FURIOSA: A MAD MAX SAGA di George Miller, 2024

FURIOSA: A MAD MAX SAGA di George Miller, 2024

Un mondo post apocalittico tornato allo stato primordiale. La giovane Furiosa (Alyla Browne da bambina, Anya Taylor-Joy da adulta) viene catturata da una banda di motociclisti guidati dal terribile ed egocentrico Dementus (Chris Hemsworth). Imparerà a sopravvivere in un mondo violento. Le prove forgeranno il suo carattere. Divenuta una guerriera cercherà di ritrovare la via di casa. Ha un’unica ossessione la vendetta …

Furiosa è stato presentato Fuori Concorso a Cannes ’24. Ritorna il mondo di Mad Max. Dall’inizio della trilogia con Mel Gibson sono passati ben 45 anni. Era il 1979. Un’Era Cinematografica fa! Siamo oggi al quinto capitolo della Saga. Un Universo che Miller ha saputo costruire film dopo film. Ogni volta ha esplorato e migliorato vicende e personaggi accennati nei lavori precedenti. Storie indipendenti ma complementari e collegate fra loro, senza mai ripetersi e con stili diversi. Sempre con ottimi risultati e successo di pubblico. Il pubblico che ama questo genere. Quest’ultima opera è visualmente magistrale, uno spettacolo palpitante, coinvolgente ed adrenalinico. Un action movie, un racconto iniziatico e di vendetta. Di fatto Furiosa è, al tempo stesso, seguito, prequel e spin off del cult Mad Max: a Fury Road (2015). E’, nella vera sostanza, la riproposizione in chiave post moderna di tutti gli stilemi dei vecchi e classici Western: spazi immensi, un convoglio, l’attacco, l’inseguimento e la vendetta… Un revenge movie pieno di idee narrative in cui l’autore esplora le origini e la crescita dei protagonisti, spiega le loro motivazioni e definisce così le basi dell’epopea mitologica.

Il cineasta australiano con la virtuosità, l’energia e l’audacia di un giovane di soli ottanta anni, conferma di essere un regista eccezionale, un grande narratore di storie in immagini. Limita i dialoghi al minimo e gioca con la cinepresa. La messa in scena è magistrale e dinamica. Le scene si susseguono fluidissime grazie ad un montaggio e ad un ritmo incalzante. La cura visuale ed i virtuosismi formali, le sequenze degli inseguimenti e le lotte sono curate al dettaglio e da manuale. Forse c’è anche qualche elisse narrativa di troppo e qualche effetto digitale non perfetto, ma è cercare il difetto per mera perversione critica. Al centro della narrazione ci sono la piccola Browne che regge il confronto con i suoi colleghi adulti; la Taylor-Joy che prende l’onere di succedere a Charlize Theron senza averne l’iconica fisicità e poi Hemsworth quasi irriconoscibile ma apprezzabile nel suo complesso ruolo istrionico e grottesco.

Furiosa è dunque un film singolare e spettacolare dal ritmo talmente sostenuto che le sue due ore e mezza volano via in un lampo. Un film da vedere assolutamente sui grandi schermi. Pur lontano dalle vette raggiunte nel capitolo precedente del 2015 risponde però a ciò che desidera vedere chi ama il genere cinematografico. Resta da vedere quanti sono fra il pubblico di oggi quelli che amano ancora il genere e se Miller riuscirà ancora una volta a vincere la sua scommessa con il botteghino.

data di pubblicazione:05/06/2024


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ROSALIE di Stéphanie Di Giusto, 2024

ROSALIE di Stéphanie Di Giusto, 2024

Francia 1875, Bretagna rurale. Rosalie (N. Tereszkiewicz) è affetta da irsutismo. Costretta ad una minuziosa rasatura giornaliera vive in solitudine e nasconde la diversità per timore del giudizio altrui. Sogna però una vita normale. Accetta il matrimonio combinato con l’ignaro Abel (B. Magimel), proprietario di un bistrot che, pieno di debiti, punta alla sua ricca dote. Respinta la notte delle nozze, Rosalie decide comunque di vivere la sua vita e…

Lo dicevamo già nel 2018 recensendo Tutti gli uomini di Vittoria. Lo ribadiamo ancora una volta. Il Cinema d’Oltralpe continua ad essere un cinema al femminile, in cui dominano e vengono disegnate sempre nuove e interessanti figure di donna. Presentata nella Sezione Un Certain Regard a Cannes ’23, l’opera seconda della giovane cineasta francese ci propone la storia di una donna piena di contraddizioni e dallo strano destino. Una delicata e toccante esperienza cinematografica per riflettere sulla diversità, l’apparenza, l’identità e la dignità dell’individuo, sul giudizio degli altri e sull’accettazione di sé. Ispirato a un fatto vero, il film non si allinea alla categoria dei biopic. La regista affronta invece la vicenda come una storia d’Amore. Trasporta i fatti alla fine del XIX secolo in una Francia profonda ed ancora socialmente retrograda. Al centro una donna fuori dal comune che rifiuta lo stato di fenomeno da baraccone e rivendica, al contrario, la sua femminilità. Un essere umano tenero e coinvolgente, anche se il suo difetto estetico tanto attrae quanto respinge. Una donna che vuole vivere la propria identità e farsi accettare per quello che è. Siamo molto lontani dal cinismo de La donna scimmia di Ferreri, semmai c’è un’eco lontana di The Elephant Man di Lynch.

Il film non indugia più di tanto sul segreto. Pur respinta fisicamente dal marito, Rosalie, con un sorprendente approccio ribelle, cessa di radersi e gli si affianca nella gestione del bistrot, puntando sulla curiosità dei paesani. La piccola comunità reagisce fra il divertimento ed il rifiuto. La situazione economica cambia e gli affari vanno bene. Cambia pian piano anche lo sguardo con cui Abel, con sorpresa e crescente timore, vede Rosalie e il suo charme femminile al di là dell’apparenza barbuta. L’amore e l’attrazione iniziano a farsi strada, sia pur confusamente.

Vera chiave di volta del film è l’interpretazione di alto livello dei due protagonisti. Magimel presta la sua fisicità tanto imponente quanto fragile interiormente. La Tereszkiewicz, già apprezzata in Mon crime di Ozon, è talentuosa, convincente e sensibile. Come sempre nei film francesi, ottimi i secondi ruoli. La messa in scena e la regia sono apprezzabili. Qualche approccio è troppo classico ma è un peccato veniale e si può perdonare, così come qualche anacronismo e discordanza comportamentale nella sceneggiatura. La Di Giusto usa la cinepresa con delicatezza, filma paesaggi sublimi e crea un’atmosfera poetica ed atemporale. Le inquadrature strette sui volti ci consentono di cogliere le emozioni intime. Il tutto senza coloriture eccessive e senza mai scivolare nel mélo.

Rosalie è un film che sorprende e commuove, femminile senza essere femminista. Un’opera di apprezzabile bellezza formale che affronta con finezza un caso particolare e lo trasforma in un tema universale, celebrando la diversità.

data di pubblicazione:01/05/2024


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CANNES 77 – Vincitori e Vinti, 2024

CANNES 77 – Vincitori e Vinti, 2024

Si è appena chiusa la grande Kermesse che per due settimane ha ruotato attorno alla Competizione Ufficiale sulla Croisette. Si ripete puntuale la solita storia di tutti i grandi Festival. False voci, illusioni, delusioni, film inutili, belle sorprese e contestazioni. I pronostici sono sempre scritti sull’acqua. E’ ormai consolidato il divorzio fra Critica, Giuria e Pubblico. Ognuno procede per conto proprio. Resterà da vedere poi quale sarà il vero giudizio finale, quello degli spettatori al botteghino. Tutto era già nell’aria. Si diceva infatti che la Giuria presieduta dalla Gerwig sarebbe stata imprevedibile. E lo è stata! Una scelta finale, la sua, che pone dubbi su quali siano stati i valori cinematografici di riferimento. A generare sorpresa trionfa infatti una produzione Indy. Quel Cinema Indipendente americano tanto caro alla regista di Barbie. Forse sarà pure il cinema del Futuro ma quest’anno in Concorso c’erano altri film che avrebbero meritato il massimo premio.

La Palma d’Oro è quindi andata ad Anora di Sean Baker. Un film, ha dichiarato la Gerwig, “pieno di umorismo e di umanità”. Anche la Generazione Z ha così diritto alle sue favole! La storia di una sex worker, una Cenerentola dei nostri giorni, una Pretty Woman di Brooklyn con un finale meno hollywoodiano di quella del 1990. Una gradevole favola che, volendola proprio premiare, avrebbe più correttamente meritato un riconoscimento minore.

Il resto del Palmares è:

Grand Prix a All we imagine as light dell’indiana Payal Kapadia. Una storia trasognata dell’amicizia di tre donne a Mumbay;

Premio della Giuria a Emilia Perez di Jacques Audiard. Un imprevedibile thriller, un mélo sotto forma di musical. Un’idea geniale di un grande autore che sfugge a tutti i cliché;

Premio Speciale della Giuria a The Seed of the Sacred Fig dell’esule iraniano Mohammad Rosoulof. Un omaggio alle giovani iraniane che manifestano per la libertà a rischio della vita;

Premio Migliore Regia al portoghese Miguel Games per Grand Tour. Un film tra passato e presente, un tour attraverso l’Oriente di due innamorati che si cercano e si sfuggono;

Premio Migliore Sceneggiatura a The Substance della francese Coralie Fargeat. Un body-horror sul culto della bellezza e della giovinezza, con una rediviva Demi Moore;

Premio Migliore Attrice alle quattro protagoniste del bellissimo Emilia Perez;

Premio Migliore Attore a Jesse Plemons per la sua triplice interpretazione in Kinds of Kindness.

Fra i non premiati, ma degni di attenzione, segnaliamo:

Kinds of Kindness di Y. Lanthimos, in cui il regista ritorna alla matrice grottesca e surreale dei suoi esordi; Megalopolis di F.F. Coppola, B-movie fantasmagorico di un Autore che ha fatto la Storia del Cinema e Horizon di K. Costner, un western, una imperdibile opportunità per chi ama il genere.

E il Cinema Italiano? Purtroppo per Paolo Sorrentino l’abilità diplomatica di Favino in giuria nulla ha potuto. Forse le nostre storie non riescono ad avere quel valore universale che può colpire. Il film però non potrà non essere visto e forse meglio apprezzato.

Unico successo in qualche modo “italiano” è stato quello de I Dannati di Roberto Minervini nella sezione Un Certain Regard. Il cineasta vive e lavora da 24 anni negli Stati Uniti e il suo atipico western è un apologo sull’insensatezza di ogni guerra.

Insomma, una grande abbuffata di film, forse troppi. Al di là dei casi individuali, la presenza di tanti mostri sacri ancora attivi e di giovani talenti emergenti confermano che il Cinema è vitale. Come ha detto F.F.Coppola… Vive le Cinéma!

data di pubblicazione:26/05/2024

 

MARCELLO MIO di Christophe Honoré, 2024

MARCELLO MIO di Christophe Honoré, 2024

Parigi, durante un casting Chiara Mastroianni viene invitata dalla regista Nicole Garcia a recitare cercando di essere “meno Catherine e più Marcello”. Frustrata dal continuo confronto con i genitori, stanca di essere “la figlia di…” Chiara è alla ricerca della propria identità. Catarticamente affronta la crisi esistenziale e professionale appropriandosi dell’identità, del look e degli atteggiamenti del padre. Si veste e si fa chiamare come lui: Marcello …

 

In concorso a Cannes ’24, esce sugli schermi, distribuito dalla LUCKY RED il film Marcello Mio. Si rinnova ancora una volta dopo L’Hotel degli amori perduti (2019) il sodalizio artistico fra lo scrittore, regista e sceneggiatore francese e Chiara Mastroianni. L’occasione è il centenario della nascita di Marcello Mastroianni. Un tenero omaggio al grande attore scomparso nel 1996.

L’estroso spunto iniziale può far pensare di primo acchito ad una commedia sul trasformismo o al solito film nel film. In realtà Honoré abilmente in bilico fra realtà e fiction continua la sua ricerca sui temi a lui cari dei rapporti familiari e sulla “mancanza”. Una riflessione sulla nostalgia, l’amore, la morte e la vita. Lo fa, da par suo intelligentemente, osservando con fantasia dolce-amara il mestiere dell’attore e le implicazioni che il recitare genera sugli equilibri psichici, sui sentimenti, sugli affetti e sui ricordi. Lo fa con grazia, con poesia ed ironia, trasformando una realtà molto particolare e privata in un racconto di valore universale.

L’atmosfera narrativa tanto buffa quanto poeticamente suggestiva è in equilibrio fra realtà e sogno. Il regista, fra infinite citazioni cinefile, tiene saldamente in pugno la direzione, supportato da una sceneggiatura fantasiosa ma ottimamente scritta e ritmata. La messa in scena e l’ambientazione è circoscritta al gruppo di amici parigini della famiglia Deneuve-Mastroianni. Ognuno di essi reagisce in modo diverso alla sorprendente decisione di Chiara di rivestire i panni del padre Marcello e di assumerne i comportamenti ed i tratti caratteriali. Quasi una metaforica recherche del padre perduto. Chiara Mastroianni è ovviamente al centro di tutto. Con talento, stile, sensibilità ed autenticità supera la difficile sfida di essere se stessa e… Marcello. Veramente affascinante nella trasformazione! Attorno a lei e con lei ci sono: Nicole Garcia, Melvil Poupaud, Benjamin Biolay, Fabrice Luchini e ovviamente Catherine Deneuve. Tutti recitano se stessi in una versione gioiosamente un po’ esagerata ma complici sinceri e giusti. Su tutti spicca Luchini che con verve ironica ed a tratti sottile comicità interpreta l’attore, l’amico con cui confidarsi. L’unico che accetta, comprende e condivide complice la scelta di Chiara.

A parte una lunghezza forse un poco eccessiva e la forte dissonanza con il resto del film della breve esperienza romana Marcello Mio è un buon film non privo di charme ed una bella evocazione di Marcello Mastroianni. Un’opera sulla Memoria e sul Cinema, ben recitata da attori di gran pregio, diretta con delicatezza, equilibrio, humour e sincerità.

data di pubblicazione:22/05/2024


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IL CASO GOLDMAN di Cédric Kahn, 2024

IL CASO GOLDMAN di Cédric Kahn, 2024

Francia 1976. Pierre Goldman ebreo, intellettuale e militante di estrema sinistra già condannato all’ergastolo per quattro rapine a mano armata è sottoposto a nuovo processo per due omicidi avvenuti durante l’ultima. Si proclama innocente con irruenza provocatoria divenendo un’icona politica. L’approccio ideologico è in contrasto con la strategia del suo giovane avvocato. Rischia così la ghigliottina …

Dopo Anatomia di una caduta ecco un nuovo film processuale francese. Altrettanto interessante e coinvolgente anche se molto diverso nella forma. Kahn rievoca il famoso e tumultuoso processo Goldman. Personalità carismatica ed affascinante l’imputato utilizzò l’aula per denunciare la Polizia di antisemitismo ed accusare il Sistema Giudiziario e tutto l’Establishment francese. Il regista avrebbe potuto tranquillamente scegliere la via convenzionale del biopic. Preferisce invece concentrarsi sul dibattimento vero e proprio. Coerentemente, fatto salvo un breve prologo, il racconto si svolge tutto nell’aula giudiziaria. Una scelta rischiosa. Una scelta che però offre al cineasta l’opportunità di una direzione e di una messa in scena classiche nella forma ma del tutto originali nella sobrietà e nella precisione. Una ricostruzione priva di qualsiasi artificio (filmati, flashback, voix-off…).

I film processuali traggono forza e fascino dalla capacità con cui la regia riesce a rendere apprezzabile il predominio della parola sull’immagine. Il processo è un teatro ove ognuno rappresenta la propria verità. Le opposte versioni vengono narrate attraverso le diverse capacità dialettiche. Mettendo in scena solo l’aula, Kahn si concentra unicamente su ciò che viene detto. Un film verboso? Tutt’altro. L’autore sa bene utilizzare il fascino delle parole restando sempre in un contesto cinematografico. Un gioco abilissimo di alternanze di campo e controcampo e di piani ravvicinati resi tutti incisivi e dinamici da un ritmo serratissimo e da un montaggio perfetto. È evidente il riferimento a capolavori come L’Affaire Dreyfus e, soprattutto, la Passione di Giovanna d’Arco di Dreyer. La scelta compositiva di un formato di immagine di 4/3 che riduce lo schermo, le inquadrature fisse sui soggetti o sui volti sottolineano il rimando ai classici del passato ma servono anche a rafforzare la logica narrativa. L’unica vera azione nel film sono infatti le parole pronunciate o urlate.

Il regista con intelligenza non prende alcuna posizione di parte né pretende di fare una ricostruzione fedele dei fatti. Trascende dalla vicenda e vuole piuttosto riflettere su un passato in cui risuonano echi di un presente. Una riflessione sulla Giustizia, sui vincoli culturali, sul razzismo occulto e, soprattutto sulla fragilità dei ricordi e delle certezze. La difficoltà di fare Giustizia e di fare emergere la Verità.

Come in Anatomia di una caduta la Giustizia è un problema di punti di vista! A chi credere? Lo spettatore è lasciato solo, nella stessa difficile situazione dei giurati e con lo stesso peso di coscienza.

Il Caso Goldman è un lavoro riuscito, un film autoriale di dialoghi ed altissima recitazione. Un dramma teso ed asciutto che brilla per le sue qualità di scrittura. Un’opera di grande intensità, coinvolgente e mai noiosa che continua a risuonarci dentro anche parecchio tempo dopo averla vista.

data di pubblicazione:21/05/2024


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