da Antonio Iraci | Lug 12, 2024
Ma Zhe è a capo della polizia della piccola cittadina fluviale di Banpo. A seguito del ritrovamento del cadavere di una donna, viene incaricato di seguire il caso e di risolverlo al più presto. Siamo nella Cina rurale degli anni ‘90 e anche se il periodo maoista è oramai dimenticato, tuttavia il clima che si respira sembra rimasto saldamente ancorato ai tempi andati. Gli indizi a disposizione sono pochi e irrilevanti e non sarà facile trovare il vero assassino e capire il perché di quel gesto efferato…
Presentato l’anno scorso a Cannes, nella Sezione Un Certain Regard, questo film del regista cinese Wei Shujun ci riporta all’atmosfera pesante di una Cina che non riesce ancora a liberarsi del suo scomodo passato. La vita in genere rimane ancora difficile anche per la presenza di una ingombrante e persistente macchina burocratica. Di fatto è quindi molto complicato per il giovane ispettore di polizia Ma Zhe venir a capo di tre misteriosi omicidi. Prima l’assassinio di una vecchia, poi il ritrovamento di altri due cadaveri, ogni delitto sembra collegato agli altri ma senza un chiaro movente e tra la reticenza della piccola comunità del luogo. Personaggi strani ed ermetici che fanno da sfondo a questa vera e propria detective story, dove tutto quello che c’è da risolvere di fatto rimane senza soluzione. I protagonisti, direttamente o indirettamente coinvolti, sembrano recitare un ruolo ben assegnato, dove tutto è innaturale anche nei minimi gesti. Lo stesso Ma Zhe deve affrontare le proprie ossessioni personali, con una moglie che sta per partorire un figlio con molte probabilità affetto da gravi disabilità. Interessante come il regista ponga questo personaggio al centro del racconto, proprio per evidenziare la sua complessa personalità, onirica e immaginaria, che si rispecchia non solo nel privato ma anche anche nello svolgere il suo lavoro investigativo. Lui è un vero e proprio enigma umano, anche nelle minime cose e nei rapporti con i superiori rimane sempre indecifrabile, inseguito da una perenne incertezza. Ci saranno i sospettati, le confessioni, la convinzione di essere arrivati alla soluzione, quando invece non vi è nulla di certo né di risolto. Uno sguardo alla Cina di una volta che però in qualche modo riflette la Cina di oggi che, sia pur diventata la terza potenza economica del mondo, fa fatica a liberarsi di molti cliché oramai anacronistici. Bravo il regista, decisamente originale nel descrivere l’atmosfera cupa e opprimente del romanzo di Yu Hua, da cui è tratta la sceneggiatura, giovane e apprezzato scrittore cinese. Bravi tutti gli attori che rendono bene il clima noir che il film vuole descrivere, emotivamente coinvolgente anche se a tratti con effetti leggermente soporiferi.
data di pubblicazione:12/07/2024
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da Antonio Iraci | Lug 11, 2024
Pierre Forges è un pediatra, con scarsa esperienza in politica, che si trova quasi per caso ad accettare ad interim la carica di sindaco di un sobborgo parigino. Quando deciderà di bonificare il quartiere, con la demolizione di alcuni edifici fatiscenti, si troverà di fronte l’ostilità di tutta la comunità franco-africana costretta ad abbandonare le proprie case. La sommossa sarà capeggiata da Habi, donna molto impegnata nel sociale, che farà di tutto per impedire l’abbattimento del fabbricato dove è nata e dove ancora vive…
Dopo lo strepitoso successo per il suo primo lungometraggio I Miserabili, premio della Giuria al Festival di Cannes e candidato agli Oscar nel 2019, Ladj Ly ritorna a parlare della periferia di Parigi, dove peraltro è nato. Lui stesso ha vissuto le tensioni sociali delle banlieue dove gli abitanti, tra rabbia e violenza, si trovano costantemente a lottare per mantenere i propri diritti di fronte ad un ordine istituzionale che li ignora completamente. Il regista aveva esordito qualche anno prima parlando dei disordini avvenuti nel sobborgo di Montfermeil, dove si erano registrati violenti scontri tra i manifestanti e le forze di polizia, mettendo ancora una volta in risalto la non facile situazione che sta attraversando l’intero Paese. Mutatis mutandis anche in questo secondo film, il regista affronta un cocente problema che è quello della riqualificazione delle aree urbane a scapito della popolazione che le occupa da anni. Come suggerisce lo stesso titolo, si tratta di intere comunità, oramai francesi d’adozione, che però risultano indesiderabili da parte di una certa classe politica, senza scrupoli e poca attenta alle loro esigenze. Pierre (Alex Manenti), temporaneamente sindaco, si trova a continuare l’opera distruttiva del suo predecessore, spinto da una incontenibile voglia di affermare se stesso e il proprio potere ricorrendo a prove di forza. Nascondendosi dietro un’ipocrita senso di accoglienza verso una famiglia di profughi siriani, di fatto è completamente insensibile ai bisogni di una intera comunità che, proprio alla vigilia di Natale, si trova costretta ad abbandonare le proprie abitazioni. Lo scontro frontale con la giovane Habi (Anta Diaw) capace di metterlo di fronte alle proprie responsabilità, farà forse riflettere l’irruento e reazionario sindaco, che dovrà così rendersi conto di quanto disastrosa sia stata la sua politica. Un film che certamente fa riflettere sulla cruda realtà delle periferie parigine dove le minoranze si trovano indifese e perennemente minacciate da uno establishment ottuso e cieco che rema loro contro.
data di pubblicazione:11/07/2024
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da Antonio Iraci | Lug 11, 2024
Alice e François riuniscono i genitori nella sontuosa tenuta della famiglia di lei. Il padre di lui è un concessionario della Peugeot e da subito viene messo a disagio dai consuoceri, i Bouvier Sauvage, che vantano una discendenza nobile e vecchia di diversi secoli. I due giovani hanno intanto preparato una sorpresa: un test del DNA per tutti loro. Ognuno leggerà le proprie origini e rimarrà completamente spiazzato dal risultato scaturito da questo insolito esame di laboratorio…
La commedia alla francese riesce bene se a farla è un francese. Assioma inconfutabile che si applica perfettamente al film firmato dal regista Julien Hervé. Il plot, piuttosto elementare e meglio adattabile a una pièce teatrale, non si può certo considerare particolarmente esilarante. Due famiglie di classi sociali completamente diverse che si trovano a rivaleggiare in nome dell’amore sincero che unisce i loro rispettivi figli. Ognuno sembra legato alle proprie salde origini alle quali non intende certo rinunziare e che anzi diventa elemento di orgoglio quando si troveranno a conversare in salotto per accogliere la notizia del prossimo matrimonio dei figli. Certo non sarà facile per un Bouvier Sauvage acconsentire alla nozze della loro unica figlia e consegnarla nelle braccia di un Martin, insignificante concessionario d’auto. Superate a fatica queste differenze di ceto sociale, tutto sarebbe potuto andare liscio se i promessi sposi non avessero avuto la geniale idea, è il caso di dirlo, di sottoporre i rispettivi genitori al test del DNA. Lo scopo era di rivelare a ciascuno la propria reale discendenza. L’iniziativa, se può sembrare originale, non prevede certamente un risultato così esplosivo. Ognuno scoprirà qualcosa di inimmaginabile che porterà a rivedere nel bene e nel male le proprie convinzioni. Un film divertente, leggero, che vanta l’ineccepibile interpretazione di due grandi comici francesi: Didier Bourbon e Christian Clavier. Situazioni grottesche, ma sempre esilaranti, accompagnano lo spettatore in questa commedia che, forse nell’intento del regista, dovrebbe mettere alla berlina la società francese, così rigidamente attaccata ai propri sentimenti nazionalistici. Come sempre il lieto fine aggiusterà ogni velleità e ogni pregiudizio e il matrimonio verrà comunque fatto. Per la verità anche un poco in ritardo visto che nel frattempo si è materializzato un piccolo Martin per la felicità dei nonni che hanno già dimenticato le proprie inaspettate origini. Pian piano acquisiranno la giusta dose di saggezza per capire quanto siano importanti i rapporti umani che vanno anche vissuti con una buona dose di ironia e di umorismo.
data di pubblicazione:11/07/2024
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da Antonio Iraci | Giu 26, 2024
Donya è miracolosamente riuscita a fuggire da Kabul dove lavorava come traduttrice presso le truppe statunitensi in Afghanistan. Ora vive a Fremont, in California, operaia in una piccola fabbrica cinese di biscotti della fortuna. Il pensiero dei suoi familiari e il rimorso per averli abbandonati nel suo paese rende le sue notti insonni. Per risolvere questo problema inizierà a frequentare lo studio di uno psicoterapista e pian piano darà un senso alla sua solitudine…
Il regista Babak Jalali, di origini iraniane, insieme alla regista e sceneggiatrice italiana Carolina Cavalli, confeziona su misura un film sulla figura quanto mai enigmatica di Donya. Una rifugiata che vive ai margini di una comunità afghana, in un paese non suo e che cerca con ogni mezzo di farlo diventare suo. La ragazza passa il suo tempo tra la fabbrica di biscotti della fortuna, dove lavora, e la sua modesta camera in un vero e proprio ghetto dove sono vigenti le leggi e le usanze del lontano Afghanistan. Proprio nella solitudine della sue interminabili notti da insonne, i pensieri salgono alla sua mente e le creano forti tormenti. A Kabul ha infatti lasciato ogni cosa e tutti i propri affetti. Lei stessa però si considera una fortunata per essere riuscita a porsi in salvo, fortuna che forzatamente cerca di trasferire agli anonimi consumatori di quei biscotti che contengono all’interno un messaggio profetico. Film nella sostanza statico pone Donya (Anaita Wali Zada) al centro di una schermo che lei stessa riesce a trapassare con lo sguardo e raggiungere direttamente lo spettatore. Il film infatti ruota su una staticità e una riproduzione di gesti senza soluzione di continuità che, aiutate da una fotografia in bianco e nero, sono quanto mai funzionali e dipingere l’immagine di una donna sola in cerca di amore vero. Se la sorte pare si prenda gioco di lei, in effetti, dietro le quinte, sta preparando per la ragazza la possibilità di un lieto fine, fornita da un meccanico (Jeremy Allen White) anche lui triste e solo. Come ogni lavoro che in qualche modo si focalizzi solo su l’immagine malinconica del protagonista, anche questo film rischia di annoiare, se non addirittura infastidire, lo spettatore. Se lo si guarda invece nell’ottica di una sorta di emancipazione e crescita, nella ricerca di una felicità che stenta ad arrivare, allora il film di Babak Jalali assumerà una valenza particolare e se è vero che la felicità sta nel biscotto giusto, allora basta avere la fortuna di trovarlo.
data di pubblicazione:26/06/2024
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da Antonio Iraci | Giu 17, 2024
Modesta vive con la madre e la sorella disabile in una povera casa di campagna di un entroterra siciliano. In famiglia viene trattata con disprezzo e si illude di ricevere attenzioni solo da un padre, sempre assente, che le manifesta interesse, che lei inizialmente scambia per affetto ma che si tramuta in un atto di violenza. A seguito di un incendio, rimasta sola, viene accudita in un convento di suore dove tra figlie di principi e principesse dovrà adattarsi, facendo crescere in se’ stessa la consapevolezza che anche lei un giorno potrà raggiungere quel rango e imparare così cosa veramente sia “l’arte della gioia”…
In veste di regista Valeria Golino dà veramente prova di grande abilità nella trasposizione cinematografica del romanzo postumo della scrittrice Goliarda Sapienza. Con una sceneggiatura scritta a più mani, Golino dà il meritato valore a una narratrice siciliana che ha saputo descrivere il mondo arcaico della sua terra, andando contro a una cultura patriarcale tipica di quel periodo di inizio novecento, e riuscendo a sfidare con coraggio quella morale che mortificava nelle donne “l’arte della gioia” ovvero la possibilità di essere libere di scegliere come vivere la propria vita. Il film, presentato nelle sale in due parti ma che di fatto nasce come mini serie televisiva di Sky, ruota tutto intorno alla figura di Modesta che sin da bambina sa con consapevole certezza ciò che vuole e come dovrà ottenerlo. Lei stessa dimostrerà capacità di adattarsi a qualsiasi situazione, prima in un convento, dove vivrà accanto a delle novizie, poi nel palazzo nobiliare della principessa di Brandiforti dove darà subito prova di intelligenza e soprattutto di grande pazienza. Attraverso un matrimonio di convenienza, tra alterne vicende che lei stessa riuscirà a superare, anche a costo di travolgere senza scrupoli la vita di altri, Modesta si convertirà in una dama aristocratica, capace di badare a se stessa e alla casa a cui ora appartiene di diritto. Una manipolatrice che sa benissimo come raggiungere il suo scopo, sfruttando la seduzione come arma per conquistare sia uomini che donne. Ritratto quindi perfetto di un essere ribelle che sfida il suo tempo, capace di sapersi imporre e di apparire nello stesso tempo amante sensuale e madre irreprensibile. Il film di Valeria Golino è impeccabile in ogni dettaglio, specialmente nella regia e nella scelta del cast. A partire dalla protagonista assoluta della scena, interpretata dalla bravissima Tecla Insolia, a seguire con Valeria Bruni Tedeschi nei panni di una principessa Brandiforti che passerà alla storia, sino a Jasmine Trinca nel ruolo della tormentata badessa Eleonora. Nei ruoli maschili una nota di merito va a Guido Caprino. I dettagli sono curati dalla stupefacente fotografia di Fabio Cianchetti con il montaggio di Giorgio Franchini. La regista, che da giovane aveva lavorato a stretto contatto con Goliarda Sapienza, all’epoca apprezzata attrice di teatro, è riuscita appieno a trasfondere una storia scabrosa in un capolavoro cinematografico che farà conoscere il vero e genuino significato della vita, senza remore o false vergogne.
data di pubblicazione:17/06/2024
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