Cloud, scritto e diretto dal regista giapponese Kiyoshi Kurosawa (nessuna parentela con Akira), è un film che mescola thriller psicologico e sfumature da film samurai (o western), ma di quelli che si muovono al di là del concetto di bene e male. Alla fine, a sopravvivere sono in pochi – e nemmeno brava gente.
Il protagonista è Ryusuke Yoshii (Masaki Suda), un trentenne brillante ma disilluso: il suo talento non viene riconosciuto nella fabbrica dove lavora. Decide quindi di puntare tutto sul suo secondo lavoro: il dropshipping. Un’attività online in cui compra merce a prezzi stracciati per rivenderla fino a venti volte tanto.
Già nella prima scena lo vediamo acquistare un macchinario medico da un piccolo produttore, riducendolo quasi al fallimento. Una collaboratrice del produttore lo supplica di offrire qualcosa in più, almeno per avvicinarsi al prezzo reale, e gli chiede se non provi vergogna per quel comportamento. Ma Yoshii resta freddo. In parte perché, davvero, quei soldi non li ha; in parte per un principio che attraversa tutto il film: mors tua, vita mea.
Il messaggio morale di Cloud è già chiaro in quei primi istanti.
Dopo una breve ascesa economica, inizia la discesa agli inferi. Con i proventi del primo affare, Yoshii si compra una casa-magazzino alla periferia di Tokyo. È moderna, spaziosa, quasi sterile. A raggiungerlo è anche la sua fidanzata Akiko (Kotone Furukawa), affascinata non tanto da lui quanto dai soldi che ha – e che promette di continuare a fare. Yoshii lo sa, ma sembra non importargli.
Anche quando gli affari iniziano a perdere slancio, la coppia riesce a mantenere un tenore di vita ben diverso dal passato. Yoshii può addirittura assumere un assistente: Sano (Daiken Okudaira), giovane, enigmatico, imperturbabile. Resiste perfino ai tentativi di seduzione di Akiko, sempre più annoiata mentre Yoshii si dedica ai suoi traffici a Tokyo.
Online, Yoshii si fa chiamare “Ratel” – il tasso del miele, un animale che non teme nulla. Ma più cresce la sua visibilità, più si attira nemici: la sua merce è sospetta, il suo metodo brutale. Tradisce persino vecchie conoscenze: un ex superiore della fabbrica, un amico di liceo. La rete reagisce. Nasce un gruppo di “haters” di Ratel, pronti a stanarlo e cosi la seconda parte del film si trasforma in una caccia all’uomo. Il tono diventa surreale, da incubo: un western urbano, contaminato da horror e splatter. Fucili, inseguimenti, sangue. E quando sembra spacciato, Yoshii viene salvato da Sano.
Ma non è un lieto fine. Yoshii riemerge sì con qualche brandello di umanità, qualche riflessione tardiva su ciò che ha perso. Ma non è stato salvato per redimersi. Sano lavora per un’organizzazione potente, interessata solo a sfruttare il suo talento per fare ancora più denaro.
Nell’ultima scena, li vediamo in macchina, mentre attraversano un paesaggio irreale, un tramonto dai colori apocalittici. Yoshii guarda fuori dal finestrino, e si chiede – senza trovar risposta – come sia finito su questa strada per l’inferno. E per dirla con una battuta del film che mi è piaciuta tanto: “Ora è troppo tardi per vivere”.
Il film racconta in modo emblematico quei paradossi che spesso rimangono sommersi nella vita di ogni giorno della maggior parte dell’umanità: la potenza della rete e il cinismo del dio denaro. Che poi ci si chiede: abbiamo veramente bisogno di tradire il prossimo per una macchina del caffè che non sappiamo neanche utilizzare?
Cloud è stato presentato in Italia in anteprima alla 81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e durante la 22° edizione di Asian Film Festival a Roma. Uscirà nelle sale il 17 aprile.
data di pubblicazione:14/04/2025
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