ROMA EUROPA FSTIVAL Furia, di Lia Rodrigues

ROMA EUROPA FSTIVAL Furia, di Lia Rodrigues

(Auditorium Parco della Musica –Roma, 17 e 18 settembre 2019)

Intensissima apertura del Roma Europa Festival 2019 con la prima italiana di Furia, a cura della coreografa Lia Rodrigues, alla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica il 17 e 18 settembre 2019. Un lavoro che parla dolore e di violenza ma anche di speranza, ambientato tra i giovanissimi abitanti di una favela, nato proprio in quei luoghi dove la coreografa ha deciso di stabilirsi fondando un centro culturale e dando vita ad una compagnia di danza, alla periferia di Rio de Janeiro, dove oltre 4mila persone vivono in situazioni drammatiche.

 

Un lavoro politico che parla di lotte di classe e di colore della pelle, di attacco al governo attuale ed alla sua politica scellerata di distruzione dell’Amazzonia, di denuncia nei confronti di coloro che detengono il potere e gestiscono le vite umane.

Con Furia la coreografa brasiliana riflette sulla natura di un gruppo di individui che si confrontano con la loro solitudine e con la loro carne. Lo spettacolo è stato accompagnato da un collage di musiche della Nuova Caledonia, sonorità che sprigionano energia e forza di sopravvivenza. Un affresco devastante fatto di tribalità e rifiuti, di diseguaglianze, di povertà e sporcizia, ma anche di voglia di spogliarsi della sofferenza e di innalzarsi al di sopra delle macerie. Per Lia Rodrigues la favela è un luogo che chiede di essere riscattato. Ed è per questo che, quindici anni fa, ci si è stabilita con la sua Companhia de Danças, creando Furia, lo spettacolo che denuncia con crudezza la violenza della società delle favelas e la sottomissione dell’uomo all’uomo, che aiuta a riflettere su quanto iniqua possa essere la società, nei confronti di chi non può scegliere il proprio percorso.

Lo spettacolo è profondamente radicato in quel contesto e costruisce un dialogo con i suoi abitanti. Si percepisce come tale lavoro sia nato dalla stretta collaborazione con i 9 danzatori in scena, straordinari nelle capacità interpretative e nella loro verità, tutti giovanissimi e provenienti da quella realtà.

Furia è un affresco fatto soprattutto di occhi che raccontano e colpiscono, un tableau vivant in continuo divenire, un bassorilievo che fluisce lento ma inesorabile, che continuamente si trasforma per raccontare la propria essenza nuda ed esorcizzare violenza e povertà, un incontro di anime alla ricerca di sogni. Efficacissime le luci così come costumi e allestimento, che unitamente al ritmo tribale, disegnano un rituale contemporaneo che crea immagini magiche e intime frutto di una straordinaria pulsione creativa che ha voglia di vita.

data di pubblicazione:19/09/2019

AUGUSTO di Alessandro Sciarroni

AUGUSTO di Alessandro Sciarroni

(Teatro Argentina – Roma, 8/9 settembre 2019)

Il coreografo Alessandro Sciarroni, premiato alla recente biennale di Venezia con il Leone d’Oro alla carriera, ha portato in scena al Teatro Argentina di Roma, l’8 ed il 9 settembre scorso, lo spettacolo Augusto, una pièce che è un viaggio emotivo che parla di solitudine ed amari sorrisi.

 

Nove danzatori cominciano, uno dopo l’altro, a camminare in cerchio. I passi dettano un tempo costante che cresce, la camminata diventa più intensa e veloce ma sempre sussurrata e si trasforma corsa. I ragazzi sono come scossi da un risveglio ed iniziano a cercarsi con lo sguardo, sorridono, iniziano a ridacchiare prima quasi vergognosi, ma poi la risata diviene sempre più forte ed energica, fino a esplodere in un crescendo corale, convulso, irrefrenabile.

Talvolta alcuni danzatori si staccano dalla catena e si isolano al centro del gruppo, si abbracciano, ridendo o piangendo. Cercano un contatto, un’intesa. Il confronto però con il resto del gruppo è sempre una risata isterica, febbrile, di monito e distacco. L’intensità cresce senza tregua e senza coscienza, in uno stato di trance, mentre le risate forti e insistenti si mescolano a urla incomprensibili e impulsive.

Perché ridono? In Augusto la risata è la maschera, un meccanismo di difesa per nascondersi, per celare le proprie emozioni e la propria solitudine. Forse quelle urla, di strazio e di terrore, di puro dolore, offrono l’eventualità di una liberazione dalla contraddittoria schiavitù della risata

La velocità dei movimenti del corpo è direttamente proporzionale all’intensità delle risate, i gesti sono scomposti e sporchi, buttati fuori da una forza centrifuga, ma non sono liberatori. Movimenti sottolineati dall’uso dosato della musica elettronica ripetuta ed ossessiva e dalle luci che accompagnano il crescendo dell’azione.

Augusto è una dissertazione sul bisogno di sentirsi amati e sul dolore, attraverso la messa a nudo di un meccanismo espressivo basato sulla risata ad oltranza. Ridono di continuo, senza concedere a loro stessi e al pubblico la possibilità di capirne la ragione. Si ride fino a quando non ci si accorge che ci si è fatti male sul serio.

Spettacolo denso di spunti riflessivi che lascia però poco spazio alla passione ed al coinvolgimento emotivo.

data di pubblicazione:13/09/2019


Il nostro voto:

JOKER di Todd Phillips, 2019

JOKER di Todd Phillips, 2019

(76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)

Stupefacente prova d’attore per Joaquin Phoenix nel Joker di Todd Phillips, in concorso a Venezia. In una Gotham City in cui imperversa un crescente malessere metropolitano, fatto di immondizia, rabbia e violenza, di diseguaglianze sociali estremizzate, cerca di sopravvivere il debole Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) vittima di un grave disturbo che lo fa scoppiare in risate isteriche quando è sottoposto a stress emotivi rilevanti e che lo porta ad essere umiliato, deriso, malmenato ed emarginato.

 

Fleck vive con una madre anch’essa malata che ha rovinato irrimediabilmente la sua vita. Fa parte della schiera degli ultimi. Il suo sogno è quello di diventare un cabarettista, e magari essere un giorno ospite del suo show televisivo preferito, quello condotto dal comico Murray Franklin (uno straordinario Robert De Niro), ma nel frattempo si arrabatta come può travestendosi di clown. Sempre più ai margini, in un susseguirsi di vicissitudini grottesche, quasi vittima sacrificale di un disegno preordinato, non può che far esplodere la sua impotenza in una rivolta improvvisa e feroce verso tutti. Una trasformazione violenta e folle in un nuovo Joker la cui patologia viene eretta a simbolo di una rivolta popolare egualmente brutale e cieca, di cui diviene l’emblema suo malgrado.

In un panorama a fosche tinte tra le atmosfere de I Guerrieri della Notte e Taxi Driver, ma vicino anche all’indefinito futuro di Blade Runner ed agli scenari apocalittici di Romero, Joaquin Phoenix plasma un nuovo Joker a sua immagine e somiglianza, esorcizzando il suo passato ed il suo grandissimo talento. C’è lo sguardo folle di Nicholson ma anche la nera eleganza di Heath Ledger scomposti ed elaborati secondo una nuova fisicità, frutto di un lavoro ossessivo e profondo.

Joaquin Phoenix polarizza letteralmente tutto il film dalla prima all’ultima sequenza, grandissimo nel costruire un personaggio che dal fumetto rimanda ad echi letterari e a personaggi di spessore mostrando una profondità non comune.

Arthur Fleck è la risata ossessiva e disperata del disagio di oggi, anche se trasposto in un’atmosfera torbida da comics apparentemente lontana, fatta di sporcizia e di rabbia, di soprusi, di segreterie telefoniche e vecchi lettori VHS, in un’atmosfera nella quale servizi sociali e medicine non sono in grado di sostenere la fragilità del giovane Arthur e dei suoi sogni, aprendo di fatto la voragine della cieca follia. E Arthur non può che affondare nel dolore e nella violenza trascinando con sé tutta quella piccola umanità selvaggia. Non c’è speranza su questa terra, forse un po’ di luce e di candore gli sono destinati in un’altra vita, nella quale dar sfogo alla sua andatura sconnessa e sognante.

Un film decisamente bello e misurato, con un importante lavoro di regia e con tanti superlativi attori (De Niro in primis), ma condizionatissimo dal suo mostruoso protagonista, cui spetteranno certamente tantissimi riconoscimenti che non può non meritare.

data di pubblicazione:01/09/2019








EMA di Pablo Larraín, 2019

EMA di Pablo Larraín, 2019

(76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)

Pablo Larraín ha presentato in concorso al Festival Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia la sua settima pellicola, Ema, storia di una giovane donna testarda e carismatica, forte e determinata, anche quando tutto sembra precipitare.

Ema è una giovane ballerina di talento (Mariana Di Girolamo) che lavora in una compagnia guidata dal marito, il coreografo Gaston (Gael Garcia Bernal). Il matrimonio dei due è però a pezzi a seguito della scelta pesante di allontanare il bambino di sei anni che avevano adottato, Palo. Il problema è che il piccolo ha tentato di incendiare casa, deturpato il volto della sorella di Ema ed ha congelato un gatto. Ema tenta di superare il senso di colpa per non aver saputo gestire e crescere il bambino, accusando il marito di essere il responsabile di quanto avvenuto.

La storia si sviluppa tra le strade di Valparaíso, città portuale del Cile, un piccolo grande affresco pop delle nuove generazioni: abiti maculati e fasciati, paesaggi urbani scrostati, neon e fiamme, in compagnia della musica, il reggaeton apparente inutile ma alla fine adrenalinico: è ritmico, euforico, trasmette eccitazione ed erotismo.

I protagonisti si avvicinano e si allontanano, scaricandosi addosso le proprie frustrazioni. Ema entra in un vortice frenetico di esperienze estreme di sesso e distruzione piromane, per compiere la propria espiazione, coinvolgendo in questo vortice tutti coloro che le sono intorno.

In realtà dietro c’è un piano lucido che riesce a portare a termine. Cosa ci sia davvero dietro il suo sguardo vitale e folle eppure sempre fermo e deciso, lo si scopre negli ultimi dieci minuti di film.

È motivata da un implacabile individualismo, perché sa chiaramente cosa vuole ed è capace di sedurre coloro che la circondano per realizzare il suo disegno: essere madre ed avere una famiglia.

Un semaforo in fiamme, ed una donna con un lanciafiamme in spalla. È questa la traccia iniziale su cui il regista monta e smonta il racconto che va avanti su diversi piani temporali, nascondendo e rivelando in un ordine quasi casuale che permette a ciascuno di ricreare il proprio puzzle fatto di proprie ipotesi e deduzioni.

Ema è una stella che emana calore, un calore che quando è troppo forte brucia chi le sta vicino, ma che alla fine regala energia e vita proprio così come quel reggaeton che riesce ad accenderla, visto che è proprio il ballo a dettare il tempo, in un susseguirsi ora frenetico ora silenzioso di parole ed emozioni.

Nella finissima visione di Larraín c’è la distruzione del concetto di famiglia nella sua accezione tradizionale ma anche la sua ricostituzione in chiave non proprio convenzionale ma certamente efficace per tutti i protagonisti, il tutto supportato dall’espressione artistica per esorcizzare e guarire dal dolore, perché se un dolore ti ferisce, allora bruciare la ferita aiuta a guarire e a sopravvivere.

data di pubblicazione:01/09/2019








IL SINDACO DEL RIONE SANITÁ di Eduardo De Filippo regia di Mario Martone, 2019

IL SINDACO DEL RIONE SANITÁ di Eduardo De Filippo regia di Mario Martone, 2019

(76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)

Una personale e profonda evoluzione del testo di Eduardo de Filippo, Il sindaco del rione Sanità trasposta in chiave cinematografica da Mario Martone e presentato a Venezia dopo la forte e innovativa esperienza teatrale di due stagioni fa. Un ulteriore confronto, una necessità di espandere il meraviglioso testo di Eduardo oltre lo spazio scenico per incontrare i suoni, gli odori, i volti della Napoli dei vicoli e della povertà, della violenza, dell’ignoranza e del riscatto.

 

Stesso titolo, stessa identica trama con “qualche piccolo taglio” e nuova scommessa vinta. Ancora una volta Martone si affida ad un gruppo di straordinari ed intensi interpreti di quella terra che fanno capo al NEST – Napoli Est Teatro di San Giovanni a Teduccio, ubicato in uno dei quartieri più popolari e difficili di Napoli, dove un gruppo di giovani, attori, registi, scenografi e drammaturghi hanno ristrutturato una palestra e creato uno spazio per le arti.

Scritta nel 1960, Il sindaco del Rione Sanità è una commedia in tre atti anche interpretata da Eduardo De Filippo nella quale il protagonista, Antonio Barracano (Francesco Di Leva), è “il sindaco” della Sanità. Qui amministra da signorotto illuminato le problematiche del rione, secondo principi da “uomo d’onore” decisamente bordenline rispetto alla legge, ma certamente efficaci. Si avvale dell’aiuto di un medico che cura clandestinamente i feriti da sparatorie e regolamenti di conti che avvengono nel quartiere. Chi non ha santi e protettori si rivolge a da Don Antonio da sempre. Quando però gli si presenta disperato Rafiluccio Santaniello (Salvatore Presutto), il figlio del fornaio, deciso ad ammazzare il padre Arturo (Massimiliano Gallo), Don Antonio, cogliendo nel giovane la stessa determinazione che lo spinse all’omicidio in gioventù, si propone come mediatore finendo poi col pagare tragicamente di persona il suo intervento.

Niente spettacolarizzazioni e violenza gratuita. Nella sua visione ancora strettamente aderente al testo originale Martone rende il protagonista Antonio Barracano da anziano settantenne a ragazzo di nemmeno quarant’anni, giovane come i boss di quartiere, decisionista e autoritario, esibizionista e consumista, segnato dagli errori e dalla rabbia di una giovinezza mai vissuta che lo hanno portato a mettere da parte gli impulsi ed ad usare di più la riflessione.

Antonio Barracano è certamente un padre-padrone, ma è anche un predicatore, unico punto di riferimento per una comunità di disperati cui trasferire principi di giustizia e convivenza non sempre ortodossi ma nella sostanza egualitari. Una storia con una forte connotazione sociale che Martone traspone ai nostri giorni arricchendolo di quella complessità che oggi caratterizza le attuali generazioni, abbastanza distanti da quelle raccontate da Eduardo.

Il film uscirà in sala per tre giorni come film evento dal 30 settembre al 2 ottobre. Un film che mantiene la densità e la forza del testo di Eduardo andando però a cogliere le contraddizioni di oggi, tra rapper con felpa e cappuccio in testa ad agguati violenti nel quartiere per costruirsi inutili identità, ad una casa fatta di cristalli, sovraccarica di benessere, trasferita nella campagna alle pendici del Vesuvio, circondata da aggressivi e fedeli rottwailer, plexiglas e acciaio, nella quale vanno e vengono individui palestrati, dove si curano ferite e liti, popolata da una famiglia allargata, nella quale i pranzi si alternano a processioni di questuanti del quartiere. Questo il principato del giovane e forte Don Antonio, apparentemente immortale, che amministra e salva a modo suo quella piccola umanità, amministrando con la forza e regalando speranza. Ma la casualità o forse un destino segnato scoprirà il suo tallone d’Achille portandolo ad immolarsi poi paradossalmente per una buona azione compiuta.

Una evoluzione sul grande schermo che spiazza e cattura, dove tutto ha un senso e che ha il proprio punto di forza nelle sonorità e gestualità proposte, nelle immagini che dilatano il racconto, espressione fedele del degrado metropolitano di oggi, nella musica del dolore e della speranza.

data di pubblicazione:31/08/2019