da Antonio Iraci | Ago 3, 2023
(Globe Theatre – Roma, 2/6 Agosto 2023)
Prospero, legittimo duca di Milano, da dodici anni vive su un’isola imprecisata del Mediterraneo insieme alla figlia adolescente Miranda. Suo fratello Antonio, aiutato dal re di Napoli Alonso, lo ha deposto e mandato in esilio usurpandone così il potere. Con la complicità di Ariel, spirito al suo servizio, e utilizzando le sue arti magiche, Prospero viene a sapere che suo fratello sarebbe passato vicino all’isola e scatena pertanto una tempesta che farà naufragare la nave…
Il teatro universale di Shakespeare incontra quello di Eduardo De Filippo, proprio nell’ultimo lavoro del grande drammaturgo inglese, in un’opera singolare dove di fronte a un’azione indegna non si prospetta alcune azione vendicativa da parte dell’usurpato, piuttosto, al contrario, un atteggiamento quanto mai benevolo nei confronti dell’usurpatore. Forse è proprio questo che ha spinto Eduardo ad affrontare una riedizione de La Tempesta dove, pur sforzandosi di attenersi fedelmente al testo di partenza, utilizza un linguaggio tutto suo ed esattamente quello proprio del napoletano arcaico del Seicento. Se da un lato è palese il riferimento all’uomo impostore che vuole il potere che non gli spetta, dall’altro è proprio il ricorso alle arti magiche e soprannaturali, con l’intervento di forze misteriose ultraterrene, che rende l’intreccio quanto mai interessante e perlopiù adattabile ai giorni nostri. Ecco quindi che interviene la “napoletanità” di Eduardo a riequilibrare il tutto, smorzando i toni accesi con una mimica e una espressività propri del teatro partenopeo. Quest’impresa difficile viene affidata dall’attore e regista teatrale Arturo Cirillo, napoletano Doc, al suo conterraneo Andrea Lucchetta al fine di mettere in scena una spassosa pièce, frizzante e quanto mai unica nella sua originalità. Sulla scena gli allievi ed ex allievi dell’Accademia Nazionale “Silvio D’Amico”, di una bravura quasi disarmante, che hanno lasciato il pubblico a gustare in un’unica carrellata un’opera impegnativa, ma resa lieve proprio dalla loro stessa interpretazione, naturale e comprensibilissima. Se alla fine il racconto si ricompone e tutti ritornano ai loro posti, incoraggiati dalla bontà d’animo di Prospero, non rimane altro che aggiungere a questo felice epilogo il beneplacito ufficiale da parte degli spettatori, chiamati a liberare gli attori con un meritato applauso. Una produzione Politeama srl e Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, in scena all’Arena Globe Theatre fino al 6 Agosto.
data di pubblicazione:03/08/2023
Il nostro voto: 
da Antonio Iraci | Lug 28, 2023
Alla morte del genitore quattro fratelli, per l’esattezza Luca, Silvia, Mattia e Giorgio, si ritrovano dopo anni di separazione nella casa della loro infanzia, unico bene lasciatogli in eredità. Vogliano a qualsiasi prezzo sbarazzarsi di quella elegante dimora perché nasconde ricordi terribili per loro e anche perché ognuno ha, per motivi diversi, urgente bisogno di quel denaro. A poco a poco, ciascuno manifesterà le proprie fragilità e decideranno così di organizzare una strana battuta di caccia, passione che da piccoli avevano dovuto subire e accettare con prepotenza dal padre padrone…
Ancora una volta il regista umbro Marco Bocci, qui al suo secondo lungometraggio, affronta i problemi all’interno della famiglia ma dopo A tor Bella Monaca non piove mai in questo ultimo lavoro si spinge oltre l’immaginario, con un film drammatico e portato alle più estreme conseguenze. I quattro fratelli, veri protagonisti sulla scena, hanno preso da tempo il volo dalla casa paterna, costruendosi un’esistenza indipendente e lontani da qualsiasi forma di affetto sincero. Luca (Filippo Nigro) ha una concessionaria ed è ricattato da gente malavitosa per impegni che non riesce a rispettare. Silvia (Laura Chiatti) ha un passato da tossicodipendente e convive con una donna incinta nella speranza un giorno di diventare madre del nascituro. Mattia (Pietro Sermonti) è un artista che convive con una cantante fallita e che improvvisamente perde una committenza per lui molto importante. Giorgio (Paolo Pierobon) è in balìa di una moglie e di una figlia, entrambe viziate in un benessere che lui fa fatica a garantire. Le loro vite quindi hanno preso direzioni diverse, ma sono unite tutte da una palese insoddisfazione e rimangono, sia pur inconsapevolmente, legate ad una esperienza familiare dolorosa, se non tragica. Una voce narrante accompagna le vicende, sovrapponendo così una fiaba dei fratelli Grimm, trovata che sembrerebbe originale ma che crea in effetti un certo fastidio, interferendo con prepotenza alla suspense che si vorrebbe, ma non si può, pienamente trasferire allo spettatore. Bisogna ammettere che la recitazione è sorprendente, anche da parte dello stesso regista che interviene nel ruolo di un personaggio secondario, ma ciò non basta a riscattare in pieno il film stesso. Bocci cerca di scavare nel profondo dei singoli individui, rivelandone le singole debolezze, e ci sarebbe riuscito se non avesse messo troppa carne al fuoco, creando così confusione e disorientamento. Se la morale inculcata dal padre, soprattutto in quelle forzate battute di caccia che imponeva ai figli, si fosse limitata a dimostrare quanto il più forte nella vita ha più chance di sopravvivenza, sicuramente il racconto avrebbe avuto più credibilità. Il film mostra invece delle cadute e delle ingenuità che lo rendono, soprattutto nell’epilogo, quanto mai prevedibile e scontato. Un’occasione sprecata che avrebbe potuto portare a qualcosa di più sentito, di meno articolato ma sicuramente più pregno di quella drammaticità di cui all’inizio si vedevano tutte le premesse.
data di pubblicazione:28/07/2023
Scopri con un click il nostro voto: 
da Antonio Iraci | Lug 25, 2023
Vera è un’agente di polizia sotto copertura, infiltrata in una banda di spietati criminali serbi. Suo fratello Bruno, che in passato ha già avuto problemi con la giustizia, per assicurare un futuro alla figlia Marta si lascia convincere da un amico, conosciuto in carcere, a partecipare ad una rapina. Vera e Bruno si ritroveranno, dopo tanti anni di silenzio, coinvolti nella stessa storia ma in posizioni diametralmente opposte…
Come pecore in mezzo ai lupi è il film di esordio alla regia per Lyda Patitucci, dopo anni di gavetta accanto al regista e sceneggiatore romano Matteo Rovere che, di questo crime movie, ne ha curato la produzione. Per la Patitucci è stato arduo trovarsi tra le mani una sceneggiatura cosi articolata, scritta da Filippo Gravino, basata su una storia che coinvolge una spietata criminalità, ed al tempo stesso, sentimenti intimi e affetti profondi. Il titolo scelto rimanda ad un celebre passo evangelico e non stupisce, perché in effetti il film stesso è intriso di una fervente religiosità, come quella vantata dal capo banda Dragan, scelta per fare da contrappunto ad una efferatezza che non viene risparmiata dagli stessi criminali coinvolti nell’azione. In effetti il plot racchiude tutti gli ingredienti che si è soliti trovare nei film di questo genere: la rapina a mano armata, sparatorie, il bottino da dividere, l’intervento della polizia ed un finale in cui vincono i buoni. La regista sembra però utilizzare questi elementi come sfondo per mettere in evidenza il dramma interiore di una donna che ha bisogno di rompere con un passato doloroso che l’ha portata a abbandonare la famiglia e gli affetti. Per vari motivi i suoi tentativi sono però destinati a fallire e i tempi supplementari a sua disposizione sono scaduti. Vera (Isabella Ragonese) e il fratello Bruno (Andrea Arcangeli) devono affrontare un passato che li ha visti forzatamente lontani e, contemporaneamente, un presente in cui giocheranno ruoli contrapposti che dovranno mantenere sin in fondo per non compromettere la loro stessa vita. Film crudo e adrenalinico che coinvolge subito lo spettatore sia per l’intreccio della storia sia per la convincente interpretazione dei due attori protagonisti, alla quale si affianca il personaggio enigmatico del padre, egregiamente interpretato da Tommaso Ragno. Una storia costruita in una Roma dalle tinte cupe e per niente patinate dove ogni singolo personaggio è in balìa di eventi avversi. La regista sembra muoversi a suo agio in un genere cinematografico che, almeno nel cinema italiano, normalmente poco si adatta al genere femminile, ma il risultato è veramente sorprendente e, soprattutto, convincente.
data di pubblicazione:25/07/2023
Scopri con un click il nostro voto: 
da Antonio Iraci | Lug 19, 2023
Barbara Millicent Roberts, da sempre nota come Barbie, vive felice nel paese tutto rosa e “plasticoso” di Barbieland. Accanto a lei, a tutti gli effetti uno stereotipo, ci sono le altre sue varie sfaccettature che occupano ognuna i posti chiave della società. Ken è una figura insignificante ed è stato creato solo per coprire il ruolo del fidanzato. Un bel giorno Barbie entra in depressione: ha i piedi piatti e un accenno di cellulite, e su consiglio della Stramba parte con la sua decappottabile (rosa) verso il mondo degli umani. Ken, che la accompagna, conoscerà una nuova realtà che cercherà di imporre, senza successo, a Barbieland…
Greta Gerwig, che ha curato la regia si è occupata anche della sceneggiatura, insieme al marito Noah Baumbach, di questo spassoso film sulla bambola più famosa al mondo, da decenni icona incontestata per tutto ciò che possa entrare nell’immaginario delle giovani generazioni e non solo. Creata da Ruth Handler, cofondatrice del colosso industriale Mattel che dal 1959 la produce, la Barbie è presente in tutto il mondo dove viene venduta in milioni di esemplari. Certamente il lavoro della Gerwig non è il primo che utilizza questo soggetto, ma tuttavia bisogna riconoscerle il merito di aver realizzato un film che ha avuto tempi lunghissimi di gestazione, con costi di produzione stratosferici per le scenografie e i costumi. Il team che ha lavorato alla sua realizzazione è composto da elementi di prima scelta, quasi tutti già premi Oscar. Il ruolo dei due protagonisti è rispettivamente interpretato da Margot Robbie e Ryan Gosling, perfetti come bambolotti viventi, affiancati da un cast strepitoso e tutti impegnati, in maniera più che coordinata soprattutto nelle coreografie, a confezionare un film divertente e soprattutto leggero. A volersi soffermare più attentamente, tra le varie gag che si susseguono a raffica e in maniera spesso graffiante, si possono trovare accenni di qualcosa di più profondo. Barbie e tutti gli altri personaggi che le fanno da contorno, vivono in un mondo virtuale, parallelo, che nulla ha a che fare con quello reale. Barbieland è il modello di società perfetta tutta al femminile, dove gli uomini non ricoprono alcun ruolo significativo, sono solo da contorno, anche se come immagine devono essere anche loro belli, palestrati e aitanti, per essere all’altezza delle varie Barbie. Ken, prendendo spunto dal mondo degli umani, si documenta sul patriarcato che intende applicare a Barbieland, estromettendo di fatto il genere femminile dai centri di potere e cercando di ritagliarsi un ruolo più attivo. Un film quindi ironico, divertente, che sa unire due mondi diversi e contrapposti in maniera intelligente. Una critica alla rivoluzione delle femministe di un tempo o un tentativo, molto effimero, di rivalutare la figura dell’uomo che una volta rappresentava il sesso forte e che oggi mostra invece in ogni settore i segni di una più che palese debolezza. Spazio quindi a varie interpretazioni, ma con certezza si può affermare che il risultato è sicuramente positivo e non stupirebbe che facesse bingo ai prossimi Oscar. Esilarante il riferimento iniziale a 2001 Odissea nello spazio quando le bambine, da mamme annoiate, distruggono le loro bambole e eleggono simbolicamente Barbie come oggetto dei propri desideri e delle proprie future aspettative: una chicca da manuale.
data di pubblicazione:19/07/2023
Scopri con un click il nostro voto: 
da Antonio Iraci | Giu 1, 2023
Nel 1858, anno in cui inizia l’incredibile storia di Edgardo Mortara, Bologna si trova sotto la giurisdizione del Papa Re Pio IX. Un bambino di appena sette anni viene tolto alla famiglia, di religione ebrea, per essere cresciuto e educato come cattolico a Roma. Nonostante i vari appelli, anche a livello internazionale, affinché il piccolo venga restituito ai genitori, la Santa Sede attraverso i suoi insigni rappresentanti si trincera dietro l’espressione “non possumus”, locuzione che esprime l’opposizione granitica ad ogni tentativo di risolvere la questione con il semplice buonsenso…
Siamo ben lontani, anche in termini temporali, dal film d’esordio I pugni in tasca con il quale l’allora giovanissimo regista piacentino intendeva manifestare un ben definito malessere sociale, precursore di ciò che sfocerà a breve nella rivoluzionaria contestazione sessantottina. Anche nei film successivi, Bellocchio ha manifestato la volontà di entrare, quasi con circospezione, nell’intimo dell’anima dei suoi personaggi, per esaminarne i lati più oscuri e le sue deformazioni. In questi suoi ultimi lavori sembra tralasciare quelle tematiche un tempo a lui care, quelle situazioni claustrofobiche che volente o nolente portavano i suoi personaggi a rasentare la follia pura. Dopo Buongiorno, notte, in Esterno notte il regista torna all’impegno politico con una minuziosa cronaca dei giorni del sequestro Moro che tanto impegnarono, senza successo, i politici di quel tempo. In questa fase evolutiva, o involutiva per i critici più spietati, il regista ha presentato in concorso a Cannes il suo ultimo lavoro Rapito, un film a dir poco colossale non solo per la complessa tematica affrontata, quanto per l’impegno a realizzare un’ambientazione storica, quanto più aderente possibile a quegli anni in cui crollò il potere temporale della Chiesa. In questo contesto si inseriscono le vicende del giovane Edgardo Mortara, di famiglia ebrea, che ancora bambino viene sottratto alla famiglia e, con un pretesto poco credibile, viene trascinato con la forza per essere educato ad abbracciare la religione cattolica, in palese contrasto con le abitudini e le convinzioni delle sue origini. Una sceneggiatura, ben curata dallo stesso regista insieme a Susanna Nicchiarelli, che riesce a catturare lo spettatore, imprigionandolo in una bolla emotiva, carica di tensione e angoscia. Ci si chiede cosa possa oggi rappresentare la religione, di qualunque credo si tratti, e di come possa anche ferire in nome di una fede ottusa, da accettare come dogma inconfutabile. La fotografia, curata da Francesco Di Giacomo, utilizza quel gioco di luci e ombre radenti, quasi caravaggesche, per meglio rappresentare quell’anima che non sa prendere una netta posizione tra l’obbedienza incondizionata all’autorità ecclesiastica e la semplice logica del buonsenso. Cast ben curato dove emerge la figura di Edgardo, interpretato alla perfezione dal piccolo Enea Sala, mentre la madre è interpretata da Barbara Ronchi, molto credibile nel ruolo di una donna disperata che non si rassegna alla perdita del figlio. Bellocchio non vuole manifestare solo palese irriverenza verso quel tipo di chiesa che imperversava al tempo di Pio IX, ma ancora una volta si impegna in un atto di ribellione verso ogni autorità che, mai come in questo caso, dovrebbe occuparsi dell’ultraterreno e se lo fa, decisamente lo fa male.
data di pubblicazione:01/06/2023
Scopri con un click il nostro voto: 
Gli ultimi commenti…