DAVID DI DONATELLO 2018

DAVID DI DONATELLO 2018

La cerimonia dei David di Donatello torna su RAI 1, affidata alla “istituzionale” conduzione di Carlo Conti. In prima serata, come si conviene agli spettacoli che contano.

La cerimonia è impreziosita dai David alla carriera a Stefania Sandrelli, Steven Spielberg e Diane Keaton e, soprattutto, dall’omaggio che le stelle del cinema americano hanno voluto tributare al talento dei cineasti italiani e alla grande bellezza di Roma. Roma che Spielberg vede per la prima volta con la guida illustre di Federico Fellini, Roma che risuona nelle note intonate a cappella da Diane Keaton, Roma che ferita dalla politica non smette di brillare attraverso il cinema.

Trionfo per Ammore e malavita dei Manetti Bros, che, forse a sorpresa, diviene il film mattatore della serata, aggiudicandosi anzitutto il David più prestigioso, quello per il miglior film. Tra gli altri premi conquistati dall’incantevole musical partenopeo, non potevano mancare i David musicali: Pivio e Aldo De Scalzi sono i migliori musicisti e Bang bang (musica di Pivio e Aldo De Scalzi, testo di Nelson, interpretata da Serena Rossi) è la migliore canzone originale.

Il miglior regista è invece Jonas Carpignano per A Ciambra, film premiato anche per il miglior montatore Affonso Gonçalves. Jonas Carpignano, ricevendo il premio da Pierfrancesco Favino, ricorda che ha iniziato a lavorare nel cinema italiano portando sul set il caffè proprio a quello che, oggi, gli porge la preziosa statuetta.

I migliori attori protagonisti della scorsa stagione cinematografica sono Jasmine Trinca (Fortunata) e Renato Carpentieri (La tenerezza). Al discorso orgogliosamente femminile e femminista di Jasmine Trinca, ideale portavoce del movimento “Dissenso comune”, fa da contraltare la (più?) sincera commozione di Renato Carpentieri, che consegna alla cerimonia dei David uno dei messaggi che meglio fotografano la scommessa su cui si gioca il futuro del cinema, non solo italiano: bisogna prendersi qualche rischio, ogni tanto, perché possa venire fuori un bel film.

I premi per i migliori attori non protagonisti vanno a Claudia Gerini per Ammore e Malavita e al Maestro Giuliano Montaldo per Tutto quello che vuoi.

Il David per il miglior regista esordiente è invece assegnato a Donato Carrisi per La ragazza della nebbia.

Susanna Nicchiarelli, dopo il trionfo all’ultima Mostra di Venezia, si aggiudica il premio per la miglior sceneggiatura originale per Nico, 1988, che condivide idealmente con la sua produttrice Marta Donzelli.

Nella giornata dedicata alla vittime innocenti di mafia, assume un significato simbolico il premio per la migliore sceneggiatura originale a Sicilian ghost story, che racconta la storia del piccolo Giuseppe di Matteo.

Gatta Cenerentola conquista il David per il miglior produttore (Luciano Stella e Maria Carolina Terzi per Mad Entertainment e Rai Cinema) e quello per i migliori effetti speciali (Mad Entertainment): la scommessa di un film di animazione italiano, dunque, può dirsi vinta.

Piera Dettassis, neo Presidente dell’Accademia dei David di Donatello, sottolinea la varietà del cinema italiano premiato durante la serata: tanti generi (dall’animazione al cinema del reale), ma anche tante lingue (dai dialetti all’accento “straniero” di Jonas Carpignano). E tante donne, seguendo la scia dei movimenti “Metoo” e “Dissenso comune”. Del resto “La regia è femmina!”, ricorda Anselma dell’Olio ritirando il premio per La lucida follia di Marco Ferreri, miglior documentario. Il cinema deve solo accorgersene.

Riportiamo qui di seguito l’elenco completo dei premi assegnati:

Miglior film: Ammore e malavita, regia di Manetti Bros.
Miglior regista: Jonas Carpignano con A Ciambra
Miglior regista esordiente: Donato Carrisi per La ragazza nella nebbia
Migliore sceneggiatura originale: Susanna Nicchiarelli per Nico, 1988
Migliore sceneggiatura adattata: Fabio Grassadonia e Antonio Piazza per Sicilian Ghost Story
Miglior produttore: Luciano Stella e Maria Carolina Terzi per Mad Entertainment e Rai Cinema per Gatta Cenerentola
Migliore attrice protagonista: Jasmine Trinca per Fortunata
Miglior attore protagonista: Renato Carpentieri per La tenerezza
Migliore attrice non protagonista: Claudia Gerini per Ammore e Malavita
Miglior attore non protagonista: Giuliano Montaldo per Tutto quello che vuoi
Migliore autore della fotografia: Gian Filippo Corticelli per Napoli velata
Miglior musicista: Pivio e Aldo De Scalzi con Ammore e malavita
Migliore canzone originale: Bang bang (musica di Pivio e Aldo De Scalzi, testo di Nelson, interpretata da Serena Rossi) con Ammore e malavita
Miglior scenografo: Deniz Gokturk Kobanbay, Ivana Gargiulo per Napoli Velata
Miglior costumista: Daniela Salernitano per Ammore e malavita ex-aequo Massimo Cantini Parrini per Riccardo va all’inferno
Miglior truccatore: Marco Altieri per Nico, 1988
Miglior acconciatore: Daniela Altieri per Nico, 1988
Miglior montatore: Affonso Gonçalves per A Ciambra
Miglior suono: Adriano Di Lorenzo, Alberto Padoan, Marc Bastien, Éric Grattepain, Franco Piscopo per Nico, 1988
Migliori effetti digitali: Mad Entertainment per Gatta Cenerentola
Miglior documentario di lungometraggio: La lucida follia di Marco Ferreri di Anselma Dell’Olio
Miglior cortometraggio: Bismillah di Alessandro Grande.
Miglior film dell’Unione Europea: The Square
Miglior film straniero: Dunkirk
David speciale Life Achievement Award 2018:: Steven Spielberg
David speciale: Stefania Sandrelli
David speciale: Diane Keaton

data di pubblicazione: 22/03/2018

FINAL PORTRAIT – L’ARTE DI ESSERE AMICI di Stanley Tucci, 2018

FINAL PORTRAIT – L’ARTE DI ESSERE AMICI di Stanley Tucci, 2018

La sofferenza del processo creativo di un artista geniale, ma anche la sua fragilità emotiva e sentimentale. Il “ritratto” di Alberto Giacometti, tratteggiato con sapiente maestria da Stanley Tucci, è un affresco potente e, al tempo stesso, delicato di uno degli artisti più rappresentativi del secolo scorso.

James Lord (Armie Hammer, nelle sale anche per Chiamami col tuo nome), giovane scrittore americano in visita a Parigi, incontra Alberto Giacometti (Geoffrey Rush), pittore e scultore svizzero: la parabola umana di Giacometti sta volgendo al termine, ma la sua fama gode già di quel clamore che, consolidatosi nei decenni successivi, lo collocherà tra gli artisti maggiormente rappresentativi del Novecento.

Giacometti chiede a Lord di posare per un ritratto. Il giovane accetta con orgoglioso entusiasmo, ma ancora non sa quanto faticoso possa risultare il ruolo del “modello” di Giacometti. Come una bizzarra Penelope (così, sulle pagine di Accreditati, Kalibano), l’artista disfa continuamente quella che già sembrerebbe una pregevole opera d’arte. Il successo, del resto, è il terreno migliore sul quale coltivare i dubbi, anche se la perenne insoddisfazione di Giacometti diviene il motore più propulsivo della sua creatività artistica.

Accanto all’arte, c’è poi la vita privata di Giacometti. Il talento artistico è inversamente proporzionale alla maturità sentimentale ed emotiva: la sua musa ispiratrice è una prostituta (Clémence Poésy), ma Alberto non potrebbe fare a meno della moglie (Sylvie Testud) e del fratello (Tony Shalhoub), che lo supportano e lo sopportano con benevola comprensione. Il binomio “genio e sregolatezza” si trova ridotto a quello, più prosaico, “genio e fragilità emotiva”.

Con Final Portait, presentato fuori concorso alla scorsa edizione della Berlinale e tratto dal libro Ritratto di Alberto Giacometti scritto dallo stesso James Lord, il regista Stanley Tucci conduce lo spettatore nell’atelier bohémien di Giacometti e, soprattutto, tra le pieghe affascinanti e misteriose del processo creativo che guida la mente e le mani di un genio. Non si tratta di un biopic, come chiarisce il regista durante l’incontro con la stampa presso il cinema Quattro Fontane di Roma: un biopic rischia di ridursi a una mera carrellata asettica di fatti, mentre in questo caso è la “straordinaria quotidianità” dell’artista che emerge prepotentemente dallo schermo.

Geoffrey Rush è semplicemente perfetto mentre lascia correre le mani lungo le linee, ormai celeberrime, di quelle sculture filiformi fuori dal tempo e mentre riproduce la instabile emotività di Giacometti, all’inizio affabile e persino ironico, poi nevrotico, ansioso e depresso.

I movimenti di camera, mai eccessivi, conferiscono dinamismo all’immagine statica dell’atelier polveroso eppure splendente.

Una prova convincente, dunque, quella di Stanley Tucci e un film che certamente non lascia indifferenti.

data di pubblicazione: 9/2/2018


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DOWNSIZING di Alexander Payne, 2018

DOWNSIZING di Alexander Payne, 2018

E se la soluzione al sovraffollamento mondiale e all’imminente fine del nostro Pianeta fosse quella di rimpicciolire i suoi abitanti? Tanti Minuscoli, con meno bisogni, meno affanni e una nuova vita a portata di mano. Riusciranno i nostri (piccoli) eroi nell’impresa di salvare la Terra? 

Rimpicciolire il mondo e i suoi abitanti per salvare entrambi. Downsizing di Alexander Payne (Sideways – In viaggio con JackParadiso Amaro) muove da un’idea tanto semplice quanto potenzialmente dirompente. Degli scienziati norvegesi mettono a punto una tecnica di riduzione cellulare capace di trasformare (anche) gli essere umani in uomini minuscoli: riducendo le dimensioni del corpo scompare anche la massa di rifiuti che sta soffocando il nostro Pianeta e convertendo la popolazione mondiale in un esercito di Minuscoli, quindi, il sovraffollamento che sta conducendo ineluttabilmente alla distruzione della Terra potrebbe risolversi. I piccoli uomini hanno anche piccoli bisogni di tipo economico e questo, se da un lato li sottrae al “cerchio magico” dell’economia globale, dall’altro lato consente alla classe media di sperimentare il brivido della ricchezza. I Minuscoli, nelle comunità loro riservate, possono vivere in case da sogno, indossare diamanti e persino smettere di lavorare. Anche Paul Safranek (Matt Damon) e sua moglie Audrey (Kristen Wiig) decidono di sottoporsi al trattamento e di concedersi il lusso di una vita da sogno.

L’ingresso nella camera di rimpicciolimento (volevo che somigliasse a un gigantesco microonde, precisa Payne) somiglia in tutto e per tutto a una (ri)nascita, ma non serve molto tempo a rendersi conto che non è tutto oro quello che luccica. Persino l’Eldorado in scala non riesce ad evitare il formarsi (spontaneo?) di periferie e di classi sociali che vivono ai margini. Senza contare che la fine del mondo si avvicina a un ritmo sempre più incalzante, costringendo la prima comunità di Minuscoli ad escogitare un nuovo espediente che funzioni da Arca di Noè: l’obiettivo è sempre (solo?) quello di assicurare che quell’improbabile creatura che è l’essere umano possa continuare la sua straordinaria avventura.

Dopo un avvio in gran carriera, Downsizing, che ha aperto la 74. Mostra d’arte cinematografica di Venezia, diventa un crogiolo di episodi, personaggi e “morali della favola” non sempre ben amalgamati. Il cast (straordinari Christoph Waltz e Hong Chau) è di tutto rispetto costruito, ma la sceneggiatura è troppo ingombrante persino per le loro spalle robuste.

Il racconto apocalittico affidato ai toni della commedia grottesca (in perfetto “stile Payne”, che in conferenza stampa non fa mistero del suo amore per Cechov) insieme alla riflessione sui temi ambientali potevano risultare un binomio vincente. L’impressione, tuttavia, è quella per cui Downsizing, è il caso di dirlo, non abbia preso bene le misure.

data di pubblicazione: 25/01/2018


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ELLA & JOHN – THE LEISURE SEEKER di Paolo Virzì, 2017

ELLA & JOHN – THE LEISURE SEEKER di Paolo Virzì, 2017

L’amore di fronte alla sofferenza e alla vecchiaia: Ella e John, in salute e in malattia, nella buona e nella cattiva sorte, a bordo del fedele Leisure Seeker per continuare a scrivere insieme il romanzo della loro vita.

Ella e John (Helen Mirren e Donald Sutherland) spariscono dalla casa di Wellsley (Massachusetts) a bordo del fedele Leisure Seeker (letteralmente “cercatore di svago”), il camper che li ha guidati attraverso le vacanze della gioventù. È un caravan malandato, spossato dall’implacabile scorrere del tempo, ma ancora desideroso di divorare la Route 1 della East Coast. La destinazione, del resto, vale lo sforzo: Key West, casa di Ernest Hemingway, lo scrittore che John, professore di inglese, ama in maniera incondizionata e viscerale.

La mente di John non è più lucida come una volta: dimentica nomi e persone, sprofonda spesso nel passato confondendolo con il presente, “tornando” da sua moglie solo in rari e meravigliosi momenti regalando solo in rari momenti ad Ella il suo sorriso si illumina all’improvviso. Ella è malata di cancro: le invasive e dolorose terapie cui dovrebbe sottoporsi possono solo rallentare il decorso di una malattia giunta a uno stadio troppo avanzato perché possa essere sconfitta.

Ella decide di scegliere. Si è liberi (anche liberi di scegliere) quando non si ha nulla da perdere. Sceglie allora di esaudire il desiderio di John e di guidarlo fino alla residenza di Hemingway, senza permettere a nessuno, neppure ai suoi figli, di impedire che Leisure Seeker si metta in moto per una nuova avventura. Il risultato è un road movie che richiama inevitabilmente alla mente La pazza gioia, ma il primo film americano di Paolo Virzì, presentato alla 74. Mostra d’arte cinematografica di Venezia, è ancora più intimo, intenso, commosso e commovente. Il viaggio, come al solito, diviene lo strumento che consente ai due protagonisti di guardare negli occhi la vita trascorsa (insieme), bloccato in quelle diapositive in bianco e nero che Ella proietta la sera per esercitare la memoria di John. Helen Mirren e Donald Sutherland sono semplicemente strepitosi. La prima restituisce pienamente la forza e la fragilità di una donna decisa a non lasciare che la malattia annienti anche la sua dignità, il secondo indossando la maschera dell’alter ego entro cui la demenza imprigiona la mente e il volto di John. Il tutto tenuto insieme da un amore imperfetto eppure inossidabile tra un uomo e una donna che, senza retorica alcuna, sono diventati nel tempo “una cosa sola”. Quando Ella, che pure sembrerebbe il lato “forte” della coppia”, si trova in difficoltà, il suo eroe John accorre a salvarla, come un leone, come quei leoni tanto cari al pescatore de Il vecchio e il mare.

Al talento del regista e a quello dei protagonisti si aggiunge la gradevole perfezione di una sceneggiatura in cui tutto sembra accadere al punto giusto e che accompagna lo spettatore attraverso un crescendo narrativo emotivamente travolgente e che, sul finale, restituisce l’impressione di un’armonica chiusura del cerchio. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Michael Zadoorian e la sceneggiatura è firmata, oltre che da Paolo Virzì, da Francesca Archibugi, Stephen Amidon e Francesca Piccolo.

data di pubblicazione: 18/01/2018


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NAPOLI VELATA di Ferzan Ozpetek, 2017

NAPOLI VELATA di Ferzan Ozpetek, 2017

Eros e Tanatos, bellezza e mistero, esoterismo e malaffare, presente e passato, realtà e illusione: la grande bellezza di Napoli fa da sfondo al nuovo film di Ferzan Ozpetek, che si apre con una sequenza “senza veli” e si chiude nella Cappella del Cristo velato.

Adriana (Giovanna Mezzogiorno) è un’anatomopatologa che si divide tra le autopsie dei cadaveri e le eleganti feste organizzate da sua zia (Anna Bonaiuto). Proprio durante uno di questi rendez-vous intellettuali, Adriana incontra Andrea (Alessandro Borghi): un intenso scambio di sguardi, poche parole prive di sovrastrutture convenzionali e poi l’indimenticabile notte di passione trascorsa a casa di Adriana, con la lunga e “compiaciuta” scena “senza veli” che ha reso famoso il film fin dall’altrettanto intenso battage pubblicitario precedente alla sua uscita. Non sembra solo l’incontro di una sera, visto che Andrea le dà appuntamento per il giorno stesso al Museo Archeologico di Napoli. Il ragazzo non si presenterà mai a quell’appuntamento e poche ore dopo Adriana si troverà a svolgere l’autopsia del suo cadavere deturpato. È difficile elaborare il lutto e ancor più difficile è rassegnarsi all’abbandono e al distacco, specie se, per farlo, si rende necessario “svelare” anche il proprio passato e guardarlo finalmente negli occhi.

Eros e Tanatos si rincorrono nel nuovo film di Ferzan Ozpetek, perdendosi nei labirinti dell’arte, dell’esoterismo e del mistero che avvolgono Napoli e i suoi abitanti. Siamo lontani da quella “Napoli criminale” divenuta immancabile stereotipo cinematografico e televisivo: la città mostra allo spettatore il suo volto raffinato e borghese, nel quale anche la criminalità diviene ricercata e sofisticata, con “la grande bellezza partenopea”, specie quella più nascosta, che si rende sfondo prezioso dell’intero film.

La storia raccontata da Ferzan Ozpetek illude e inganna, conducendo a un finale, non a caso girato nella Cappella del Cristo Velato, con gli apparenti punti fermi che si traducono in altrettanti interrogativi. Il tema dello sguardo è ricorrente: gli occhi che non vedono, gli occhi che vedono troppo, gli occhi che mentono, gli occhi che consolano, gli occhi chiamati a fare i conti con quel velo che si alza, ma mai fino in fondo.

Le sequenze più riuscite sono indubbiamente quelle in cui riemerge la coralità che rende Ozpetek un autentico Maestro del “cinema senza protagonisti”. Il film, almeno per certi aspetti, restituisce l’impressione di troppa carne al fuoco che non sempre riesce a raggiungere la cottura ideale. In qualche caso il regista, forse per assecondare l’incedere incalzante della storia, rischia di “strafare”, di voler caricare il film di simbolismi eccessivi che però restano eccessivamente incompiuti. Nonostante ciò Napoli velata resta un esperimento interessante, appassionate e appassionante, che consente di voltare pagina dopo la parentesi di Rosso Instabul.

Il cast di Ozpetek, come al solito, è impeccabile: superbi Peppe Barra e Luisa Ranieri, inquiete e inquietanti al punto giusto Isabella Ferrari e Lina Sastri, ottima Anna Bonaiuto nel ruolo di matrona del gruppo, convincente anche Maria Pia Calzone, che si scrolla di dosso i panni della donna Imma di Gomorra per indossare quelli di un disincantato commissario di polizia.

Memorabile la prova di Giovanna Mezzogiorno, che non fa certo rimpiangere i bei tempi de La finestra di fronte. Quanto ad Alessandro Borghi, la sua interpretazione, forse, non sarà ricordata (solo) per l’intensità dello sguardo.

data di pubblicazione: 30/12/2017


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