da Antonio Iraci | Gen 29, 2025
Rubens Paiva vive con la moglie Eunice e i cinque figli a Rio de Janeiro, in una villetta proprio di fronte alla spiaggia. Prima della dittatura militare era un deputato laburista mentre ora lavora come libero professionista. Un giorno viene prelevato da agenti del regime, senza alcuna spiegazione, lasciando la famiglia nella più cupa disperazione. Non farà più ritorno a casa…
Walter Salles è un regista brasiliano che si è già fatto conoscere dal pubblico italiano per I diari della motocicletta. Film del 2004 ispirato agli appunti di viaggio del mitico “Che” Guevara. Questo suo ultimo lungometraggio era stato presentato in concorso al Festival di Venezia dove è stato premiato per la migliore sceneggiatura. Recentemente ha ottenuto un Golden Globe e ben tre nomination agli Oscar 2025. Il film si basa sul libro biografico scritto da Marcelo Paiva che racconta del padre, vittima anche lui come tanti desaparecidos della dittatura militare. Rubens Paiva (Selton Mello), pur essendo stato esautorato dalla vita politica, in quanto deputato di sinistra, riesce ancora a tenere contatti clandestini con la resistenza. Il regista, che peraltro da giovane aveva conosciuto personalmente i ragazzi Paiva, dopo diversi anni mette mano a un suo progetto a cui teneva tantissimo. Per lui questa storia, oltre a essere divulgativa per ricordare il terrore del passato, serve come monito per via dall’attuale orientamento politico del suo Paese. Un giorno Rubens viene prelevato da casa e di lui si perderanno le tracce. La moglie Eunice rimasta sola dovrà reinventarsi una nuova vita e lasciata Rio, si trasferirà a San Paolo, dove diventerà un valido avvocato. A ricoprire questo ruolo drammatico è stata chiamata l’attrice e scrittrice brasiliana Fernanda Torres, molto conosciuta in Brasile. Con Io sono ancora qui si è da poco aggiudicata un Golden Globe e una nomination ai prossimi Oscar come miglior attrice protagonista. Sarebbe riduttivo definire il film come semplice documento politico di denuncia. Il regista entra nel dramma familiare analizzando la reazione dei figli e della vedova che per necessità portò da sola il peso dell’intera tragedia. Eunice è il ritratto di una donna coraggiosa che seppe affermare la propria ribellione per riscattare la memoria del marito scomparso nel nulla. Una sofferenza durata tutta una vita e per la quale non si è mai arresa anche perché supportata dalla solidarietà dei propri cari. Un film che già fa parlare molto di sé e che con molte probabilità vincerà almeno un Oscar. Sarebbe decisamente meritato.
data di pubblicazione:29/01/2025
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da Antonio Iraci | Gen 29, 2025
Josh e Iris si incontrano per la prima volta al supermercato in maniera del tutto casuale. Dopo il primo sguardo, capiscono che la loro sarà un’intesa perfetta. Durante un weekend nella splendida villa di proprietà di Sergey, un tycoon russo, la coppia insieme ad altri amici avrà presto sgradevoli sorprese. Iris è stata molestata con forza dal padrone di casa e ha reagito violentemente svelando la sua vera natura…
Primo lungometraggio di Drew Hancock che, dopo varie esperienze cinematografiche per il piccolo schermo, approda ora al cinema con una storia affascinante e coinvolgente. Si ha difficoltà a dare un’etichetta a questa commedia così carica di significati più o meno allegorici. Un horror a tinte cupe, pieno di colpi di scena e con un pizzico di fantasy. Senza volersi a tutti costi soffermare sulla natura del film, bisognerà allora andare a svelare quali messaggi il regista intende trasmettere al pubblico in sala. Josh (Jack Quaid), man mano che la storia prende piede, manifesta una natura debole, incapace di affermazione e anche poco originale nelle sue scelte esistenziali. Per compensare le sue carenze affettive sceglie Iris (Sophie Thatcher) come companion (compagna) un essere che solo apparentemente è di carne e ossa. Nella sostanza è frutto di una tecnologia avanzata, un soggetto che si può programmare a proprio piacimento. La storia è ambientata in un futuro più o meno distopico dove può accadere l’inimmaginabile ma che praticamente intende dimostrare i fallimenti della società. Se Sergey (Rupert Friend) è riuscito ad accumulare ricchezze con i suoi traffici illeciti, non dimostra di fatto alcuna padronanza nel gestire la propria vita. Josh con i suoi enormi complessi di inferiorità, emotiva e sessuale, non è da meno. Gli unici che salvano il genere maschile dalla catastrofe sono Patrick e Eli, una coppia gay ben affiatata ma che nasconde una grossa verità. Companion ha una sceneggiatura che cura molto le situazioni imprevedibili e che non pretende di voler analizzare in profondità la psiche dei personaggi. Del resto non se ne ravvisa la necessità. Lo spettatore dovrà lasciarsi andare per affrontare una storia che ha comunque dei risvolti piacevoli e soprattutto risulta girata con grande professionalità. Sembra che il regista si compiaccia nel dimostrare l’inutilità del maschio, in quanto tale, negli stereotipi di oggi. Suggerisce invece l’opportunità di lasciare alle donne il potere decisionale, qualunque sia la loro vera natura.
data di pubblicazione:29/01/2025
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da Antonio Iraci | Gen 24, 2025
Camilla, oramai diciottenne, ha deciso di iniziare l’Università in Puglia insieme al fidanzato con il quale vuole condividere casa. La famiglia Rovelli si appresta quindi ad accompagnare la ragazza e con l’occasione conoscere la famiglia del giovane. Carlo, padre di Camilla, non è molto convinto che la figlia vada a vivere con un ragazzo appena conosciuto. Dopo dieci giorni di vivace convivenza con i consuoceri accetterà, nonostante tutto, questa avventata decisione…
Dopo il successo dei due film precedenti, che seguivano le disavventure della famiglia Rovelli, Alessandro Genovesi chiude questa trilogia con una commedia veramente esilarante. Fabio De Luigi e Valentina Lodovini, i genitori della ragazza, riescono a mantenere un ritmo frizzante, contribuendo a realizzare una commedia dai toni leggeri. Lo scontro/incontro tra le due famiglie, diverse per mentalità e abitudini, renderà questa loro convivenza di dieci giorni un totale disastro. Le situazioni sono grottesche e gli equivoci si susseguono senza soluzione di continuità. Ma tutto affrontato con leggerezza e senza volgarità per approdare a un finale prevedibile, proprio perché senza pretesa di imporre una morale scontata. Nel cast anche Giulia Bevilacqua e Dino Abbrescia, i genitori del ragazzo, che faranno di tutto per accontentare gli ospiti, ma il risultato sarà devastante. Dopo tanti film impegnati, il cinema italiano si sta anche orientando verso la commedia leggera, utilizzando in questo caso, un cast collaudato in film precedenti. Cambiano le situazioni ma rimane la famiglia Rovelli al centro delle storie, con dinamiche tutte proprie che alleggeriscono lo spirito dello spettatore e lo coinvolgono. L’elemento catalizzatore rimane sempre Fabio De Luigi. É proprio lui, con la sua proverbiale espressività, che riesce a dare un tono alla storia alternando situazioni tragicomiche con momenti di ingenua tenerezza. Un film quindi semplice e che ripaga in pieno le aspettative di chi va al cinema per rilassarsi e divertirsi. Un cinema tutto italiano che si presenta oggi con diverse tipologie per accontentare un po’ tutti e alleggerire così gli spiriti più intransigenti. Il regista, dopo qualche anno di distanza, riprende a scrivere una storia creando un vero e proprio dream team che regala momenti di grande divertimento.
data di pubblicazione:24/01/2025
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da Antonio Iraci | Gen 22, 2025
Adattamento e regia di Alfonso Postiglione, con Alice Arcuri, Giampiero Judica, Antonio Zavatteri e Alfonso Postiglione
(Teatro Vascello – Roma, 21/26 gennaio 2025)
Tre attori di teatro (i coniugi Hans e Thea Winkelmann insieme a Sebastian Fischer) sono accusati di oscenità per il loro ultimo spettacolo. Il caso è stato affidato al giudice Abrahmsson che subito li convoca privatamente nel suo studio per iniziare le indagini. Durante i vari interrogatori, insieme e separatamente, i tre indagati riveleranno la loro vera identità. Alla fine, in mancanza di prove, si esibiranno in privato nell’ufficio del giudice per dimostrare l’infondatezza dell’imputazione nei loro confronti…
Pensato inizialmente da Bergman come film per la televisione svedese, successivamente Il Rito fu diretto dallo stesso regista nel 1969 per i circuiti cinematografici internazionali. Il film, girato in bianco e nero, è suddiviso in nove scene dove gli attori interpretano la loro parte per dimostrare l’assurdità dell’accusa. Un pretesto per criticare apertamente la censura che poneva spesso in discussione la validità delle sue opere e limitava così la sua libertà come artista. Alfonso Postiglione, regista e attore napoletano, mette mano alla sceneggiatura originaria di Bergman per riscrivere un adattamento per un’opera teatrale di grande impatto emotivo. Ritornano così i temi cari al grande regista e drammaturgo svedese soprattutto quelli riguardanti l’angoscia interiore che divora la coscienza dell’uomo. Il movimento di scena si articola su una piattaforma dove rimane in sospensione l’ufficio istruttorio del giudice. I personaggi vengono accolti prima in maniera molto cordiale, poi sempre più in maniera accusatoria, quasi a volerne provocare una reazione e un’ammissione di colpevolezza. Via via che l’interrogatorio va avanti, lo stesso giudice inizierà a prendere coscienza dei suoi stessi fallimenti, manifestando così una profonda fragilità interiore. Del resto anche il rapporto tra gli accusati non è proprio sincero. I coniugi Winkelmann hanno un passato tormentato e Sebastian, amante palese di Thea, non sembra voler più accettare una posizione sottomessa nel cuore della donna. L’esibizione in privato dello spettacolo, ritenuto osceno, di fronte al giudice si trasformerà presto in una sorta di rito propiziatorio con finalità mistiche. Servirà infatti a dimostrare l’origine divina dell’arte che non ammette alcuna censura e che bisogna accettarla in ogni sua manifestazione. Ottima l’interpretazione degli attori che si muovono dentro spazi claustrofobici, tra luci e ombre, disegnati su misura da Roberto Crea. Una produzione di Ente Teatro Cronaca, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival.
da Antonio Iraci | Gen 22, 2025
Mahin è una donna di 70 anni che vive tutta sola a Teheran. Il marito le è morto da parecchi anni e i figli sono andati via dall’Iran con l’avvento della rivoluzione islamica khomeinista. Le sue giornate sono abbastanza monotone, tra la cura della casa e il giardino antistante. Dopo una piccola cena con le amiche, improvvisamente prende coscienza che la sua vita, nonostante l’età, potrebbe avere una svolta e persino ritrovare l’amore…
Presentato in concorso all’ultima edizione della Berlinale, pur non essendo stato premiato, il film ha riscosso grande successo da parte del pubblico e della critica. Tanto per rimanere coerenti con i principi del loro Paese, le autorità proibirono ai due registi di presentare personalmente la pellicola, ritenendola oltraggiosa all’etica civile. In effetti nel film si accenna, sia pur in maniera defilata, alla mancanza di qualsiasi rispetto della dignità umana, in ogni elementare espressione. Determinante a tal proposito il breve dialogo tra la protagonista Mahin (Lili Farhadpour) e una giovane, salvata dalla donna con determinazione quando la polizia morale vuole portarla in carcere con l’accusa di non indossare correttamente l’hijab. In tale breve scambio la giovane rimpiange di non aver vissuto un solo giorno dell’epoca pre-rivoluzionaria, quando alle donne era permesso di vestire all’occidentale. Per lei non c’è speranza di vedere un futuro migliore in cui tutto ciò potrà essere nuovamente possibile. Mahin sfiderà questo sistema invitando a casa sua Faramarz (Esmaeel Mehrabi), un tassista suo coetaneo che vive tra il lavoro e la completa solitudine. Il mio giardino persiano si concentra sulla storia dei due, persone mature che si incontrano per caso e che decidono di dare una svolta esistenziale alle proprie solitarie vite. L’occhio della telecamera sembra indugiare, con assoluta discrezione, sui due protagonisti che pian piano si spogliano delle loro reticenze per lasciarsi andare. Per la prima volta, dopo tanti anni, affronteranno quelle piccole trasgressioni che li renderanno disinvolti e felici. Mahin indosserà i suoi abiti migliori per far presa sull’uomo e preparerà una torta per festeggiare quest’incontro che entrambi vogliono trasformare in vero amore. Non a caso il titolo originale è My favourite cake perché è proprio questo dolce che è l’emblema dei loro sentiment, nati e vissuti per poche ore ma destinati a non esaurirsi, nonostante le avversità del destino. Crudele più che mai…
data di pubblicazione:22/01/2025
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