da Antonio Iraci | Feb 24, 2023
(73 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 16 – 26 Febbraio 2023)
Franco Amore lavora in polizia da 35 anni e può affermare con orgoglio di aver fatto onestamente il suo dovere senza mai aver dovuto sparare a nessuno. Il giorno prima del suo pensionamento, la moglie Viviana organizza a casa una festa a sorpresa con parenti e amici. Una inaspettata telefonata da parte del suo capo lo richiama in servizio…
Andrea Di Stefano ha già alle spalle un’apprezzabile carriera, sia come regista che come attore, e presenta oggi nella Sezione Berlinale Special Gala il suo ultimo film L’ultima notte di Amore, protagonisti Pierfrancesco Favino e Linda Caridi. Si tratta di un thriller made in Italy tutto girato a Milano e la prima scena, mentre scorrono i titoli di testa, presenta dall’alto la metropoli con le sue bellezze e con il suo skyline mozzafiato. Non è un caso che è stata scelta Milano per ambientare questa storia di criminalità e corruzione, quasi a indicare il lato oscuro di una città che si presenta al mondo come sinonimo di eleganza e di estrema efficienza. La vicenda narra di due poliziotti dalla carriera ineccepibile, amici e colleghi da vent’anni, che rimangono coinvolti in una operazione architettata dalla malavita cinese. Un film d’azione ben fatto e che riesce a coinvolgere ed entrate nel mood dei vari personaggi, senza sbavature o eccessi di stile. A parte Favino, risulta veramente sorprendente l’interpretazione di Linda Caridi, nella parte della moglie Viviana. Pur nella sua spietata efferatezza, il film comunque rivela il suo lato tenero che è messo in evidenza dalla rettitudine e dai sani principi del protagonista e soprattutto dal suo rapporto sincero di vero amore nei confronti della moglie e della figlia. Il finale risulta funzionale a dare una morale sana a tutto quell’intreccio di malaffare che è prerogativa della narrazione. Il film sarà in sala dal 9 marzo, distribuito da Vision Distribution.
data di pubblicazione:24/02/2023

da Antonio Iraci | Feb 23, 2023
(73 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 16 – 26 Febbraio 2023)
Cocò è una bambina di otto anni che ha ricevuto alla nascita il nome di Aitor che rifiuta e desidera ora essere chiamata Lucia. Durante un’estate a casa della nonna cerca di farsi accettare per quello che sente di essere, affrontando gli sguardi sospettosi degli altri bambini che percepiscono, ma non capiscono appieno, questa sua forma di diversità. Per fortuna, in ogni situazione, arriva l’intervento salvifico della madre che tranquillizza la figlia e l’accompagna nella sua, sia pur precoce, scelta.
Il cinema spagnolo, dopo il trionfo di Alcarràs diretto da Carla Simòn che ottenne l’Orso d’oro nella scorsa edizione della Berlinale, ci riprova quest’anno presentando in concorso 20.000 Especies de Abejas (tradotto in italiano: 20.000 specie di api) opera prima della regista basca Estibaliz Urresola Solaguren. Nel film ci si focalizza sui due personaggi chiave: una madre (Patricia Lòpez Arnaiz) in profonda crisi professionale e sentimentale, e una figlia (Sofia Otero) che ha difficoltà ad interagire con gli altri, ma che ha ben chiaro come vedere se stessa. Interessante come la regista presenti la bambina nel proprio contesto familiare, al principio ostile nei suoi confronti perché non riesce a contestualizzare in pieno la vera identità della piccola. Ed è proprio la famiglia lo spazio naturale dove si collocano i vari protagonisti e come loro stessi si trovano a confrontare le proprie differenti visioni della realtà. Il riferimento alle api, come recita il titolo, non è casuale perché le api all’interno dell’alveare svolgono un ruolo specifico, rispettando regole precise esattamente come all’interno di una famiglia. La piccola piano piano sperimenta come il suo corpo assuma un ruolo fondamentale nella propria identificazione come individuo e come sia il mezzo più immediato per comunicare con gli altri. Il fluire dei dialoghi con la nonna e la zia servono a rendere più pesante lo stato emozionale dei personaggi, ma l’azione prende il posto delle stesse parole quando la madre oramai accantona ogni esitazione verso la figlia. Il film pecca nel voler attardarsi troppo sulle immagini che riguardano il rapporto tra madre e figlia, come si incrociano i loro sguardi ed infine il contatto fisico dei loro corpi. Al di là della tematica, oggi quanto mai di attualità, il film va avanti con lentezza e, anche se trasmette un messaggio sociale importante, alla fine conduce ad una irrefrenabile noia.
data di pubblicazione:23/02/2023

da Antonio Iraci | Feb 22, 2023
(73 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 16 – 26 Febbraio 2023)
Sol si sta preparando per la festa di compleanno di suo padre Tona, che compirà ventisette anni e verrà festeggiato da amici e parenti. La madre Lucia cerca in tutti i modi di distrarre la bambina dalla sua palese malinconia dal momento che il suo unico desiderio ora è che suo padre ”non muoia”. Questo incontro è quasi una festa d’addio….
Uno dei miracoli che il cinema a volte può fare è quello di dare uno sguardo ai sentimenti più intimi e nascosti dell’uomo, riuscendo a creare quella naturalezza che spesso sfugge alla vita reale. Dopo il successo ottenuto nel 2018 con The Chambermaid, la regista messicana presenta a questa Berlinale un piccolo capolavoro, una commedia di grande sensibilità che ha sulla sfondo una reale tragedia. Ancora una volta il mondo dei grandi, nel bene e nel male, è osservato dalla sguardo pulito e innocente dei bambini, mettendo in luce quella rara sensibilità che negli adulti poi è destinata a scomparire, per dar posto spesso ad una costruita razionalità. La Avilés riesce così a sintetizzare con eleganza, per la durata limitata della proiezione, i momenti più salienti della vita fino a quello conclusivo della morte. L’azione si svolge nell’arco di una giornata ed inizia con i preparativi in cui tutti a diverso livello sono coinvolti, sullo sfondo la figura di Tona, oramai allo stremo delle proprie forze che, pur impossibilitato a muoversi, si sforza di apparire allegro e contento per la festa in suo onore. Dal momento che alla piccola non è consentito di vedere subito suo padre, perché questi deve riposare e raccogliere le poche energie per la sera, lo sguardo della regista è rivolto prevalentemente su di lei e sulla sua preoccupazione di essere ancora oggetto dell’amore paterno. La giornata sembra passare con una velocità diversa per la taciturna Sol che, mentre fervono i preparativi, si trova a vagare per casa con un raro impulso esplorativo, in attesa del momento in cui potrà finalmente abbracciare il padre. Nonostante il finale assuma un tono allegro e celebrativo, la regista concentra la propria attenzione sul concetto più grande dell’esistenza umana e della fragilità nell’affrontare i problemi seri di ogni giorno: lo sguardo di Sol (Naima Senties) ci traghetta all’interno di una grande famiglia, senza che la bambina possa comprendere ciò che sta per accadere. Una sceneggiatura che funziona bene, che si prende i tempi giusti per non cadere nella superficialità, una narrazione che al contrario necessita di attenzione per coglierne le più sottili sfumature. Un film che ispira tenerezza, affetto e qualche pensiero sulla caducità della vita che, proprio per questo, dovrebbe essere vissuta appieno in ogni momento. Tótem è stato accolto bene dalla critica internazionale e forse meriterebbe un Orso…
data di pubblicazione:22/02/2023

da Antonio Iraci | Feb 21, 2023
(73 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 16 – 26 Febbraio 2023)
Nel 1958 la poetessa e scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann incontra a Parigi Max Frisch, anch’egli scrittore. I due si innamorano e decidono di vivere insieme a casa di lui in Svizzera. Ma la relazione comincia a diventare insostenibile per entrambi e decidono quindi di separarsi. La salute della Bachmann diventa lentamente sempre più instabile e lei stessa decide di trovare un poco di pace nel deserto egiziano, in compagnia dell’amico Adolf Opel…
Per apprezzare in pieno questo film bisognerebbe conoscere almeno qualcosa su Ingeborg Bachmann e come questa scrittrice sia stata una figura di spicco nella letteratura, in lingua tedesca, degli anni cinquanta. Pochi leggono oggi le sue poesie, ma in alcuni ambienti intellettuali di Roma, città da lei amata e che divenne anche la sua residenza preferita, molti la ricordano soprattutto per essere stata una poetessa che lottò per la propria libertà e indipendenza. Lei stessa può essere considerata ante litteram una femminista, proprio in quel tempo quando ancora il termine non era stato coniato ed il mondo era per lo più controllato dagli uomini. Dopo il film su Hannah Arendt del 2012, Margarethe von Trotta ci riprova a portare sul grande schermo la figura di una donna che ha fatto parlare molto di sé. La ben conosciuta regista berlinese mette in evidenza un periodo limitato della vita della Bachmann, tralasciando intenzionalmente di parlare della sua tragica fine, avvenuta proprio a Roma. La regista sa bene come contrapporre due caratteri cosi diversi come quello di Max Frisch (Ronald Zehrfeld) e quello della Bachmann (Vicky Krieps), due figure che non riescono mai ad intendersi sia sul piano letterario, dove erano entrambi impegnati, sia su quello privato. Certamente nulla da obiettare sull’interpretazione come protagonista della Krieps, attrice lussemburghese che al momento è presente in molti film ma forse non perfettamente diretta dalla von Trotta, a causa anche di una sceneggiatura frammentaria e poco coerente. Forse l’errore è quello di essere caduta in alcuni cliché per voler a tutti i costi evidenziare come, proprio in questo viaggio nel deserto che dà il titolo al film, la Bachmann andasse alla ricerca di qualcosa che potesse colmare la propria solitudine interiore. I dialoghi sembrano artefatti e le sue asserzioni sul rapporto uomo-donna appaiono troppo influenzate dalla devastante relazione con lo stesso Frisch. Anche il voler sottolineare come la sua autodeterminazione nei confronti degli uomini passasse comunque da una emancipazione sessuale, rara a quei tempi, sembra portare confusione, più che chiarezza, alla sua vita. Forse un’occasione mancata per dare a questa donna, assolutamente anticonvenzionale, il giusto risalto che meritava…
data di pubblicazione:21/02/2023

da Antonio Iraci | Feb 20, 2023
(73 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 16 – 26 Febbraio 2023)
Ralphie, rimasto senza lavoro, si adatta a lavorare per Uber, fornendo il servizio di trasporto privato con la sua auto. La sua ragazza Sal lavora in un supermercato e sta per avere un bambino. Il giovane, alla vigilia della paternità, attraversa un periodo di grande turbamento che sta mettendo in crisi anche la sua identità sessuale. Riemergono rancori sopiti e una latente aggressività verso la società dalla quale si sente totalmente escluso e minacciato.
John Trengove è un regista sudafricano che proprio qui alla Berlinale nel 2017 ebbe il suo esordio con il film The Wound nella Sezione Panorama. Manodrome ritorna ad affrontare tematiche già presenti nel film precedente, mettendo in evidenza la fragilità dell’uomo di oggi di fronte ad una presa di coscienza e di libertà da parte del genere femminile. Ralphie è di per sé il prototipo dell’uomo taciturno, con un enorme quantità di disturbi della personalità irrisolti e che cerca di compensare i suoi complessi andando a sottoporsi ad estenuanti esercizi fisici pur di diventare un perfetto body builder. La sua eccessiva dose di narcisismo non sembra però essere funzionale al suo riscatto personale di fronte alla propria ragazza che è sul punto di partorire. Il fatto di trovarsi caricato della responsabilità di padre, con cui presto dovrà fare i conti, farà nascere in lui degli istinti da sempre repressi. La sua vita sembrerebbe poter aver un momento di chiarezza quando per caso il giovane incontrerà Dan, capo di un enclave di soli uomini i cui rigidi principi trovano ispirazione in manosphere, un blog che esalta la mascolinità e si oppone al femminismo, manifestando una irrefrenabile dose di misoginia. Diventando figlio di padre Dan, così si fa chiamare il leader spirituale, Ralphie si sente in principio protetto e spalleggiato dagli altri uomini della collettività che rivendicano il diritto di rifiutare le donne e di dedicarsi ad un volontario celibato. Al contrario, l’ingresso nel gruppo invece di sopire i drammi interni del giovane innescheranno presto una reazione omicida che lui stesso non riuscirà a reprimere. Il film, nonostante la buona performance di Jesse Eisenberg, nella parte del protagonista e quella di Adrien Brody in quella di Dan, non riesce a decollare. Sembra addirittura pretestuoso che ci si trovi ad essere testimoni degli impulsi criminali di qualcuno che non solo odia le donne, ma che estende le sue perversioni anche nei confronti degli uomini. Siamo ben lontani dal tratto distintivo dell’interpretazione di Robert De Niro in Taxi Driver di Scorsese, film cult considerato uno dei capolavori del regista e del cinema contemporaneo, con il quale si sarebbe portati a fare un paragone. In Manodrome si affronta, con una buona dose di superficialità, il tema dell’isolamento esistenziale dell’individuo di oggi e l’incapacità di molti di assumersi le proprie responsabilità di uomo e di padre.
data di pubblicazione:20/02/2023

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