da Antonio Iraci | Nov 29, 2024
Dopo pochi mesi dalla caduta dello scià e dall’inizio della rivoluzione khomeinista, la professoressa di letteratura inglese Azar Nafisi e il marito tornano in patria. Sono fiduciosi che la storia del paese cambierà in meglio e Azar è piena di entusiasmo nell’iniziare i propri corsi presso l’università di Teheran. Ben presto si accorgerà che il regime islamico degli Ayatollah avrà un atteggiamento molto ostile. Rigido verso l’emancipazione delle donne e verso ogni riferimento alla cultura occidentale, intesa come contraria alla decenza e alla fede religiosa…
Eran Riklis è un regista israeliano e quindi addentro le problematiche, non poche, del suo paese. Tuttavia in questo lavoro riesce perfettamente a rendere ciò che significa vivere in Iran dopo l’avvento della rivoluzione. Il film è tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Azar Nafisi, scritto dopo la sua fuga, insieme alla sua famiglia, negli Stati Uniti. Riklis fa un’analisi cruda dell’atmosfera cupa in cui vivevano, e ancora vivono, le donne in quella realtà. Azar (Golshifteh Farahani) insegna all’Università e cerca in tutti i modi di far appassionare i propri studenti alla letteratura contemporanea di lingua inglese. Mentre gli uomini accettano malvolentieri i suoi suggerimenti, ritenendoli contrari ai principi religiosi islamici, le donne invece approvano con vero trasporto quegli autori stranieri. La lettura di quei libri, nonostante proibita e condannata perfino con la pena di morte, sarà per loro una forma di ribellione al regime.
Leggere Lolita a Teheran sarà anche un atteggiamento di emancipazione dalla cultura maschilista che vieta alle donne ogni forma di espressione. Azar sarà costretta a lasciare l’Università e a continuare il suo insegnamento a casa con le sue allieve più promettenti. Leggere Nabokov o Jane Austen, rischiando la propria vita, diventa così l’unico modo per sopravvivere a tutte quelle forme di violenza alle quali vengono sottoposte. Convinte della incapacità di ritornare alla normalità, a loro non resterà che fuggire verso paesi dove la libertà di pensiero è diritto irrinunciabile alla dignità. Quelle donne lasceranno l’Iran ma l’Iran non lascerà loro. Un film commovente, espressivo, vero che ci rende impotenti di fronte a una realtà impossibile da accettare e che ha scarse probabilità di cambiare. Se ne consiglia la visione.
data di pubblicazione:29/11/2024
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da Antonio Iraci | Nov 27, 2024
Man, come piace farsi chiamare, vive con la madre invalida in un anonimo paesino del Salento dove lavora come netturbino. La sua vita monotona trova ostilità da parte di alcuni che lo ritengono responsabile della morte del padre, uomo violento che lo aveva reso infelice. Un giorno si scontra con la prepotenza del boss malavitoso locale a cui deve ripagare un debito a suo tempo contratto dal genitore…
Alfonso Bergamo è un giovane regista della provincia di Salerno che si è distinto al Noir in Festival dello scorso anno con The Garbage Man. Il film è girato essenzialmente di notte perché di notte si svolge la vita lavorativa del protagonista. Un uso accurato di piani sequenza, un contrasto tra luci e ombre, una ricerca studiata di rimandi scenici, tutto questo rende il film veramente convincente. Se la storia nel suo insieme può sembrare banale e con un finale decisamente scontato, non per questo il risultato ottenuto è da sottovalutare. Man (Paolo Briguglia) non ha veri amici in paese e non parla con nessuno ad eccezione del suo collega di lavoro americano (Randall Paul). A loro piace bere, scherzare e raccattare tra i rifiuti tutto quello che si può utilizzare ancora. In un tempo imprecisato il regista introduce la figura di Rosario (Tony Sperandeo) al quale viene affidata la figura del mafioso locale.
The Garbage Man è un film noir indipendente, che ci parla di violenza e in cui il debole risponde con altrettanta violenza per ottenere giustizia. Alla fine il paese verrà ripulito da ciò che tutti fingono di non vedere, ma che di fatto è a tutti palese. La storia è messa da parte, un pretesto per far emergere invece l’aspetto visivo e musicale. Spazzatura di ogni tipo che la società crea e nella quale siamo sempre più coinvolti. Nel racconto c’è anche l’amore che si fa strada nel cuore del protagonista e che però verrà sacrificato e annientato dagli eventi. Un epilogo sospeso come è giusto che sia per chiederci cosa potrà accadere al nostro antieroe. Un uomo timido e introverso trasformato in un “rambo” che sa il fatto suo e che alla fine cerca vendetta per tutti i torti subiti. Sicuramente un film di genere che usa immagini forti per impressionare lo spettatore e che utilizza un linguaggio cinematografico del tutto originale.
data di pubblicazione:27/11/2024
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da Antonio Iraci | Nov 27, 2024
Operina Monodanza in un atto di notte di Sylvano Bussotti, 2024. Poema di Dacia Maraini, Voce recitante di Manuela Kustermann, Danzatore Carlo Massari, Ensemble Roma Sinfonietta, Direttore Marcello Panni, Coro Evo Ensemble
(Teatro Vascello – Roma, 25 novembre 2024)
Settimino, proprio perché nato così prematuro, sin dalla nascita ha delle aspirazioni che lo portano a desiderare di diventare un giorno un grande ballerino. Già dai primi anni, quando inizia a prendere consapevolezza di sé, non sa bene che posizione prendere in società. Sarà meglio identificarsi con il genere femminile o con quello maschile? In tutta la sua vita si porrà questo amletico dilemma, adattandosi come meglio può, ora di qua ora di là…
In occasione del Festival di Nuova Consonanza, il Teatro Vascello ripropone un’opera del compositore fiorentino Sylvano Bussotti. Per la verità trattasi di un’operina, così come la definisce l’autore, rappresentata solo una volta nel 1974 al Festival di Royan e poi archiviata definitivamente. Forse il tema trattato era considerato scabroso, quando parlare di sesso era sempre pericoloso, addirittura proibito quando si alludeva alle così dette devianze. Bussotti non ha bisogno di grandi presentazioni e tutti sanno che era un artista alquanto poliedrico a cui piaceva fare un po’ di tutto. Ogni cosa veniva fatta però in maniera innovativa e di rottura con gli schemi e gli stilemi tradizionali. Anche in questo spettacolo lui osa molto e pone il protagonista fuori dalla scena, anche se lo spettatore ne percepisce costantemente la presenza. Come cinquant’anni fa, anche oggi Dacia Maraini cura la parte narrativa e poetica in un testo ora riveduto e corretto. Se l’argomento era tabù, ora lo stesso viene sdoganato e riproposto senza tanto scalpore. Oggi parlare di fluidità di genere non crea più tanto imbarazzo, quanto piuttosto curiosità.
In Syro Sadun Settimino troviamo un po’ di tutto: Musica – Coro a Cappella – Danza – Poesia. La voce narrante questa volta è lasciata all’interpretazione della grande attrice Manuela Kustermann. Sulla scena, fa da sfondo, il filmato RARA realizzato alla fine degli anni sessanta con immagini statiche di giovani nudi e piangenti. Ognuno fa la sua parte in maniera eccellente in uno spettacolo che in 50 minuti esprime ciò che bisogna esprimere, senza raggiri e inutili tortuosità. Una serata dove ancora oggi si percepisce il valore di un’avanguardia che ha veramente fatto a pezzi il concetto di musica e teatro. Almeno così come lo si intendeva in alcuni contesti di artefatta tendenza.
data di pubblicazione:27/11/2024
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da Antonio Iraci | Nov 22, 2024
adattamento di Matilde D’Accardi, regia di Tommaso Capodanno con Francesca Astrei, Maria Chiara Bisceglia, Evelina Rosselli e Giulia Sucapane
(Teatro India – Roma, 22/30 Novembre 2024)
Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l’esercito di Francia. Carlo Magno doveva passare in rivista i paladini. Ecco apparire al cospetto dell’imperatore un nobile cavaliere con la sua candida armatura. Si tratta di Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni, devoto servitore pronto a combattere per la causa del sovrano. Più volte sollecitato a mostrare il suo volto, il misterioso condottiero confesserà di non averne uno. Lui è proprio un cavaliere inesistente…
Italo Calvino, di cui si è celebrato il centenario della nascita in maniera alquanto silenziosa, è stato sicuramente uno dei narratori più importanti del Novecento. Il suo genere letterario è variegato e si è sempre rivolto al percorso interiore che l’uomo, per sua natura, dovrebbe perseguire con onestà e fede. Il cavaliere inesistente è un romanzo quasi fantastico che si ispira liberamente alle gesta dei mitici paladini di Francia al servizio di Carlo Magno. La storia, densa di avvenimenti cavallereschi e di intrighi amorosi, è raccontata, in un manoscritto, da una certa Suor Teodora. Trattasi di una religiosa molto colta che aveva ricevuto questo singolare incarico dalla madre superiora del convento. I personaggi si muovono tra campi di grano oramai maturo, ma una fitta nebbia sembra rende tutti i contorni sbiaditi, quasi evanescenti.
Sulla scena prevale l’armatura di Agilulfo, coinvolto in mille imprese. Ma la sua natura in fondo che cos’è? Come può esistere un’esistenza in un cavaliere inesistente? In un mondo in cui l’apparenza è ciò che conta, Calvino si sofferma sull’essenza. Un valore che conta di più in ogni singola scelta. Il ritratto quindi dell’uomo di oggi che tra mille ostacoli deve in qualche modo inventarsi un futuro, credibile essenzialmente a sé. Due ore di spettacolo con attrici che si inseguono in dialoghi picareschi per narrare le gesta di un eroe destinato a dissolversi nel vuoto esistenziale. Una recitazione perfetta come perfetta è tutta la gestualità che accompagna l’intera azione. Un omaggio dovuto a un grande scrittore che con il suo impegno morale ha posto l’uomo al centro della storia e della società di oggi.
data di pubblicazione:22/11/2024
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Nov 20, 2024
Il Prof. Stern, affermato psicoanalista, convoca nel suo studio romano sei dei suoi pazienti, lo stesso giorno alla stessa ora. Trattasi di un banale equivoco o di una semplice burla nei loro confronti? Ognuno è affetto da un disturbo compulsivo che si manifesta in modi diversi. Ma come conciliare le loro palesi idiosincrasie in una sala d’attesa diventata claustrofobica? Parlando inevitabilmente di sé, la stramba compagnia mette in atto una sorta di terapia di gruppo con effetti a dir poco singolari…
Paolo Costella dirige per il grande schermo un’opera cinematografica senza pretese tratta da un soggetto decisamente non originale. La storia infatti nasce come pièce teatrale di Laurent Baffie dalla quale, a sua volta, lo spagnolo Vicente Villanueva aveva già realizzato il film Toc Toc. Il regista genovese ne ricava ora una commedia tutta all’italiana con un cast leggero e ben assortito. I personaggi impegnati in questo singolare incontro/scontro sono Claudio Bisio, Claudio Santamaria, Margherita Buy, Valentina Lodovini, Leo Gassmann, Ludovica Francesconi e inoltre Lucia Mascino, quest’ultima come segretaria dell’atteso professore. Dopo l’iniziale disappunto, ognuno manifesterà i propri disturbi di natura ossessiva che diventeranno motivo di attenzione e di condivisione da parte degli altri. Una vera e propria terapia di gruppo spontanea dove verranno affrontati i propri traumi e le proprie paure. Alla fine si arriverà alla conclusione che tutto si può affrontare e risolvere, basta parlarne. Un tema che il regista affronta con sottile ironia, in un’epoca nella quale lo stesso concetto di psicoanalisi è messo in crisi dall’opinione generale. Se si va in analisi si è spesso considerati se non proprio pazzi, almeno schizoidi da tenere alla larga. La commedia va avanti tra battute non proprio al massimo dell’originalità, spesso sopra le righe per alleggerire volutamente una situazione paradossale. Partendo da un’idea che poteva essere frizzante si è arrivati a un finale confuso e neanche scontato. Nonostante la buona volontà dell’intero cast, il soggetto stesso perde via via di tono per approdare a un risultato poco convincente. Una commedia agrodolce che ci suggerisce solo una benché minima considerazione dei traumi altrui, nella vaga speranza che siano prima gli altri ad accorgersi dei nostri.
data di pubblicazione:20/11/2024
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