SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE di William Shakespeare,  adattamento e regia di Marta Iacopini

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE di William Shakespeare, adattamento e regia di Marta Iacopini

(Teatro Brancaccio – Roma, 20 giugno 2017)

Sfiniti ma soddisfatti, i settanta attori dell’Accademia di Spettacolo L’Arte nel Cuore, riconosciuta a livello regionale e unica nel suo genere in Europa con l’obiettivo di abbattere ogni barriera che si contrappone tra la persona diversamente abile ed il resto del mondo, si sono esibiti nella nota commedia shakespeariana affrontando un testo certamente molto gravoso, ma che non ha minimamente smorzato il loro naturale entusiasmo di recitare, ballare e cantare di fronte ad un pubblico vero che li ha seguiti con vivo interesse e partecipazione.

Il lavoro è frutto di un costante impegno da parte di questi giovani attori, tutti normo-dotati e disabili, che si trovano insieme in un progetto di integrazione artistica che da dieci anni viene portato avanti da questa singolare Accademia i cui promotori, sotto la presidenza di Daniela Alleruzzo, sono infatti convinti che dove c’è talento non possano esistere pregiudizi che in qualche modo vadano ad impedire l’inserimento di soggetti disabili in un contesto lavorativo cinematografico e televisivo, al fine di seguire un percorso artistico professionalmente valido.

I corsi di studio spaziano dalla recitazione al doppiaggio, dal canto alla danza e vengono tenuti da docenti con spiccate capacità didattiche, supportati da una equipe psico-pedagogica che garantisce presenza costante ed sostegno durante lo svolgimento delle varie attività. Rispetto agli anni passati in cui venivano scelte commedie più leggere e divertenti, quest’anno è stato selezionato un testo singolare e con un intreccio narrativo non facile che prevede la comparsa di diversi personaggi mitologici in un contesto fiabesco e classico al tempo stesso. Veramente impeccabile la prova degli attori in un ambito scenico pieno di luci e colori a cura di Pasquale Cosentino.

Singolari anche i costumi ideati da Annalisa di Piero e le coreografie di Francesca Cinanni e Carmen De Sandi, che hanno contribuito egregiamente ad alleggerire il testo rendendolo più fruibile dal folto pubblico in sala.

Le tre ore di spettacolo sono volate via in un attimo, creando una atmosfera incandescente dovuta sia all’entusiasmo generale sia, purtroppo, alla mancanza totale di aria condizionata, unico neo di questa piacevolissima serata.

data di pubblicazione:21/06/2017

UNE VIE (UNA VITA) di Stéphane Brizé, 2017

UNE VIE (UNA VITA) di Stéphane Brizé, 2017

Ci troviamo in Normandia, inizio ‘800. Julien de Lamare, nobile squattrinato, viene presentato all’unica figlia del barone Le Perthuis des Vauds, Jeanne, con l’intento di combinare il matrimonio tra i due. La bella e aristocratica fanciulla si innamora subito dell’avvenente giovane e, con l’assenso dei genitori, accetta appassionatamente di sposarlo. Ben presto Julien si rivelerà un incorreggibile fedifrago e la sua falsità porterà Jeanne, divenuta nel frattempo madre del piccolo Paul, verso un lento inesorabile declino che lascerà spazio solo ai bei ricordi di una vita passata, unica risorsa per la quotidiana sopravvivenza ad un’esistenza segnata oramai solo da solitudine e miseria.

 Tratto dalla prima opera completa di Guy de Maupassant del 1883, in cui lo scrittore non esitava ad affrontare con amaro realismo la società del suo tempo e le ipocrisie che la caratterizzavano, il film del regista francese Brizé mette in luce tutte le componenti espressive tipiche del romanzo dell’800, di cui lo stesso Maupassant ne fu il precursore. In effetti viene rispettata la dinamica propria del racconto, che sebbene molto articolato, non tralascia di ricorrere ad uno stile narrativo di sintesi, lasciando allo spettatore il compito di colmare quei vuoti temporali volutamente creati al fine di ricompattare, con la propria immaginazione, gli intrecci che caratterizzano l’intera vicenda. Tutto ciò si realizza attraverso un montaggio perfetto che risulta funzionale al pathos che il film intende trasmettere: i lunghi piano sequenza ed il formato adottato mettono bene in evidenza l’espressione dei volti e ci fanno cogliere, in maniera quasi impercettibile, il dramma interiore che travaglia nell’intimo l’animo dei protagonisti. A fare da contrappunto a questo universo quasi claustrofobico, il regista manda immagini di spazi aperti ed assolati in un quotidiano, frutto solo di ricordi di una spensieratezza che fu, che hanno lo scopo di seppellire una sofferenza oramai radicata che invece lascia poco spazio ad ogni tentativo di felicità. Jeanne (magistralmente interpretata da Judith Chemla), sarà costretta ad affrontare senza soluzione di continuità i colpi di un destino triste e spietato dove prima il marito e poi il figlio, le due persone che ama di più al mondo, non le lasceranno altro che il rifugiarsi nei ricordi di una vita spensierata perché non contaminata dal mondo esterno. Ma questi stessi ricordi sembrano incupire ancora di più il presente perché riportano la sventurata a rivivere i momenti in cui credeva solo nell’amore e nella verità, e non conosceva menzogna e tradimenti.

A dispetto dell’ambientazione che ricalca la mentalità dell’epoca, il film si lascia seguire con interesse per la splendida interpretazione degli attori, per la fotografia e la ricercatezza dei costumi.

Sembra inoltre indovinata la scelta di distribuire la pellicola in lingua originale con i sottotitoli, elemento questo che aggiunge un tocco di ulteriore raffinatezza al ben riuscito lavoro di Brizé.

data di pubblicazione:14/06/2017


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QUELLO CHE SO DI LEI di Martin Provost, 2017

QUELLO CHE SO DI LEI di Martin Provost, 2017

Claire è una ostetrica che da vent’anni svolge il suo lavoro in maniera ineccepibile. La donna è una madre single che ogni giorno deve affrontare i normali problemi sia in campo lavorativo che personale, perché il suo lavoro è seriamente a rischio a causa della chiusura del reparto maternità e nella vita privata perchè deve confrontarsi con le nuove scelte esistenziali del figlio ancora giovane. Improvvisamente irrompe nella sua vita Béatrice, una donna settantenne ancora bella che in passato era stata l’amante del padre, e che tenterà di ricucire un rapporto affettivo con la riluttante Claire che per ovvi motivi non era mai nato in passato.

 

Il film Quello che so di lei (titolo originale Sage Femme) ci parla di due mondi contrapposti: quello meticoloso e ordinato di Claire (Catherine Frot) e quello sregolato e godereccio di Béatrice (Catherine Deneuve). Le due differenti personalità si scontrano dando l’impressione che non ci siano i presupposti per trovare alcun punto di contatto, né tantomeno per provare ad instaurare un rapporto affettivo vero considerato il ruolo di Béatrice, che anni addietro era stata l’amante del padre di Claire e quindi causa di dolore per l’intera famiglia. Il rifiuto iniziale da parte di Claire che, dopo anni di totale assenza, certamente non può ora accettare l’affetto di questa donna oramai settantenne a lei di fatto sconosciuta, pian piano si trasformerà in un rapporto prima di rispetto e poi alla fine di genuina tenerezza. Da donna integerrima che ha sempre svolto il suo lavoro con assoluta dedizione, troverà proprio nella forza e nel temperamento trasgressivo di Béatrice, impulso e coraggio per affrontare la realtà con la necessaria consapevolezza di chi non può arrendersi di fronte alle scelte irresponsabili degli altri. E se per professione ha sempre avuto il compito di dare la vita, con Béatrice Claire si troverà ad affrontare un compito ben più complesso e nuovo per lei.

Merito indiscusso di Martin Provost è stato quello di aver scelto per questo suo film due donne così diverse per carattere e provenienza lavorativa, la prima Catherine dal teatro e l’altra Catherine dal cinema, riuscendo a combinare quel giusto mix che ha dato uno sprint particolare all’intera narrazione, altrimenti di scarso impatto emotivo. La Deneuve sembra proprio recitare se stessa nel ruolo di una donna settantenne ancora bella, che sa godere della vita ben consapevole che la decadenza fisica è dietro l’angolo e che bisogna procedere tempestivamente all’assalto al buffet prima che venga sparecchiato definitivamente. In occasione della presentazione del film all’ultima edizione della Berlinale, il regista in conferenza stampa ha voluto confidare ai giornalisti che il film, del quale aveva scritto per la prima volta l’intera sceneggiatura, era stato voluto per ricordare ed omaggiare l’ostetrica che lo aveva fatto nascere e che gli aveva salvato la vita con una tempestiva trasfusione del proprio sangue. Al di là di questa nota sentimentale, la storia si lascia seguire soprattutto per l’eccezione bravura delle due protagoniste, elemento questo necessario ma non sufficiente per la totale buona riuscita del film.

data di pubblicazione:01/06/2017


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ARTFUTURA – Creature Digitali

ARTFUTURA – Creature Digitali

(Ex Dogana, Via dello Scalo di San Lorenzo – Roma, 28 aprile/10 settembre 2017)

In una città che perde colpi giorno dopo giorno, e che senza interventi di riqualificazione ambientale rischia seriamente di perdere la connotazione di città eterna agli occhi dei milioni di visitatori che la “invadono”, qualcosa finalmente sembra muoversi nel famoso e movimentato quartiere di San Lorenzo.

Assecondando la tendenza moderna di riconquistare spazi precedentemente adibiti a scopi industriali – vedasi il Teatro India e il recupero degli spazi dell’ex stabilimento Mira Lanza nella zona del Gazometro – è nata da poco una idea molto innovativa, ed ambiziosa nello stesso tempo, promossa da MondoMostre, società che si occupa di eventi culturali, e Skira, specializzata in generale nell’organizzazione di mostre.

Il progetto, già in parte avviato e che prevede nel breve cospicui investimenti, consiste nel trasformare la Ex Regia Dogana, vicino all’omonimo scalo merci di San Lorenzo, in un centro polivalente destinato ad accogliere eventi di vario genere che andranno ad impegnare il campo dell’arte, della tecnologia, del cinema, della musica e tanto altro ancora. Lo spazio espositivo, che ha già visto diverse manifestazioni musicali e di moda alternativa firmati da giovani stilisti di tendenza, ha già presentato un denso programma di attività che riguarderà i diversi generi della musica spaziando da quella propriamente classica a quella tecno.

In questo periodo, tra le varie iniziative collaterali, viene allestita una mostra intitolata ArtFutura – Creature Digitali che presenta installazioni di artisti internazionali che si muovono nel campo del digitale, progetto già presentato in circa trenta città sparse per il mondo. I nomi coinvolti sono: Toshio Iwai, Ryota Kuwakubo, Brian Eno, David Byrne, ILM, Pixar, Tomato e Blast Theory oltre ad importanti case di produzione cinematografica come Pixar, Dreamworks e Digital Domain. Questi artisti, ognuno con le proprie peculiarità espressive, partono dall’assioma comune che l’arte contemporanea non può scindersi dall’elemento tecnologico, necessario per stimolare, o meglio riattivare, emozioni e sensazioni in una sorta di empatia con l’ambiente. Attraverso immagini luminose, che sembrano voler scomporre la luce nei suoi elementi primari, il visitatore si trova quasi smarrito in una sorta di esperienza onirica dove proprio la tecnologia ci fornisce materia e forma in movimento come stimolo di una visione propria, tutta proiettata verso un futuro oramai prossimo.

Una esperienza che si consiglia vivamente a chi vuole toccare un qualcosa di intangibile ed entrare in una quarta dimensione tutta da esplorare.

data di pubblicazione: 30/05/2017

 

RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA di Kore’eda Hirokazu, 2017

RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA di Kore’eda Hirokazu, 2017

Ryota, pur avendo vinto un importante premio letterario con il suo romanzo d’esordio, si può definire un perdente a 360 gradi. Per la sua incapacità di realizzarsi come uomo maturo e responsabile, ha perso la sua famiglia, è detestato dalla sorella che lo ritiene un fannullone e la madre non si trattiene dal dirgli che ha ereditato i peggiori difetti del padre defunto, quali la menzogna e l’abilità di rubare i risparmi di casa per andare a giocare alle scommesse. A causa di una tempesta che sta per abbattersi sulla città, suo figlio e la sua ex Kyoko sono costretti a pernottare a casa della madre di Ryota: sarà solo allora che l’uomo prenderà finalmente coscienza del proprio amore verso la moglie e verso il piccolo Shingo e, soprattutto, che gli errori del passato non sempre si possono aggiustare ma solo vivendo pienamente il presente si può migliorare il futuro, nella consapevolezza che la vita è qualcosa che si costruisce giorno per giorno.

 Il regista giapponese Kore’eda Hirokazu, dopo il successo ottenuto con il film Father and Son, si cimenta ancora una volta a voler analizzare nel dettaglio la storia di un uomo, oramai alla deriva, che cerca a tutti i costi di costruire un rapporto affettivo verso suo figlio, che la separazione con la moglie gli ha inevitabilmente reso difficile. Ryota (Hiroshi Abe) sembra aver assorbito in pieno le caratteristiche negative di suo padre, egoista e vizioso, essendo anch’esso incapace di prendersi ogni minima responsabilità nell’ambito familiare per vivere solo nel proprio egocentrismo e curare i propri interessi e le proprie passioni. Di fronte al proprio fallimento, che tutti in ogni modo non evitano di ricordargli, l’uomo si trova a render conto, innanzitutto a se stesso, della sua vita e della sua incapacità di diventare un vero uomo lasciandosi alle spalle il bambino che è rimasto dentro di lui e che lo rende incapace di crescere. Ma come inventarsi il ruolo di padre se lui stesso non ne ha mai avuto uno all’altezza della situazione? Ecco che il regista affronta consapevolmente il problema affettivo e di ruolo all’interno della famiglia: un esame minuzioso e lento, per meglio far comprendere allo spettatore la complessità di tali rapporti, in una società, quella giapponese, dove anche i sentimenti più forti e passionali vengono ricomposti per poi manifestarsi sempre quasi in una sorta di sottotono. Anche i dialoghi si dipanano all’interno ristretto dell’appartamento della madre (Kirin Kiki – Le ricette della Signora Toku) sempre nella maniera giusta e con quelle sentenze che sia pur spontanee e casuali sono pregne della millenaria saggezza nipponica. La pioggia che si abbatte sulla città simbolicamente spazzerà tutto quello che non va, di un passato che si vuole recuperare per ritornare sui propri passi, questa volta con una maggiore consapevolezza del proprio ruolo di uomo verso la moglie, e di padre verso il figlio. Passata la notte e con essa la tempesta, i personaggi appaiono più sicuri di sé, convinti però che il ricucito rapporto affettivo non sarà sufficiente a ricomporre quel nucleo familiare a cui dovranno per forza di cose rinunciare. Buona la fotografia e l’ambientazione dell’azione, in una periferia modesta dove però i rapporti interpersonali sono ben protetti e rispettati, il tutto secondo quel tradizionale perbenismo che caratterizza la società giapponese.

data di pubblicazione:30/05/2017


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