal vivo da Giovanni Lo Cascio, accompagnano l’attore nel racconto-resoconto di un dramma che non può non coinvolgerci visto che rimanda ai giorni nostri con l’inarrestabile esodo di migliaia di migranti, alla ricerca di un posto dove vivere e dove sfamare i propri figli. Ecco perché risulta geniale questa trasposizione teatrale che di fatto sintetizza tutti i grandi problemi sociali, ambientali e climatici che riguardano oggi, più che mai, il nostro pianeta. Le immagini video proiettate sulla scena (create da Igor Renzetti e Lorenzo Bruno) segnano i diversi capitoli e ci fanno vedere, oltre che sentire, la disperazione negli sguardi di quegli uomini che, pur essendosi ribellati al brutale sfruttamento, non riescono tuttavia a venir fuori da quell’inferno sociale e morale di quegli anni. Il reiterato problema della globalizzazione, un’economia di mercato che preferisce distruggere grandi masse di prodotti agricoli al fine di mantenere un certo livello dei prezzi, lo sfruttamento dei migranti che si continuano a guardare con diffidenza e paura se non addirittura con odio, ecco la miscela esplosiva che viene proposta in Furore. Massimo Popolizio è un grande interprete che sa calibrare bene i suoi tratti per farci comprendere appieno quanto di disumano ci sia nell’umanità di oggi. Al Teatro Argentina fino al 18 dicembre.

data di pubblicazione:07/12/2022


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IL PIACERE È TUTTO MIO di Sophie Hyde, 2022

IL PIACERE È TUTTO MIO di Sophie Hyde, 2022

Nancy, insegnante di religione in pensione, si ritrova a fare i conti con la propria vita passata, ma anche con quella presente: vedova di un uomo con il quale non ha mai avuto una vera intesa affettiva, né tantomeno sessuale, due figli con cui ha rapporti puramente formali, un insegnamento rigido e ai limiti del bigottismo. Finalmente si palesa tanta voglia di recuperare il rapporto con gli altri ma soprattutto con se stessa, iniziando da un oggetto di desiderio per lei finora considerato tabù: il sesso.

 

Sophie Hyde è una regista e produttrice australiana per la verità poco conosciuta in Italia anche se ha già ricevuto diversi riconoscimenti internazionali, in particolare al Sundance Film Festival nel 2014 per il film 52 Tuesdays. Questo suo ultimo lavoro (dal titolo originale Good Luck to You, Leo Grande) è già da qualche tempo distribuito nelle sale italiane e sta riscuotendo un discreto successo anche tra il pubblico, dopo essere stato elogiato dalla critica. Il film ha praticamente due soli protagonisti – la matura Emma Thompson e l’avvenente Daryl McCormack – e l’intera vicenda si svolge all’interno della camera di un hotel, sufficientemente elegante ma anonimo. Il motivo dell’appuntamento tra i due sconosciuti è molto preciso: da un lato l’insicura Nancy è in cerca di una genuina emozione sessuale che culmini in quell’orgasmo che non ha mai raggiunto in tutta la sua vita precedente, dall’altro l’intraprendente Leo Grande (nome di fantasia per nascondere la vera identità di un escort), è il professionista che gliela può regalare. I primi dialoghi, molto verbosi da parte della donna, sono tutti incentrati sul sesso: qualcosa di cui lei non è mai riuscita a parlare, un poco per i propri dubbi, ma soprattutto per un mero senso di vergogna. Durante i ripetuti incontri, sembra che il gioco delle parti proceda via via in senso inverso dal momento che i tentennamenti di lei passano a lui, rivelando in Leo una natura fragile e infelice per l’abbandono da parte della madre che lo rifiuta come figlio. Ma in definitiva ci si chiede: come mai la regista si accanisca su questo argomento? La risposta sta forse nell’iniziale e prolungato imbarazzo della protagonista che mostra al tempo stesso anche attrazione verso qualcosa che è sostanzialmente al centro dei propri desideri me che le è stato da sempre negato da colui, suo marito, che è stato l’unico con il quale abbia fatto sino ad allora le sue esperienze sessuali. Ed è proprio in quella “stanza ad ore” che si realizza inconsapevolmente quanto di fatto non ci si aspettava. Attraverso i dialoghi, preludio poi di una sexual session vera e propria, si mettono a nudo i problemi di entrambi, problemi che poi porteranno ad una sorprendente intimità e complicità. Lo spettatore percepisce una certa elettricità nell’aria, un certo impatto emotivo, una certa attrazione fisica per quanto ovvio più verso il seducente Leo che non per l’attempata Nancy, ma tutto ciò non toglie nulla al fatto che il film ci faccia stare bene, ci faccia fare qualche sana ed intelligente risata e ci suggerisca quanto sia semplice affrontare cose solo in apparenza complicate. Inutile sottolineare la bravura drammatica di Emma, assolutamente disinibita nel mostrarsi nuda, e l’altrettanta bravura di Daryl, per metà irlandese e per metà afroamericano, anche lui disinibito, ma con qualche difficoltà in meno considerata la giovane età ed il fisico da statua greca. Entrambi danno comunque prova di grande coraggio nel mettersi “a nudo” ed il film ci rende partecipi di quello che è il percorso di entrambi, divertendoci con intelligenza.

data di pubblicazione:04/12/2022


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TRIANGLE OF SADNESS di Ruben Östlund, 2022

TRIANGLE OF SADNESS di Ruben Östlund, 2022

Carl e la sua ragazza Yaya, entrambi impegnati nella moda come modelli, sono a bordo di un panfilo di lusso per una crociera tra miliardari più o meno stravaganti e capricciosi. A loro lo sfarzoso viaggio è stato offerto gratis in cambio della pubblicità che procureranno sui social in quanto influencer di tutto rispetto. Un’improvvisa tempesta si abbatterà sulla nave e, quel che è peggio, sugli ospiti mettendo a nudo le loro fragilità e paradossalmente anche i loro punti di forza.  

 

Ruben Östlund è un regista svedese che non ha più bisogno di grandi presentazioni per il pubblico internazionale e italiano in particolare. Ha già vinto a Cannes per ben due volte la Palma d’oro, nel 2017 con The Square e quest’anno con Triangle of Sadness, mentre nel 2014 era stato premiato sempre a Cannes nella sezione Un Certain Regard con il film Forza maggiore. La critica ha in diverse occasioni evidenziato come i suoi film siano preminentemente rivolti a mettere in luce i lati più nascosti, o meglio sconosciuti, della complessa e quanto mai enigmatica natura umana. L’individuo sostanzialmente è un essere fragile, pieno di paure e tentennamenti, soprattutto quando è di fronte a difficoltà e a situazioni estreme poco prevedibili. In Triangle of Sadness i due giovani protagonisti Carl e Yaya si trovano per caso catapultati in un mondo di lusso esagerato tra oligarchi russi e magnati guerrafondai, dove pur sforzandosi di integrarsi non potranno certamente ignorare le loro eccentricità. Tra i facoltosi croceristi e il personale, addestrato a soddisfare ogni loro desiderio, si viene a creare un inevitabile gioco di potere dove si trovano contrapposti gli oppressori e gli oppressi. Il regista vuole così raccontarci come da sempre esistono questi due mondi che solo eventi straordinari riescono a sovvertire, ribaltando le posizioni delle rispettive parti. Il film, forse un po’ prolisso di suo, ha dei momenti tragicomici funzionali a stemperare le situazioni che potrebbero altrimenti risultare pesanti e poco attendibili. I dialoghi, soprattutto quello iniziale tra i due giovani protagonisti (rispettivamente Harris Dickinson e Charlbi Dean, modella e attrice sudafricana da pochi mesi venuta precocemente a mancare) risultano a volta tediosi e ripetitivi, volutamente costruiti per suscitare nello spettatore un palese stato di insofferenza. Ma sicuramente è proprio questo l’obiettivo del regista, che ha curato anche la sceneggiatura, cioè di costringere il pubblico a fare una scelta e decidere forzatamente da che parte stare. Determinante, per la buona riuscita del film, anche la partecipazione di Woody Harrelson, attore statunitense con un curriculum da capogiro avendo lavorato con i migliori e più famosi registi di Hollywood, che nel film interpreta la parte del capitano Smith, per natura grande ubriacone, che tra un bicchiere e l’altro riesce a sciorinare con vera convinzione le più sottili teorie marxiste. Una commedia divertente, e profonda nello stesso tempo, che ci fa comprendere come il potere non è mai solo da una parte e che non occorrono le grandi rivoluzioni sociali per fare spostare drasticamente l’ago della bilancia a favore di uno e a sfavore dell’altro. Sostanzialmente un film ben riuscito.

data di pubblicazione:01/12/2022


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