ZERO di e con Massimiliano Bruno, regia di Furio Andreotti

ZERO di e con Massimiliano Bruno, regia di Furio Andreotti

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 17/31 marzo 2019 e poi in tournée)

Un attore per sei personaggi e altrettanti voci. Saga malavitosa tra Roma e la Calabria con one man show e consacrazione della versatilità di un regista-sceneggiatore.

 

Chi conosceva Massimiliano Bruno come fecondo quanto corrivo illustratore di realtà last minute nel cinema deve aggiungere al giudizio sul personaggio la performance d’attore in uno spettacolo collaudato e non più inedito ma ancora profondamente efficace. Nella bomboniera del teatro romano, piena come non mai, alla fine standing ovation e applausi in piedi di un pubblico molto amichevole ma che giustifica la reazione per la sua bravura in uno spettacolo che ricorda in fondo in fondo anche la stand up comedy per il continuo andare e venire dietro le quinte del solista, accompagnato da un’orchestra di quattro elementi che occasionalmente, gli fornisce  i piccoli arnesi di scena, compresa una borsetta. Si, perché nel mazzo dei personaggi, in maggioranza di estrazione calabrese, c’è anche Margherita, una donna. Bruno tiene in pugno la situazione con grande padronanza, anche nel raccontare quella che è storia di strage e di vendetta, faida di ‘ndrangheta, con caldi e passionali umori del sud tradotti in palcoscenico. L’Italia è piena di imitatori di voce: una storia che da Fregoli vira su Noschese, Sabani, Franco Rosi fino all’attuale Virginia Raffaele ma Bruno è qualcosa di più perché deve anche badare alla mimesi. E si può immaginare come non sia facile passare in pochi secondi a riassumere vite diverse ma nell’occasione accomunate dall’esigenza di una vendetta. La morte è solo evocata con suggestioni potenti e crudeli. Le continue diversioni e l’uso prolungato del dialetto producono effetti comici più che drammatici anche se il finale è in grigio scuro. Intrattenimento di qualità e non privo d’impegno per uno spaccato realistico sulla disastrata Italia oggi, soprattutto quella del profondo sud. Sangue evocato ma ferite reali della società cosiddetta civile.

data di pubblicazione:01/04/2019


Il nostro voto:

LA BANDITACCIA di Alessandro Morganti e Angelo Pecorelli con il collettivo “Quelli del martedì”

LA BANDITACCIA di Alessandro Morganti e Angelo Pecorelli con il collettivo “Quelli del martedì”

(Teatro delle Scuderie di Palazzo Farnese a Caprarola, 7 gennaio/31 marzo 2019)

Una commedia malavitosa in salsa agreste. Tra dialetto romanesco e caprolatto (il dialetto di Caprarola) in un’ambientazione suggestiva e raccolta.

Tre mesi di repliche e di tutto esaurito sanciscono il successo di una compagnia che dagli inizi amatoriali si è issata verso il professionismo uscendo fuori dai confini della Tuscia per un vero e proprio fenomeno regionale, se non nazionale. Una compagnia affiatata di una dozzina di elementi che producono uno spettacolo all’anno e, concluso questo ciclo, in primavera, si rimmergeranno in una nuova avventura da riproporre al fedele pubblico a inizio 2020.

Ambientata in un ristorante dove succede un po’ di tutto in tre quadri la commedia sa di agreste e strizza l’occhio all’attualità contaminando la cronaca. Perché i banditi della Tuscia non sono proprio degli sprovveduti se hanno gestito il traffico di droga nella capitale in combutta con alcuni personaggi di spicco della Banda della Magliana, compreso De Pedis. Tre attori principali guidano gli altri verso il sicuro successo: il professore (artefice del clamoroso colpo di scena finale che non sveliamo), il cuoco, il proprietario). Gli altri si inseriscono in una funzionale sinergia di gruppo con il ricorso frequente a un turpiloquio naturale e non volgare. La partecipazione allo spettacolo in una cornice inusuale conferisce il fascino esperienziale dell’assoluta novità per un pubblico non necessariamente aduso alla frequentazione dei teatri cittadini.

Puro e automatico divertimento senza pretese di complessità per un genere definito criminale. Si spara anche in scena con il limite di partecipazione di una sola attrice in un coro di maschi. Risate di pancia che però arrivano anche al cervello. Il finale imprevisto regala una bella scarica di adrenalina e chiarisce le capacità trasformiste di uno degli attori più bravi, non a caso definito il professore. Una ricca collezione di Dvd con gli spettacoli già in archivio è il biglietto da visita mediatico di una compagnia che si è fatta tanta strada, conquistando un pubblico non casuale.

data di pubblicazione: 31/3/2019


Il nostro voto:

PICCOLI SUICIDI TRA AMICI di Arto Paasilinna. Edizioni Iperborea, 2018

PICCOLI SUICIDI TRA AMICI di Arto Paasilinna. Edizioni Iperborea, 2018

Si sa che Finlandia è il Paese con la più tragica scia statistica di suicidi al mondo. Non è un argomento su cui scherzare se non si ha la levità di uno scrittore di quella nazione che inventa un plot funzionale e ricco di sviluppi immaginando una sorta di sindacato degli aspiranti suicidi che si coalizzano per un imponente significativo atto di massa. In realtà in questo viaggio-avventura, pieno di scorribande e di divagazioni turistiche, rivela che il desiderio non era così fortemente radicato nella maggioranza. Molti si ritraggono sul metaforico burrone e semmai qualche scomparsa in corso d’opera convince i più ad adire a più miti propositi. Come giustamente sottolinea Marani nella postfazione nella loro serissima e compassata filosofia i finlandesi sarebbero anche capaci di organizzare un convegno sul tema. Proprio la tradizionale mancanza di umorismo nel mettere in atto l’insano proposito è fonte di ironia dell’autore che commenta le tragicomiche avventura della compagnia di sbandati con levità e con distacco, come se si abbandonasse alla piega casuale della vicenda. Il Gran Tour del suicidio parte dalla Finlandia e passando per la falesia del Capo Nord, attraversando anche la Svizzera, spinge al capolinea dell’Algarve. La compagnia si sgretola e si sfarina. Il proposito del suicidio collettivo diventa sempre più flebile rispetto a impulsi sentimental/sessuali, al risvegliarsi della vita attraverso il cibo e le peripezie che rimandano all’assurdità dell’atto progettato. Si tratta di un disincantato e naturale ritorno alle primarie esigenze della vita, filtrato da un romanzo che è anche la fotografia antropologica di una nazione. Il libro è uscito è in edizione originale nel 1990 e ha goduto di gran successo in Italia, giungendo alla fortunata dodicesima edizione. Ci sembra degna base per un film di successo, con fedele sceneggiatura, che ancora non è stato concepito.

data di pubblicazione:29/03/2019

PUGILI di Dario Torromeo- Absolutely Free, 2018

PUGILI di Dario Torromeo- Absolutely Free, 2018

Antropologia di uno sport vissuto profondamente dall’autore, giornalista di lungo corso, oggi, dopo il virtuale ritiro di Rino Tommasi (87 anni!) il decano della categoria. La declinazione di uno sport violento è fatta anche di storie umane, divertenti, tragiche e bizzarre, una metafora dell’esistenza. Torromeo ha dedicato 16 libri al pugilato e si orienta come un pioniere in uno sport che appartiene più allo scorso secolo vista la rarefazione dell’attività, legata alla conseguente e progressiva indifferenza del pubblico. Ma chi non ricorda Benvenuti e Mazzinghi, Duilio Loi se non Primo Carnera? L’autore pesca nel mazzo di migliaia di possibile storie, scegliendo invariabilmente quelle che più lo hanno intrigato, all’Italia ed all’estero. Molte nascono dalla tradizione orale, dalla leggenda, da vite vissute, da terribili sfide sul ring. Alternativamente vicende di pugili che hanno toccato la fama e il successo ed altri a cui la vita (e il ring) ha volto le spalle. Ne esce un affresco umanissimo, anche alla portata dei profani perché i medaglioni incastonati nel volume spesso sono carne viva, brandelli sanguinolenti, metaforicamente e non. Pugili finiti anche su un set porno. Sfilano Arcari, Duran, Rosi, Benitez, Camacho e Tyson in una commedia umana che appartiene anche a Sinatra (grande appassionato di boxe) o Bob Dylan che dedicò una canzone a Rubin Hurricane Carter, pugile galeotto. Si dipinge un’umanità variopinta e pittoresca, irriducibile e borderline. Si respira vita e morte perché il pugilato arruola campioni miracolati dalla conquista del titolo mondiale e altri che invece su un pugno letale hanno visto spenta la propria vita. Il libro è un pugno nello stomaco che non vi manda knock out ma non ci lascia indifferenti. C’è chi è salito sul ring poche ore dopo un profondo lutto personale, innamorato di uno sport che è anche considerato “noble art”. La boxe oggi è in crisi e rischia di essere addirittura esclusa dai Giochi Olimpici. Quindi questo testo è anche un tentativo di farla rimanere in vita, perlomeno nella memoria collettiva.

data di pubblicazione:25/03/2019

REGINA MADRE di Manlio Santanelli, regia di Carlo Cerciello

REGINA MADRE di Manlio Santanelli, regia di Carlo Cerciello

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 7/17 marzo, poi in tournèe in Italia)

Una commedia inizialmente amabile poi infinitamente nera. Con ruoli che si ribaltano in un enigmatico gioco crudele gioco di famiglia.

 

Ha 35 anni di vita questa energica commedia drammatica, un ossimoro che riassume le sue varie tinte e corde. Grande ammirazione per la perfetta empatia degli interpreti. Nella prima parte prevale la madre ipocondriaca sul figlio stizzito ma in fondo remissivo. Ma poi i ruoli si ribaltano e cambiano rapporti di forza, di equilibrio e persino le voci. Quella stridula della madre riacquista vitalità e si svecchia del simulacro iniziale. Al divertente succede lo sgomento e la decifrazione di un perfetto gioco di ruolo intessuto grazie all’arma della parola. Scenografia spoglia con una serie infinita di bicchieri al piano di sotto, un bisogno di acqua, una simbolica soddisfazione della sete e congrua spazialità a disposizione. I due familiari duellano e più che il fioretto usano la spada mostrando la crudeltà degli intrecci. Erta piaciuta a Ionesco questa rappresentazione per i caratteri un po’ misteriosi e ambigui dell’assunto. In effetti la trama è irraccontabile e la sua interpretazione è totalmente affidata alla fantasia e allo spirito speculativo e indagatore dello spettatore. Violenza e schizofrenia, di un piccolo gruppo di famiglia in un interno. Si scoprirà quanto sia solo un pretesto la comparsa del figlio che va a coabitare con la madre per aiutarla a convivere con una malattia incurabile. C’è molto di più e di non detto dietro questo meritevole ausilio. Nel finale, quando si sciolgono in un abbraccio, i personaggi ma anche gli attori hanno praticamente la stessa età. Miracoli della mimesi, della tecnica e della parola che è la grande manovratrice di uno spettacolo che ha riscosso calorosi consensi. Imma Villa, già protagonista di Scannasurice, è indimenticabile in un ruolo in cui mostra grande talento.

data di pubblicazione:18/03/2019


Il nostro voto: