IL CAPITALE UMANO di Paolo Virzì, 2013

IL CAPITALE UMANO di Paolo Virzì, 2013

Paolo Virzì torna al cinema con un film corale, che parla di new economy per raccontare l’Italia di sempre, rappresenta la crisi di quel capitale umano che nessun esperto di finanza sarà mai in grado di monetizzare e di mettere a bilancio.

La storia è al tempo stesso una e trina, con i diversi capitoli che, dipanandosi dall’incidente iniziale, fanno muovere sulla scena tanti burattini tenuti in piedi da sentimenti da “dilettanti” allo sbaraglio (come urla Luigi Lo Cascio), con la perenne paura di diventare attori professionisti di una vita dal copione troppo impegnativo per essere recitato come pure meriterebbe.

Malgrado qualche inserto gratuitamente retorico, a partire dall’usurata metafora del teatro in declino e in attesa di un’utopica ristrutturazione, Virzì resta il solito perfetto burattinaio nel dirigere gli abitanti di quel teatro decadente.

I buoni sentimenti prepotentemente trionfanti nel buio degrado di un carcere, mentre intorno la neve si scioglie e il sole lascia brillare le carrozzerie fuoriserie e i sorrisi di chi, quando gli affari vanno bene, si accontenterebbe anche del bastoncino di un cane, concludono il capitolo finale con un happy end tanto amaro quanto ingenuo e obiettivamente poco credibile.

Giudizio sintetico: avete scommesso sulla rovina di questo Paese e avete vinto.


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IO E TE di Bernardo Bertolucci, 2012

IO E TE di Bernardo Bertolucci, 2012

Bernardo Bertolucci torna in sala con un film “fatto in casa”: una cantina, due attori esordienti, Roma che fa da sfondo divenendo fin da subito un ingrediente indispensabile della scena. Il tutto legato aristotelicamente da un’unità di spazio, tempo e azione, che guida lo spettatore nell’avvicendarsi di quei sette giorni normali e al tempo straordinari. Perché “normale è niente”, ma un abbraccio è tutto.

La storia si distacca in qualche punto dal racconto di Niccolò Ammaniti, ma la trasposizione filmica dei due protagonisti, interpretati da Jacopo Olmo Antinori e Tea Falco, è quasi perfetta. I due ragazzini recitano senza recitare, mettendo a nudo le loro anime nella cantina che diviene la loro casa.

La cantina, dove si accumula sotto la polvere un passato destinato qualche volta a tornare, dove si abbandonano cose che non servono più e che in fondo sono le uniche si ha veramente bisogno, dove il disordine esteriore è la via per ritrovare quell’ordine interiore che difetta anche nelle case più splendidamente arredate. Un mondo nel mondo, così vicino eppure così distante da quello “normale”. La macchina da presa si muove guidata da una mano che sa quello che cerca: di tanto in tanto lo sguardo si perde nella vertigine di palazzi così alti da schiacciare chi abbia l’ardire di alzare gli occhi al cielo, per poi tornare sulla rassicurante fissità di quel vialetto che, come il binario 9 ¾ di Harry Potter, nasconde la porta d’accesso a un modo al quale solo chi non è perfettamente “normale” ha il privilegio di accedere. Lei a un certo punto balla da sola. Poi si accorge che in quel momento è sola, anche se solo per un momento.

Giudizio sintetico: il vero Maestro è colui che ha sempre qualcosa da insegnare.


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