L’OPERAZIONE di Rosario Lisma, con Fabrizio lombardo, Andrea Narsi, Alessio Piazza e con Gianni Quillico

L’OPERAZIONE di Rosario Lisma, con Fabrizio lombardo, Andrea Narsi, Alessio Piazza e con Gianni Quillico

 

 (Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 12/22 dicembre 2019)

Teatro nel teatro, efficacemente. Dalle Brigate Rosse ai piccoli dissidi interni di una compagnia che punta al successo attraverso il sequestro del Grande Critico. Inutilmente..

 

Piccolo spettacolo di charme senza gli effetti speciali e la mondanità del Grande Eliseo. Con un pubblico di nicchia che scoppia a ridere nelle svolte micidiali della comicità a portata di mano. Quattro attori che diventano solisti nei momenti di maggiore climax. Sfigati? Irrealizzati più che altro, in cerca di successo. Soprattutto quello che potrebbe venire dalla visione dalla recensione di un critico radical chic che riflette tutti i peggiori difetti della categoria giornalistica. Vanesio, superficiale, bugiardo e super-impegnato. Così dopo che la piccola compagnia riesce a ritrovare un filo logico di programmazione dopo liti e chiarimenti faticosi il grande giorno sembra arrivato. Ma la delusione sarà cocente perché l’illustre ospite non arriverà. Ed allora il testo entra nel testo. Il flash back sulle Brigate Rosse diventa il sequestro del critico che legato e imbavagliato viene obbligatoriamente e coattivamente costretto ad assistere allo spettacolo. Ma si addormenterà e dunque svanirà consenso e recensione. Mesta uscita di scena e finale gramo, sconsolato che riflette un po’ metaforicamente lo stato di una categoria inappagata che fa fatica a sbarcare il lunario. Dunque la prova in cento minuti del quartetto di Lisma diventa anche una fotografia sullo stato difficile dell’arte teatrale. Delle difficile combinazione tra artigianato e sopravvivenza. Contenuta anche la caricata di un superatissimo teatro sperimentale dove primeggiava il corpo, l’occhiuto e strumentale richiamo a Pasolini. Vincerà la tesi del regista. Vincerà il naturalismo che è incontro di uomini, di storie e di contraddizioni. Dunque un sottotesto che si legge in maniera defilata rispetto ai fuochi artificiali di notevoli esplosioni di comicità.

data di pubblicazione:18/12/2019


Il nostro voto:

NON FARMI PERDERE TEMPO scritto e diretto da Massimo Andrei, con Lunetta Savino

NON FARMI PERDERE TEMPO scritto e diretto da Massimo Andrei, con Lunetta Savino

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 28 novembre/8 dicembre 2019)

Una donna malata invecchiata precocemente si spegne nell’arco dei 70’ di spettacolo. Ma la sua vera malattia forse è la solitudine. Monologo arricchito condito con la grande empatia di Lunetta Savino.

 

C’è un solo personaggio che si relazione (fintamente) con tanti interlocutori immaginati, disegnati scenicamente con grande maestria dall’interprete. C’è la colf, l’amica fidata, il giovane che gioca sul pianerottolo, la nipote interessato, il fidanzato fittizio. La protagonista ha 27 anni ma ne dimostra 60 per gli esiti di una rara malattia che determina il suo invecchiamento precoce. Ma non si rassegna. Lotta e vive insieme con il pubblico, consolandosi con il canto, pubblico anche, in un bar e con l’aspirazione al primo rapporto carnale con un teorico fidanzato a cui manda innumerevoli regali ma che (guarda un po’!) non risponde mai ai suoi inviti. Esibizione di pregio di un’attrice che ha fatto passi da gigante nel curriculum e si dimostra pienamente all’altezza per una prova di rara difficoltà. Teatro pieno e applausi scroscianti. E forse fa parte dell’esibizione anche la rutilante uscita di scena del novello Scaramacai tornato essere umano e non personaggio quando si libera di una parrucca attrezzo di scena. Per una volta la scena non è nuda come spesso avviene quando l’attore monologa. La porta è il deterrente delle uscite in cerca di normalità della donna sfiorita innaturalmente presto. Esibizione piena di gesti comuni e di vita quotidiana, con ripetizioni che sfiorano il sublime nella normalità/anormale di un’esistenza presto destinata a spegnersi di fronte ai crudeli ed enigmatici annunci del medico e alla prospettiva della chemioterapia. La fine è nota e non se ne uscirà senza dolore. Tina fa i conti con un destino che le presenta il conto e contro cui non si ribella più.

data di pubblicazione:08/12/2019


Il nostro voto:

RUMORS di Neil Simon, regia di Emilia Miscio

RUMORS di Neil Simon, regia di Emilia Miscio

(Teatro SanGenesio – Roma, 27 novembre/8 dicembre 2019)

Uno scoppiettante classico evergreen regala lampi di comicità, a tratti demenziale. Il pastiche funziona anche grazie all’ottima sinergia interpretativa degli attori, la Compagnia Teatrale Sogni di Scena.

Non una scelta facile quella della family comedy. Sui generis una famiglia molto allargata. Ospiti indesiderati di una festa che si apre con un misterioso tentativo di suicidio. La comicità sta anche nell’attendere invano la comparizione dell’autore dell’insano atto. Tutti si affastellano attorno a lui, apparentemente per cercare di coprirlo ma, massimamente, per difendere la propria reputazione. Così tra la ruspante oca, la cuoca esagerata, si delineano manie e tic dei protagonisti che in una serata senza servitù devono cavarsela da soli fino alla fine dell’epilogo quando compare la polizia. E la versione di quello scelto per depistare più che convincente è ammaliante e scioglie anche la tensione di un investigatore mostrato come integerrimo. Si ride e si sorride in campo a due ore e due tempi di farsa disimpegnata che ha come primo obiettivo un’esplosione di comicità. Sono battute che arrivano presto alla pancia, qualcuna richiede una riflessione più attenta, certo non rivolta a quegli spettatori che nelle prime file confermano la propria dipendenza da uno smartphone acceso, nell’imperturbabilità sorridente del cast. Il testo di Simon invecchia lentamente ed è apprezzabile il tentativo di ribadirne l’originalità senza sconfinamenti forzosi nell’attualità da parte della regista. Lo spazio scenico viene sfruttato fino in fondo e l’elemento delle scale è la pietra d’inciampo di parte della comicità Non si bada a spese anche per i costumi di scena Trattasi di una serata di galla e le mise notturne delle attrici ribadiscono un’atmosfera, ben in coerenza con il plot farsesco. L’ennesima bella prova di un affiatato consesso di attori.

data di pubblicazione:06/12/2019

[sc.voto3t]
ERAVAMO L’AMERICA di Dario Torromeo – Absolutely Free Libri, 2019

ERAVAMO L’AMERICA di Dario Torromeo – Absolutely Free Libri, 2019

Il sottotitolo è accattivante ed illuminante. “Gli anni ottanta, magia di un’epoca in cui avevamo il mondo in pugno”. Metafora del momento più radioso del pugilato italiano. Con personaggi come Oliva, Rosi, Kalambay, capaci di imporsi su ring nazionali e internazionali decretando il successo del pugilato noble arte non come rissa selvaggia alla Tyson ma come elegante lezione di stile. Era un momento che si prolungava dalla saga di quel Benvenuti, umiliato da Monzon ma capace di proiettare una luce positiva sul seguito di uno sport oggi decaduto a eventi e personaggi residuali. Come infatti paragonare uno Scardina o un Vianello attuale ai Parisi e ai Nati, a campioni mondiali ed europei in un mondo popolato ormai da un’infinità di sigle spesso indistinguibili? Il tramonto della boxe è stato decretato dalla scarsa credibilità del sistema complessivo, dalla relativa buonafede dei giudici, dal proliferare delle sigle e dallo scadimento dell’attività dilettantistica che ha reso sempre più labile il confine con il mondo professionale. Oggi si costruisce un record con una serie di incontri già segnati e la fortuna dei pochi sopravvissuti è soprattutto mediatica. Torromeo ci restituisce invece l’età felice del pugilato italiano con una serie di riuscite immersioni nel mondo dei protagonisti. Vissuto da vicino, confidenzialmente. La serie di fotografia scattate su questo sport in decadenza restituisce il quadro veridico di un’epoca in cui anche gli italiani vivevano meglio forti di una classe media consolidata che, dopo l’esplosione del boom, cercano di consolidarsi come borghesia sull’esempio di Germania, Francia, Inghilterra. C’era anche il sogno imitativo americano dietro i successi sportivi. In effetti non si arrivava per caso a giocarsi su un ring un titolo mondiale. Alle spalle c’era la solidità del movimento, l’intraprendenza dei manager, la voglia di rischiare di una società che non si poneva limiti di sviluppo e non si interrogava sulla possibile decrescita più o meno felice.

data di pubblicazione:04/12/2019

SPETTRI di Henrik Ibsen, traduzione, adattamento e regia di Giuseppe Venetucci

SPETTRI di Henrik Ibsen, traduzione, adattamento e regia di Giuseppe Venetucci

(Teatro di Documenti- Roma, 15/24 novembre 2019)

Un classico della drammaturgia ibseniana, carico di ambiguità e di dissimulazioni. Due ore di spettacolo teso e sobrio, proposto con apprezzabile filologia teatrale e rispetto del testo originale.

Nella suggestiva location di un piccolo teatro storico sfilano i cinque protagonisti di un autore molto rappresentato, tutt’altro che passato nel dimenticatoio teatrale. Sala lunga e stretta, a contatto di pubblico dove i protagonisti recitanti si producono nell’affabulazione e poi si siedono, pazienti, in attesa della loro successiva entrata in scena. Ma attenti anche in situazione di pausa, ad abbozzare nuove caratteristiche che appartengono alla loro profondità. L’apparente verità si colora con l’apparire delle menzogne e di tante situazioni irrisolte, legate a paternità incerte. Realtà fatta di spettri e di ribaltamenti perniciosi. Una virtuale macchina del fango messa in moto dalla ricerca della verità. Un moto quasi inconsapevole provocato dallo sviluppo degli eventi. Rivelazione chiama rivelazione in un vortice che non sembra mai fine, in un processo dialettico in cui il personaggio inizialmente sbozzato si riconvertirà in uno completamente diverso nella catarsi teatrale. Spettacolo ricco di pathos. L’attualità di Ibsen sta nel delineare un mondo completamente privo di certezze, sin dal piccolo nucleo familiare. Tragedia in cui si intravedono baluginii proto-femministi ben in linea con l’autor di Casa di Bambola o Hedda Gabler. Siamo all’interno di uno spaccato borghese con molti derivati ottocenteschi di cui, volontariamente, non ci si sbarazza fino in fondo, per scrupolo di fedeltà e di corretta adesione alle tematiche dell’autore. Spettri come fantasmi e minacce. Opinioni, credenze, pregiudizi e decisioni in atto. Se il teatro è conflitto qui lo scioglimento emotivo è propedeutico alla messa in moto di un rigoroso groviglio di scoperte variamente metabolizzate dai protagonisti. Non tutto è come sembra, non tutto sarà eguale a prima.

data di pubblicazione:24/11/2019


Il nostro voto: