da Daniele Poto | Ago 8, 2020
Non tragga in inganno il sottotitolo “Racconti all’ombra del Covid”. Fortunatamente non si parla di pandemia e ci astrae da quella ridda di racconti e/o romanzi a tema d’occasione, peraltro assai poco ispirati, che affollano edicole e librerie. Semmai il lungo periodo di confinamento è stato opportunamente usato dall’autore per stimolare e corroborare la propria fantasia e creatività secondo un piano di letteratura razionale che si è avvalsa degli strumenti del dialetto, dell’antropologia, dell’etnografia e della localizzazione. Non sembri troppo tutto insieme anche se lo sfoggio e la pratica di queste scienze a tratti minaccia di soffocare il primigenio getto ispirativo, la trama piana del racconto. Minuziosamente Castaldo diffonde latitudini, mappe, espressioni gergali do quei tanti dialetti italiani che si palesano come autentiche lingue, a partire dal napoletano. E ogni racconto è preceduto da un illustre riferimento, nomi grossi come Keroauc o Flaiano. Non tutti i confinamenti vengono per nuocere se producono prodotti bizzarri come questo, silloge di racconti “realmente accaduti nella fantasia dell’autore”. Perché Castaldo dialoga, quasi scherza con il lettore e scherza anche con è stesso, cercando di non prendersi troppo sul serio. Ma la letteratura rimane una cosa seria e i continui refrain allusivi che intercalano i vari plot sembrano un vezzo funzionale per la sua poetica che si appoggia a illustri consiglieri regione per regione. Così è un libro che parla molte lingue e abbraccia diversi registri. Una sorta di Giro d’Italia picaresco, a tratti inquietante con un sottofondo di evidente partecipazione giornalistica e cronachistica alle vicende dei vari personaggi. Il racconto che preferiamo è forse il più lungo e argomentativo, quello del professore campano che torna in regole al momento del pensionamento e fa rivivere un amore veneto mai definitivamente appassito. Qui il bozzetto acquista spessore, colore e un’intensità probante. Castaldo ha emendato i numerosi errori di bozze con una ancora più gustosa ripresa in seconda edizione.
data di pubblicazione:8/08/2020
da Daniele Poto | Lug 21, 2020
L’era del coronavirus ha spalancato al nostro tempo scenari impensabili. Il mondo di prima era dominato dalle feroci leggi dell’economia ma la crisi del 2020 rischia di far diventare questa scienza fallibile ancora più spietata e dominatrice della vita delle persone. Ecco che la letteratura riscatta la propria utilità sociale con un pamphlet che riassume la centralità della finanza nella determinazione dei destini. Monica Catalano, consulente finanziaria di lungo corso, offre in un agile volumetto l’abbinamento dell’economia con la storia del cinema. Lo specchio della fiction aiuta e mette a fuoco i fenomeni forse meglio della realtà ed è anche strumento piacevole per la comprensione della trasformazione del pianeta e delle sue leggi. Il sottotitolo è illuminante: dalla bolla dei tulipani al coronavirus. Circoscrive esattamente un andamento, determina la forbice cronologica del materiale trattato. Il denaro sterco del diavolo? Al di là della definizione apodittica si potrebbe scrivere che il denaro non regala felicità ma aiuta a vivere meglio. E la sua gestione è un gradiente fondamentale nel rapporto degli uomini. Le grandi rivoluzioni francesi o russe non sono forse scaturite da un bisogno impellente di cambiamento? E la crisi Lehmann Brothers del 2007-2008 non ha cambiato forse negli europei il modo di valutare la deperibile cultura americana, facendo vistosamente emergere i difetti strutturali delle bolle economiche? Lo strumento di lettura di cui si avvale la Catalano è suadente e stringente. Perché il cinema con l’uso dell’economia ci ha regalato grandi film drammatici come Wall Street o The Wolf, non a caso maturati nella grande industria statunitense. Un connubio forse nascosto e non così evidente è il rapporto tra produzioni cinematografiche e banche. Grandi film nascono da grandi capitali: successi e flop. Alternanze che fanno riflettere in un momento in cui poche sale cinematografiche hanno riaperto, Con l’economia che ancora una volta domina: nell’analisi costi/benefici se non c’è possibilità di guadagno gli esercenti preferiscono perpetuare il black out. Il cinema si adatta e cambia. Con i drive in, con la risorsa delle arene, con il recupero delle seconde visioni e persino con le sole parrocchiali di una volta. In un momento di sosta quasi antropologica questa agile pubblicazione ci aiuta a riscoprire il passato e una grande storia cinematografica fatta di capolavori e di passaggi nodali. Dal mondo incantato di Frank Capra, alla comicità di Totò fino alla crudezza di un titolo che è diventato un apologo: Too big to fail? Non è forse l’attualità rappresentata oggi da Atlantia o dall’Ilva di Taranto? Rebus anche il Governo, tra opposte interpretazioni.
data di pubblicazione:21/07/2020
da Daniele Poto | Lug 8, 2020
Un’autrice di successo ha voglia di inanellare piccole storie dopo il boom del Premio Strega 2018. L’amore che c’è è sussurrato, coccolato, tenue. Non è un’esplosione di passione ma un sentimento rattenuto, dissimulato, difeso ma pur vivo ed esistente. Un autobiografismo discreto ma palpitante si affaccia nei dieci racconti dell’agile silloge in cento pagine, distillati di situazioni, ambienti che corrono parallelamente alla vita del Pigneto. E la Terranova, siciliana adottata da Roma, non manca di sottolineare la differenza antropologica, la mutazione del suo essere in una città sempre più cosmopolita capace di integrarti ma con il manifestarsi di qualche asperità e durezza. La Terranova si fa dunque esploratrice e vigile interprete di pulsioni sottotraccia, leggendo ed interpretando il sottotesto dei suoi personaggi e dei suoi scenari, pervasi di umanità e di esperienze personali, da portare alla luce dalla zona d’ombra in cui si trovano. Un libro inconsueto e non banale in cui la demarcazione dei racconti invita a una lettura meditata e non frenetica, come il ritmo invece a volte caotico della metropoli. Si sosta a Porta Maggiore che è luogo di transito e non di visione con l’ispirazione lasciata da Mariateresa Di Lascia. Dunque anche una pensilina, una lavanderia, un incontro fortuito, accendono stimoli e vibrazioni. La vita negli occhi degli altri, come specchio e occasione di serenità. Come entrare in un mondo privato che la rivelazione della letteratura, proustianamente, rende improvvisamente pubblico. Si ripete il piccolo miracolo della suggestione comunicativa che si rende seducente con la forma più che con il contenuto. Perché non c’è tanto da raccontare se non stati d’animo, percezione, impulsi di un mondo virato da una sensibilità tipicamente femminile. Un testo interlocutorio che completa il curriculum sempre più interessante e stringente di una delle autrici più stimolanti della generazione di mezzo.
data di pubblicazione:08/07/2020
da Daniele Poto | Giu 11, 2020
Uno scrittore inglese che tifa per il Verona? Il mondo è bello perché strano. Tanta carriera ha fatto l’autore vivendo nella città di Romeo Giulietta e tanti libri sono metaforicamente scorsi sotto il suo Adige. Questo è una sorta di fortunato incipit di carriera. Un’immersione artificiale quanto si vuole ma convinta nel complicato mondo degli ultras, in particolare delle Brigate Gialloblu’ che sono quanto di più estremista e radicale circola nelle curve degli stadi italiani. Parks vive una stagione a braccetto con gli intemperanti xenofobi veneti, decisamente politicamente scorretti ma dialettizza il rapporto con il tifo anche attraverso la mediazione dei vertici della società: il presidente Pastorello, il manager Agnolin, l’allenatore Perotti. E il lettore non sa decidersi quale partito sia il peggiore. Perché il coach appare come un uomo imbelle indisposto a qualunque emozione. Per la verità la fortuna ci mette del suo perché in quella stagione a inizio millennio il Verona, ormai completamente dimentico dello scudetto degli anni ’80, perlomeno riesce a salvarsi in capo a una complicatissima annata, conclusa con lo spareggio vincente con la Regina. Parks coglie tanti punti stridenti punti di contraddizione del calcio italiano, certo non migliorato venti anni dopo. Un libro di 500 pagine su una fazione ultrà sembra un’impresa da Divina Commedia. Ma il testo scorre piacevole e dialettico, non certo ideologicamente unidimensionale. La simpatia distante di Parks non è acritica adesione. Vive le trasferte come un ultrà qualsiasi anche se adempie alla mission dello scrittore. Un anno vissuto così ne vale la pena se è servito per un libro che è un’osservazione dal vivo di un fenomeno che oggi fa risuonare (vedi. caso Piscitelli) derive criminali e mafiosi. Gli ultras italiani si sono riuniti al Circo Massimo il 6 giugno 2020 per varare una sorta di Internazionale d’intenti. Dove l’interlocutore privilegiato non è più il calcio ma addirittura il Governo. C’è un progetto sovranista per farlo cadere e gli ultras, non si sa se in buona o in cattiva fede, si prestano all’operazione.
data di pubblicazione:11/06/2020
da Daniele Poto | Mag 30, 2020
Non abbiamo un metro universale di paragone ma questo è il primo e unico libro delle nostre esperienze di lettura risolto tutto in un dialogo. Si apre e si chiude con una domanda insieme ingenua e profonda. “Ma tu sei felice?”. E questo è il cordon rouge attraverso cui si snodano oltre duecento pagine di batti e ribatti di due protagonisti maschili che possiamo immaginare milanesi, borghesi, over 60, ben pensanti, con qualche deriva demenziale per l’ironia che l’autore Baccomo profonde a piene mani nelle loro divagazioni, a tratti da bar sport. Non è un caso che Claudio Bisio e Gigio Alberti, amici inseparabile da un quarantennio rievocando una certa atmosfera del Derby meneghino ne abbiano tratto 25 godibilissime puntate diffuse su youtube. Dunque è più che un audiolibro, è teatro ed è da ammirare la faccia di gomma di Bisio che ribadisce una volta di più il proprio mestiere i cui primi passi sono stati ispirati dall’arte del mimo. Guardatelo soprattutto quando non parla ma commenta le affermazioni dell’amico: una goduria! I due non aspettano Godot ma intessono una dialettica ovvia sugli argomenti più disparati del loro vivere quotidiano anche se il sesso appare una calamita imbarazzante per il loro senso comune. Vincenzo e Saverio (questi sono i loro nomi) sono come tanti, forse un po’ più fatui. Due anti eroi del nostro tempo. E nei giorni del Covid-19 l’operazione passatempo funziona. Il dialogo è perturbante ed innesta climi da commedia dell’assurdo. Beckett e Ionesco sono leggermente rievocati da un senso dell’assenza che è angosciante. Fino a rimbalzare alla fatidica irrisolta domanda finale. La filosofia di Saverio nella risposta iniziale si condensa così: “Se per felice intendi uno che è soddisfatto di sé, di quello che fa, ed è felice, allora no, non sono felice. Ma se per felice intendi uno che è soddisfatto di sé, di quello che fa, anche se non è proprio felice, allora sì, posso dire che sono felice”. Chiaro, no?
data di pubblicazione:30/05/2020
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