BESTIE DI SCENA, ideato e diretto da Emma Dante

BESTIE DI SCENA, ideato e diretto da Emma Dante

(Teatro Argentina – Roma, 13/22 ottobre 2017)

Quattordici attori nudi sul palco. Quattordici uomini e donne fuggiti dalla costrizione delle convenzioni e delle eterodirezioni. Quattordici persone che non saranno più disposte a tornare indietro.

Un racconto senza storia, la faticosa emancipazione da ogni forma di sovrastruttura ed eterodirezione: gli attori si spogliano delle proprie vesti e, dopo aver fatto i conti con il senso del pudore e con la vergogna, si abbandonano alla propria nudità. Impauriti e disarmati reagiscono agli stimoli del palco lasciandosi guidare dall’istinto. A mano a mano che si perdono, scoprono il coraggio di ritrovarsi, per poi difendere gelosamente la libertà così faticosamente conquistata.

Con Bestie di scena il teatro di Emma Dante raggiunge uno degli approdi più meravigliosamente compiuti. Il corpo, da sempre al centro della sua ricerca artistica, diviene il protagonista indiscusso della scena. La capacità degli attori di controllare i propri movimenti e di inserirli nella sinfonia del gruppo è semplicemente impressionante.

La regista ha dichiarato che il suo intento iniziale era quello di raccontare il mestiere dell’attore, trovandosi poi a dirigere una piccola comunità di esseri primitivi, spaesati, fragili, “imbecilli”: alla fine, detto altrimenti, Emma Dante si è trovata a raccontare il mestiere dell’uomo che prova a farsi persona, che fugge dalle imposizioni e delle convenzioni, che riscopre, non senza traumi, il valore di una libertà primordiale vissuta però non in maniera individuale e individualistica, ma nella condivisione con i propri simili.

Non ci sono dialoghi in Bestie di scena e durante lo spettacolo la nudità degli attori diviene progressivamente l’elemento meno significativo della rappresentazione. A prendere il sopravvento sono l’armonia dei suoni, la perfezione dei movimenti, la dosimetria delle luci che solo in rare occasioni lascia il pubblico al buio e, quindi, distante dal palco.

Il nuovo spettacolo di Emma Dante è un’esperienza sensoriale che non lascia indifferenti. È il gioiello di un’artista che rende riconoscibile la sua cifra, ma che riesce ogni volta a superare se stessa. È l’emblema di un teatro che non si può descrivere, ma solo ammirare.

Pienamente meritati, dunque, gli interminabili applausi che hanno riempito il Teatro Argentina di Roma in occasione della prima.

data di pubblicazione: 14/10/2017


Il nostro voto:

LA LEGGENDA DEL PESCATORE CHE NON SAPEVA NUOTARE di Agnese Fallongo, regia di Alessandra Fallucchi

LA LEGGENDA DEL PESCATORE CHE NON SAPEVA NUOTARE di Agnese Fallongo, regia di Alessandra Fallucchi

(Teatro Quirino – Roma, 1/2 ottobre 2017)

 Quattro attori, quattro protagonisti, quattro storie nel Sud Italia della prima metà del Novecento e della seconda guerra mondiale.

Arturo è un pizzaiolo romano, del quartiere “borgataro” Garbatella, che ama le donne e gli stornelli.

Maria è una giovane palermitana che sogna di ballare, ma alla quale la guerra porterà via l’innocenza e i passi di danza.

Reginella è una ragazza napoletana che dietro l’esuberanza nasconde la fragilità di un cuore spezzato.

Mamozio è un pescatore calabrese che si vede costretto a continuare l’attività di famiglia: ama il mare, ma non sa nuotare.

Le storie si alternano, affidate ora al discorso indiretto dei protagonisti ora a dialoghi veri e propri ora agli strumenti e alle musiche che segnano il ritmo dell’Italia meridionale. Sul palco sono in quattro, ma sembrano molti di più: Eleonora De Luca, Agnese Fallongo, Teo Guarini, Domenico Macrì recitano, cantano, ballano, coinvolgono il pubblico.

Il fascino della quotidianità e l’eccezionalità della normalità irrompono sul palco, accendendo i riflettori su un passato che sembra remoto ma in realtà è fin troppo prossimo. I sentimenti, i sogni, le speranze, la voglia di riscatto, in fin dei conti, restano gli stessi malgrado il passare dei decenni e dei secoli.

La leggenda del pescatore che non sapeva nuotare nasce dalle interviste realizzate da Agnese Fallongo durante i suoi “viaggi” in un’Italia che ha ancora molto da raccontare e da insegnare. Il risultato è uno spettacolo musicale gradevolmente sincero e piacevolmente riflessivo.

data di pubblicazione: 1/10/2017


Il nostro voto:

L’INGANNO di Sofia Coppola, 2017

L’INGANNO di Sofia Coppola, 2017

1864, Virginia, durante la guerra di secessione. Il caporale John McBarney (Colin Farrell), mercenario nordista gravemente ferito in battaglia, trova miracolosamente ricovero presso un istituto per ragazze, sfuggendo alla cattura da parte delle truppe sudiste.

L’istituto è diretto dall’intransigente signora Martha (Nicole Kidman), che provvede all’educazione delle fanciulle insieme al suo braccio destro Edwina Morrow (Kirsten Dunst): sebbene la tensione della guerra si avverta chiaramente anche al di là delle maestose colonne che cingono la facciata dell’edificio, Miss Martha si sforza di “proteggere” le ragazze, insegnando loro l’arte delle buone maniere, l’eleganza nell’eloquio e nella scrittura, la carità cristiana e la preghiera.

L’arrivo del caporale altera inevitabilmente gli equilibri, per la verità già precari, su cui si regge la piccola comunità femminile. Le pulsioni sessuali, il desiderio di piacere e la voglia di fuggire da quella prigione dorata si risvegliano all’improvviso. John diviene l’oggetto del desiderio, una sorta di trofeo che solo la migliore riuscirà a conquistare. La competizione è più evidente tra Edwina, Martha e la spregiudicata Alicia (Elle Fanning), ma anche le più giovani si prodigano nel tentativo di conquistarsi le attenzioni del caporale. Se inizialmente John, nel classico ruolo di “gallo nel pollaio”, non potrà che compiacersi delle attenzioni di cui è circondato, dovrà ben presto rendersi conto di quanto possano risultare pericolosi gli angeli (non a caso sempre vestite di bianco o con tinte pastello) da cui è stato tratto in salvo.

L’inganno è tratto dal romanzo The Beguiled di Thomas Cullinan, già portato sul grande schermo con La notte brava del soldato Johnatan, diretto da Don Siegel e interpretato da un giovane Clint Eastwood. Le atmosfere sembrano essere quelle care a Sofia Coppola: un universo femminile malinconico e a tratti decadente, una galleria di donne con desideri e spregiudicatezza che nulla hanno da invidiare a quelli tipicamente maschili, un erotismo complesso nelle sue eterogenee sfaccettature. Il cast si rivela all’altezza delle aspettative e anche la regia, la fotografia (Philippe Le Sourd) e la scenografia (Anne Ross) sono quelle delle grandi occasioni: non è un caso, del resto, che il film sia stato incoronato a Cannes con il premio per la miglior regia.

È forse la scrittura, affidata alla stessa Sofia Coppola, a costituire il punto più debole del film. Le battute essenziali, le situazioni macchiettistiche che, forse con intento ironicamente provocatorio, restano ingabbiate nella griglia di stereotipi fin troppo prevedibili, non riescono a restituire pienamente la complessità che, invece, la galleria di fanciulle presenti in collegio sarebbe in grado di rappresentare. Anche l’evoluzione del personaggio interpretato da Colin Farrel è scandito da cesure troppo nette per risultare davvero convincente. Lo spettatore resta in perenne attesa dell’autentica svolta all’interno della storia, ma l’unica vera sorpresa sono i titoli di coda.

Ciò non toglie che Sofia Coppola riesca (nuovamente) a centrare l’obiettivo di un film sontuoso ed elegante, incorniciato dall’inquadratura iniziale e da quella finale che, da sole, ne sintetizzano la vibrante potenza estetica.

data di pubblicazione: 1/10/2017


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IL COLORE NASCOSTO DELLE COSE di Silvio Soldini, 2017

IL COLORE NASCOSTO DELLE COSE di Silvio Soldini, 2017

Un appuntamento “al buio”, un uomo troppo indeciso per accontentarsi di una sola donna, una donna troppo innamorata per dividere il suo uomo. Una storia come tante, solo che lei è una non vedente.

 

Teo (Adriano Giannini) è un creativo, un pubblicitario, un uomo che vive esaltando e preservando il potere dell’apparenza. La sua fidanzata Greta (Anna Ferzetti) vorrebbe “mettere su famiglia” insieme a lui, ma Teo è restio alla convivenza: preferisce la sua casa, le sue abitudini, le sue amanti occasionali.

Nel corso di un percorso sensoriale durante il quale i non vedenti dialogano con i “normodotati” per guidarli alla scoperta della luminosità del buio, Teo resta affascinato dalla voce di Emma (Valeria Golino). Incontratisi nuovamente alla luce del sole, Teo ed Emma iniziano a frequentarsi. Emma non vede, ma di mestiere non fa la centralinista: è un’osteopata, che svolge con passione e successo il suo lavoro.

Il rapporto tra i due diventerà progressivamente più intenso e li condurrà, in buona sostanza, a fondere e confondere il loro sguardo. Emma inizierà a vedere il mondo con gli occhi di Teo e a fidarsi di lui. Teo apre finalmente gli occhi offuscati da un troppo lungo periodo di torpore, riscoprirà anche nel suo lavoro la potenza dell’immaginazione, proverà a fare i conti con un passato che invano si era sforzato cancellare e cercherà di curare la sua “cecità sentimentale”.

Dopo Il comandante e la cicogna (2012), Silvio Soldini torna al cinema con Il colore nascosto delle cose, presentato fuori concorso a Venezia 74 e consequenziale sviluppo artistico del documentario Per altri occhi, con cui il regista aveva esplorato l’universo dei non vedenti. La forza del film sta nel raccontare una “normale” storia d’amore, evitando, nei limiti del possibile, di indugiare con retorico pietismo sulle condizioni di Emma e trattandola come una qualsiasi donna innamorata. Valeria Golino è impeccabile e anche Adriano Giannini regge la parte in maniera convincente: la coppia torna a lavorare insieme dopo Per amor vostro, che era valso a Valeria Golino la Coppa Volpi a Venezia 72. Degna di nota anche Arianna Scommegna nel ruolo di Patti, amica ipovedente di Emma che regala al film momenti di cinica comicità.

La storia scorre via in maniera gradevole, ma senza sussulti, indugiando eccessivamente in una parte centrale che rende forse ridondanti i 155 minuti complessivi. Il finale, al contrario, è forse un po’ troppo “sbrigativo” e poco credibile, ma nel complesso Il colore nascosto delle cose è un film che vale il prezzo del biglietto, non foss’altro che per la straordinaria prova di Valeria Golino.

data di pubblicazione: 10/09/2017


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VENEZIA 74 – CERIMONIA DI PREMIAZIONE

VENEZIA 74 – CERIMONIA DI PREMIAZIONE

Cala il sipario sulla 74. edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il programma è stato denso, eterogeneo e, soprattutto, ha raggiunto in più di un’occasione il proverbiale accordo tra critica e pubblico.

Il Leone d’oro si pone ad autorevole suggello di questa tendenza, finendo tra le mani di Guillermo del Toro per The Shape of Water: l’intensa e coinvolgente fiaba ambientata ai tempi della guerra fredda, che ha presentato un’inedita versione dell’amore tra la Bella e la Bestia, vince Venezia 74 e una volta tanto, sarà anche un film (è facile immaginarlo) capace di ottenere risultati lusinghieri al botteghino.

La Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, in un’edizione della Mostra che ha anche celebrato le vecchie glorie del cinema, va a Charlotte Rampling per Hannah di Andrea Pallaoro. L’attrice si dice commossa di ricevere un premio così prestigioso proprio in Italia, che costituisce la sua principale fonte di ispirazione: è proprio grazie a degli italiani, da Luchino Visconti ad Adriano Celentano, che ha potuto intraprendere la sua carriera.

La Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile è invece conquistata da Kamel El Basha per il sorprendente The Insult di Ziad Doueiri: l’attore viene dal teatro e con il suo primo film da “professionista” si è assunto il compito, indubbiamente non semplice, di portare al cinema la complessa situazione politica del Libano.

Autentico exploit per Jusq’à la garde di uno Xavier Legrand in lacrime, proiettato nell’ultimo giorno della Mostra, che con la sua complessa storia originata da un matrimonio finito si aggiudica sia il premio De Laurentiis come miglior opera prima sia il Leone d’argento per la Miglior regia.

Il Leone d’argento Gran Premio della Giuria è stato invece assegnato a Foxtrot di Samuel Maoz, tragedia che si snoda attorno al tema dell’ineluttabilità del Fato.

Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli è stato incoronato miglior film nella sezione Orizzonti, sul declino della ex cantante dei Velvet Underground, ex modella ed ex musa di Andy Warhol che a un certo punto della sua vita diventa “soltanto” Christa Päffgen.

Il premio Mastroianni al miglior attor emergente è andato al giovane Charlie Plummer per Lean on Pete di Andrew Haigh, film di formazione che ha al centro (anche) la preziosa amicizia tra un ragazzo e un cavallo alla ricerca della propria libertà.

Al termine di un’edizione che certamente non ha tradito le aspettative della vigilia, per citare Guillermo del Toro che stringe commosso il primo Leone d’oro vinto da un regista messicano, si può solo continuare a credere nella vita, nell’amore e nel cinema.

Arrivederci al 29 agosto 2018!

Riportiamo qui di seguito l’elenco completo dei premi assegnati:

Premi assegnati dalla Giuria internazionale di Venezia 74 presieduta da Annette Bening:

  • Leone d’Oro per il Miglior Film: The Shape of Water di Guillermo del Toro
  • Leone d’Argento Gran Premio della Giuria: Foxtrot di Samuel Maoz
  • Leone d’Argento per la Migliore Regia: Xavier Legrand per Jusqu’a la garde
  • Coppa Volpi per la Migliore Interpretazione Maschile: Kamel El Basha per The Insult di Ziad Doueiri
  • Coppa Volpi per la Migliore Interpretazione Femminile: Charlotte Rampling per Hannah di Andrea Pallaoro
  • Miglior Sceneggiatura: Three Billboards Outside a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh

Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente: Charlie Plummer per Lean on Pete di Andrew Haigh

  • Premio Speciale della Giuria: Sweet Country di Warwick Thornton

Premi assegnati dalla Giuria internazionale della sezione Orizzonti presieduta da Gianni Amelio assegna:

  • Premio Orizzonti per il Miglior Film: Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli
  • Premio Orizzonti per la Miglior Regia: Vahid Jalilvand per Bedoone Tarikh, Bedoone Emza
  • Premio Orizzonti per la Miglior Sceneggiatura: Los versos del olvido di Alireza Khatami
  • Premio Speciale della Giuria di Orizzonti: Caniba di Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor
  • Premio Orizzonti per il Miglior Cortometraggio: Gros Chagrin di Céline Devaux
  • Premio Orizzonti per la Miglior Interpretazione Maschile: Navid Mohammadzadeh per Bedoone Tarikh, Bedoone Emza di Vahid Jalilvand
  • Premio Orizzonti per la Miglior Interpretazione Femminile: Lyna Khoudri per Les Bienheureux di Sofia Djama

Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”:

  • Jusqu’à la garde di Xavier Legrand

Premi del Venice Virtual Reality assegnati dalla Giuria presieduta da John Landis:

  • Miglior Film VR: Arden’s Wake Expanded di Eugene Yk Chung
  • Migliore Esperienza VR (per contenuto interattivo): La Camera Insabbiata di Laurie Anderson e Hsin-Chien Huang
  • Migliore Storia VR (per contenuto lineare): Bloodless di Gina Kim

Premi assegnati dalla Giuria della sezione Venezia Classici presieduta da Giuseppe Piccioni:

  • Premio Venezia Classici per il Miglior Film Restaurato: Idi i smotri di Elen Klimov
  • Premio Venezia Classici per il Miglior Documentario Sul Cinema: The Prince and the Dybbuk di Elwira Niewiera e Piotr Rosolowski

data di pubblicazione: 09/09/2017