SPERIAMO CHE SIA FEMMINA di Mario Monicelli, 1986

SPERIAMO CHE SIA FEMMINA di Mario Monicelli, 1986

E come dimenticare questa splendida commedia del grande Monicelli tutta al femminile, dove i pochi uomini che ci sono se la devono vedere con questo gruppo di donne energiche e combattive, dalle idee chiare e soprattutto molto solidali tra loro. Il film è ambientato prevalentemente in un grande casale in Toscana e, solo in piccola parte, in uno splendido appartamento al centro di Roma, con una terrazza mozzafiato sui tetti della capitale. Le musiche sono di Nicola Piovani ed il cast di attori è di prim’ordine: Liv Ullmann è Elena, la padrona di casa, sorella di Claudia (Catherine Deneuve) divorziata con una figlia adolescente della stessa età della figlia della domestica di casa Fosca (Athina Cenci), il cui marito andando in Australia per cercare lavoro, si è anche risposato a sua insaputa; Philippe Noiret è il conte Leonardo, sciupafemmine e spendaccione, nonché padre di Franca (Giuliana De Sio) e Malvina (Lucrezia Lante della Rovere) ed attuale amante di Lori (Stefania Sandrelli); Paolo Hendel è Mario Giovanni, stupido fidanzato di Franca e collezionista di antiche ballate contadine che registra in giro per le campagne toscane, mentre Giuliano Gemma è il Nardoni, amante di Elena e segretamente interessato a rilevare l’intera fattoria, che naviga in pessime acque. Ed infine c’è zio Gugo, affetto da demenza senile, interpretato da uno splendido Bernard Blier. Il senso di tutta la commedia è che il cosiddetto sesso forte, è rappresentato da un insieme di uomini deboli, cialtroni o malati di mente, che non possono che soccombere sotto la forza di tutte queste donne ricche di buon senso, di lucidità e logicità, ma anche di tanta leggerezza che le porta a sdrammatizzare ogni cosa. Sul finale del film tutte le protagoniste, in compagnia solo di zio Gugo, si ritrovano intorno ad un bel tavolo imbandito dove viene pronunciata la frase che dà il titolo al film, gustando un tipico piatto invernale toscano: la ribollita.

INGREDIENTI: 1 kg di fagioli – brodo vegetale – cavolo nero – bieta – verza – 2 patate – soffritto di sedano, carota e cipolla – 70/80 gr guanciale o lardo di colonnata tagliato a dadini – 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro – olio, sale e pepe q.b..
PROCEDIMENTO:
Fare bollire i fagioli (precedentemente messi a mollo) dentro dell’acqua dove avremo messo una garza con all’interno gli ingredienti per fare del brodo vegetale (sedano, carota, zucchina, patata, cipolla etc) o in libertà, avendo l’accortezza a fine cottura di toglierli. Senza fare cuocere troppo i fagioli, una metà di essi passatela al setaccio per evitare che ne rimanga la buccia: la purea che otterremo la rimetteremo assieme agli altri fagioli. Nel frattempo mettete a stufare insieme le verdure, nella giusta proporzione: cavolo nero, bieta e verza; regolate di sale e di pepe il tutto e proseguite la cottura. Avviate quindi in un tegame dai bordi altri il soffritto di sedano, carota e cipolla tagliati finemente in abbondante olio di oliva, aggiungete due patate a pezzettini, le verdure appena stufate, i fagioli interi ed in purea; quindi, aggiungete del brodo vegetale e fate cuocere per circa un’ora. A questo punto fate soffriggere i dadini di guanciale ed uniteci il cucchiaio di concentrato di pomodoro. Riversate dunque nello stesso tegame del guanciale tutte le verdure e fate proseguire la cottura ancora per mezz’ora. Se piace, aggiungete al tutto un pezzo di cotenna di prosciutto. Le dosi sono approssimative perché si lascia alla libera interpretazione di ognuno di noi su quale di questi ingredienti si vuole fare più leva. E’ un piatto “tosto” ed i crostini di pane, magari fritti, sono d’obbligo!

L’ABBIAMO FATTA GROSSA di Carlo Verdone, 2016

L’ABBIAMO FATTA GROSSA di Carlo Verdone, 2016

L’ultimo film di Carlo Verdone entra in punta di piedi in quella che potremmo definire “l’era di Checco Zalone”, un’era in cui i parametri della comicità sono cambiati e la rispondenza plateale del pubblico italiano sancisce una innegabile mutazione nel percepire il genere commedia. Tuttavia L’abbiamo fatta grossa ha quel gusto autentico di vecchia commedia all’italiana con al suo interno una storia ben articolata, che accontenta quella fascia di pubblico che non vuole “dimenticare” un passato glorioso e che ride di gusto quando l’attore di teatro Yuri Pelegatti (Albanese), smemorato in scena perché la moglie lo ha appena lasciato, incarica Arturo Merlino (Verdone) di pedinarla credendolo un bravo investigatore. Arturo, goffo ex carabiniere costretto a convivere con una vecchia zia che parla (e non solo) giorno e notte con il marito defunto, accarezza così l’illusione di ravvisare in Yuri il cliente che aspettava da tempo e che darà finalmente una svolta alla sua vita.

Ma quando i loro destini si incontrano e le carte si scoprono, i guai non tardano ad arrivare: ed ecco che la coppia Verdone/Albanese riesce a farci passare due ore molto divertenti, non sembrando azzardato a chi scrive di ravvisare una certa assonanza con l’indimenticabile duo Lemmon(Felix)/ Matthau(Oscar), non solo per gli insoliti nomi di scena, ma perché assistiamo ad una prova attoriale molto equilibrata in cui nessuno è spalla dell’altro, ma ognuno brilla di luce propria senza tuttavia togliere nulla all’altro.

Molto ironiche sono le autocelebrazioni quando in Yuri, travestito da religioso, irrompe la voce di Cetto La Qualunque o quando per conquistare una ingenua barista con aspirazioni da cantante lirica Arturo racconta improbabili storie investigative, tornando per pochi attimi a vestire i panni di quel Sergio che imitava Manuel Fantoni, con tanto di sigaretta e… fatti di droga.

E sul finale, per colpa di un pedinamento sbagliato e di una valigetta piena di soldi, Yuri ed Arturo ci saluteranno con un omaggio che evoca un famoso gesto del grande Alberto Sordi ricordandoci, come solo due bravi attori possono fare, che la commedia italiana ha radici profonde che non vanno recise.

data di pubblicazione: 04/02/2016


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SOSTIENE PEREIRA di Roberto Faenza, 1995

SOSTIENE PEREIRA di Roberto Faenza, 1995

Lisbona, 1938. Pereira (Marcello Mastroianni), è un anziano giornalista responsabile della pagina letteraria di un piccolo quotidiano, incline alla pinguedine e con problemi cardiaci, dall’aspetto grigio; è un personaggio mediocre, Pereira, senza alcuna ideologia, che apparentemente sembra non accorgersi del regime dittatoriale del paese in cui vive. In realtà evita qualsiasi coinvolgimento, vivendo una vita di solitudine che lo porta tutte le mattine a dialogare con la foto della moglie morta molti anni prima, come se lei fosse ancora lì; sino all’incontro fatale con un giovane di origini italiane (Stefano Dionisi), che inizialmente assolda per scrivere i necrologi su celebri scrittori e intellettuali scomparsi, ma che poi si rivelerà una figura che gli cambierà la vita per sempre.

Il film, interpretato magistralmente dal grande Marcello Mastroianni in una delle sue ultime apparizioni sul grande schermo due anni prima della sua scomparsa e che gli valse il David di Donatello, verte principalmente sul cambiamento interiore di questo uomo piccolo, scialbo, che grazie all’incontro con un giovane rivoluzionario comincia ad aprire gli occhi, scoprendo le violenze, le intimidazioni e la assoluta mancanza di libertà, non solo di stampa, che esiste nel suo paese; e man mano che affiora dentro di lui la conoscenza, crescono anche la coscienza e quel coraggio che non ha mai avuto: le sue azioni cambiano, sino a giungere ad una radicale trasformazione di sé, emblematicamente rappresentata dalla scena finale di questo bellissimo film da vedere nuovamente.

L’ambientazione ci suggerisce un piatto di baccalà in agrodolce: la ricetta, grazie ad ingredienti inusuali, trasforma la materia di base in qualcosa di…sorprendente, come Pereira!

INGREDIENTI: 700 gr circa di baccalà ammollato, spinato e senza pelle – 50gr di uvetta di Corinto – 1 mela verde aspra grande – 50gr di pinoli – pepe – olio extravergine d’oliva q.b..

PROCEDIMENTO:Tagliare il baccalà in pezzi regolari dopo averlo asciugato bene affinché non tiri fuori toppa acqua in cottura; metterlo a rosolare in una padella con dell’olio, una grattatina di pepe, avendo cura di girarlo in modo che si crei una bella crosticina. Togliere i pezzi di baccalà dalla padella appena finita la rosolatura, e nel fondo di cottura mettere la mela sbucciata e tagliata a fettine sottili, portandola a cottura lentamente con il coperchio. Appena la mela si sarà un po’ disfatta rimetterci sopra i pezzetti di baccalà, l’uvetta ed i pinoli e far finire a fuoco lento la cottura. Si creerà un sughetto denso agrodolce.

E’ un piatto veloce, ma molto gustoso e raffinato. Se ne rimane un po’ lo si può frullare e la crema ottenuta la si può usare su dei crostini di pane caldo irrorati con olio d’oliva a crudo e qualche pinolo tostato sopra. Sorprendente!

LA CORRISPONDENZA di Giuseppe Tornatore, 2016

LA CORRISPONDENZA di Giuseppe Tornatore, 2016

Corrispondenza deriva da corrispondere, che significa rapporto reciproco fra elementi diversi, coincidenza tra essi, ed in matematica essa può essere univoca o biunivoca; ma c’è corrispondenza anche in un carteggio, in uno scambio di lettere tra persone, e significa anche contraccambio di affetti: celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi… diceva il poeta.

Ed Phoerum (Jeremy Irons) è un noto professore di astrofica che mantiene ancora intatto il suo fascino di sessantenne grazie anche alla relazione extraconiugale con Amy Ryan (Olga Kurylenko), una sua studentessa che, seppur fuori corso, ha ben tre anni meno di sua figlia Victoria. Il loro è un amore romantico, fatto di messaggi, fiori, notti vicino al camino in una casa sul lago e di ricorrenti incontri nella stessa stanza dello stesso albergo. Dura da sei anni la loro storia: una storia fatta anche di lontananza, di telefonate, di attese e di una fitta corrispondenza oltre che con lettere tradizionali, anche digitale tramite mail, sms, messaggi video o chiacchierate via skype. C’è una perfetta sintonia tra questo bel signore un po’ in là con gli anni, impegnato in congressi di astrofisica, libri e lezioni all’università e questa giovane donna che per pagarsi i suoi (brillanti) studi universitari si mantiene facendo la stuntwoman o la fotomodella per scultori in erba: la distanza tra i loro mondi non è nulla rispetto a ciò che per studio interessa loro veramente. Ma ad un certo punto della loro storia Ed si allontana, i suoi appuntamenti con Amy divengono sempre più difficoltosi: fugge forse da lei perché non può più sottrarsi ai suoi doveri familiari? O vuole semplicemente mettere a dura prova l’amore della sua Amy?

Giuseppe Tornatore, dopo la virata verso un cinema più internazionale con La migliore offerta, ci convince ancora una volta con la sua maestria registica confezionando un film perfetto, come un meccanismo ad orologeria, trattando un tema impalpabile come l’amore in un modo assolutamente originale, sostituendo all’armonia di sentimenti umani e fisici una intensa ma anche molto celebrale storia d’amore, tra due esseri molto distanti come le stelle che amano studiare ma anche terribilmente attratti l’uno dall’altra, in cui l’elemento spazio-temporale che si frappone tra i due è il vero protagonista dell’intera vicenda. Ma l’emozione, nonostante la bravura indiscussa dei due interpreti, è sopraffatta proprio dalla perfezione di questo meccanismo messo su dal regista che de La corrispondenza ha scritto anche soggetto e sceneggiatura, sino a soffocarne l’emozione pulsante, come una bella cornice che ci distoglie dalla bellezza del quadro per allontanarci da esso, in dissolvenza. Ed anche le stelle si trasformano da elemento romantico per eccellenza, da guardare a naso in su in una serata d’estate, in elemento da studiare attraverso un sofisticato strumento da astrofisico, divenendo così argomento solitario, freddo, distante, che unisce forse i mondi di questi due improbabili esseri umani per l’originalità delle loro scelte di vita, ma che non riesce ad emozionare lo spettatore che invece della descrizione di tanto amore vorrebbe nutrirsi.

data di pubblicazione:16/01/2016


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FRANNY di Andrew Renzi, 2016

FRANNY di Andrew Renzi, 2016

Franny è un benefattore, conosciuto nella città di Philadelphia come un filantropo, ma anche come un miliardario che sa godersi la vita pur avendo investito molti dei suoi soldi in un ospedale pediatrico, soldi che nessuno sa da dove vengano perché Franny non lavora; Franny non ha una famiglia propria ed elegge a sua una coppia di amici e la loro figlia Olivia, che chiama amorevolmente puzzola e di cui diventa uno zio acquisito. Franny ha capelli bianchissimi, è eccentrico nel vestire ed ha una parola buona per tutti, soprattutto per i pazienti-bambini del suo ospedale. Franny vive da cinque anni nella suite di un lussuoso albergo pur possedendo una splendida casa che non abita, tiene discorsi in pubblico e all’occorrenza canta My girl accompagnato da un’orchestra solo per dare il benvenuto a puzzola, dopo averle appena comperato una villa immersa in un bosco perché quel posto rappresenta la sua storia, ed un passato con cui fare pace. Franny è Richard Gere, ha il suo sorriso, i suoi occhi, che anche dietro un paio di occhiali riparati con lo scotch sanno infiammarsi e spegnersi all’occorrenza, ha la sua sensualità anche se appesantita da qualche chilo accumulato nel tempo: ma per Gere il tempo non è una variabile inesorabile, anzi aggiunge ulteriore fascino alla sua persona, ed anche se questo suo nuovo personaggio si serve di un bastone per deambulare, conserva tra un passo e l’altro quella sua splendida “andatura dinoccolata” di antica memoria.

Film indipendente, diretto dall’esordiente Andrew Renzi, Franny si basa solo ed esclusivamente su una bella interpretazione del grande Richard, che ripone in questo personaggio tutta la sua vitalità, sensibilità e profondità maturate in tanti anni di onorata carriera. Peccato che la sceneggiatura sia praticamente inesistente ed i pochi personaggi che ruotano intorno al “sole Gere” siano trasparenti, non centrati nelle loro parti comprimarie e per nulla incisivi. Probabilmente questa era l’intenzione del regista anche autore dello script, dare al protagonista della storia la parte della sua maturità artistica, ma non basta a far “decollare” un film che rimane sempre al punto di partenza, diventando a tratti soporifero se non fosse scosso sempre e comunque dal ciclone Gere. Peccato: occasione mancata.

data di pubblicazione 01/01/2016


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