ASPETTANDO IL FESTIVAL: PRE-APERTURA DI VENEZIA 73.

ASPETTANDO IL FESTIVAL: PRE-APERTURA DI VENEZIA 73.

(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)

Tutti a casa di Luigi Comencini (1960) è stato scelto come film di pre-pertura di questa 73. Mostra, diretta anche quest’anno da Alberto Barbera ed organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta, che apre ufficialmente i battenti domani 31 agosto. La pellicola, che verrà proiettata alle 20,30 in sala Darsena in versione restaurata in occasione del centenario della nascita del regista (1916-2007), ha come protagonista Alberto Sordi oltre ad un cast di attori di pregio tra cui spicca il grande Edoardo De Filippo, assieme a Serge Reggiani e Carla Gravina. Prodotto da Dino De Laurentis e sceneggiato da Age e Scarpelli, Tutti a casa vinse due David di Donatello ed un Nastro d’argento ed è considerato uno tra i più famosi esempi di commedia all’italiana, nel significato più alto, in quanto fonde dramma e comicità, assieme all’amarezza ed alla goffaggine dei suoi protagonisti. Il grande Alberto Sordi, nel ruolo del sottotenente Innocenzi, esprime magnificamente l’italiano confuso e pavido che, in un paese distrutto dalla guerra, è capace solo di obbedire agli ordini dei superiori ma anche di darsi alla fuga non appena cambia il vento, incarnando quel caos e quel senso di abbandono che il popolo italiano visse in seguito all’entrata in vigore l’8 settembre del 1943 dell’armistizio, annunciato con un proclama letto alla radio che generò confusione presso tutte le forze armate italiane, e che il regista dichiarò di aver voluto descrivere.

Insignito del Leone d’oro alla carriera nel 1987, Luigi Comencini è considerato, assieme a Vittorio De Sica, Pietro Germi, Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola e pochi altri, uno dei grandi maestri della commedia all’italiana. Ricevette innumerevoli premi durante la sua lunga carriera, grazie a film come Pane, amore e fantasia (1953), seguito da Pane, Amore e gelosia (1954), Mariti in città (1957), Lo scopone scientifico (1972) e Mio Dio, come sono caduta in basso! (1974). Ma Comencini è conosciuto in particolare come “il regista dei bambini” grazie a pellicole come Proibito rubare (1948), ambientato tra gli scugnizzi di Napoli, Incompreso (1966), Voltati Eugenio (1980), Un ragazzo di Calabria (1987), Marcellino pane e vino (1991), il suo ultimo film diretto con la figlia Francesca. Vanno inoltre ricordati gli incontri con due classici della letteratura infantile: Le avventure di Pinocchio (1972) e Cuore (1984).

Sono suoi anche film molto diversi da questi appena citati: La donna della domenica (1975), La ragazza di Bube (1963), il film in costume Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano (1969), il film-opera La Bohème (1988), ed il singolare Cercasi Gesù (1982), premiato col Nastro d’argento, con un inedito Beppe Grillo.

data di pubblicazione: 30/08/2016 

QUATTRO MATRIMONI E UN FUNERALE di Mike Newell, 1994

QUATTRO MATRIMONI E UN FUNERALE di Mike Newell, 1994

E’ il film del “felicemente non sposati” ed è la consacrazione di Hugh Grant in un ruolo che poi l’attore britannico replicherà, sotto varie forme, sino ai nostri giorni. Qui è Charles, sciupafemmine incallito, ritardatario impenitente, che non vuole rinunciare per nessuna cosa al mondo al suo status di scapolo perché decisamente allergico al matrimonio. L’ironia del film sta nel fatto che Charles, nonostante le sue inossidabili caratteristiche, venga continuamente invitato a matrimoni ai quali deve, suo malgrado, partecipare sino a quando, ferito profondamente al cuore da Carrie (Andie MacDowell) senza rendersene conto a causa della sua ostinata cecità, commetterà l’errore di accettare di convolare a giuste (?) nozze con Henrietta, soprannominata dalla sua amica Fiona (una esordiente Kristin Scott Thomas) faccia di chiulo!
Il film, che incassò moltissimo e consacrò un’intera generazione di attori inglesi, non ha bisogno di troppe presentazioni perché fece epoca sia per l’argomento trattato sia per la struttura stessa della pellicola che si chiude con una serie di fotografie che documentano la vita dei vari personaggi ritratti tutti il giorno delle loro nozze, tranne Fiona e Charles; potremmo anche dire inoltre che film fece conoscere, anche al mondo non anglosassone, un certo gusto per l’organizzazione dei matrimoni che oggi da noi è addirittura abusata con la diffusione eccessiva della figura del “wedding planner”. Qualche annotazione la merita il regista che esordì nel 1985 con un bellissimo film drammatico dal titolo Ballando con uno sconosciuto (interpretato da un giovanissimo e bravissimo Rupert Everet), con il quale Mike Newell vinse lo stesso anno a Cannes un premio per giovani registi. Sono suoi anche Monna Lisa Smile, Harry Potter e il calice di fuoco, L’amore ai tempi del colera.
Ad un film così divertente ed ironico come Quattro matrimoni e un funerale, non potevamo che abbinare una ricetta di frittelle di ricotta, tipici dolci carnascialeschi che ben si addicono agli scherzi che il nostro impenitente scapolo subisce, dall’inizio alla fine del film, oltre che dai suoi amici burloni anche dalla sorte che, grazie alla sua perenne indecisione, risulta essergli decisamente avversa!

INGREDIENTI: 125 gr. di ricotta – 1 uovo – 50 gr. di farina – 1 cucchiaio di Rhum o liquore all’anice o marsala – 2 cucchiai di zucchero – scorza di arancia candita – semi di baccello di vaniglia a gradimento – olio di semi di arachidi per friggere – 100 gr. di zucchero semolato
PROCEDIMENTO:
Queste frittelle soffici e cremose chiamate anche “castagnole di ricotta” per la loro forma rotonda, sono dolci tipicamente carnacialeschi in tutta l’Italia. Sono semplici, morbide e cremose. Mischiare ricotta con lo zucchero ed aggiungete l’uovo, la farina, il rhum, la scorzetta d’arancia a pezzettini e, se volete, i semi di mezzo baccello di vaniglia; ottenete quindi un composto omogeneo e liscio. Scaldare abbondante olio per friggere in una pentola piccola (le frittelle devono galleggiare e non toccare il fondo della pentola). Con l’aiuto di due cucchiai far cadere delle porzioni (circa le dimensioni di una castagna) di composto nell’olio caldo. Quando saranno gonfie e imbrunite toglierle dall’olio, ci vorranno circa 90 secondi. Se cuociono troppo in fretta abbassate la fiamma leggermente. Scolate le frittelle su carta assorbente e, sempre calde, passatele nello zucchero semolato.

LONTANO DA PARADISO di Todd Haynes, 2002

LONTANO DA PARADISO di Todd Haynes, 2002

Malinconia e paesaggi autunnali mozzafiato fanno da cornice ad un film intenso, ambientato nel 1957 nello stato del Connecticut, emblema di quella provincia americana dove albergano pregiudizi che hanno il potere di stritolare la vita delle persone. E’ ciò che accade alla protagonista Cathy Whitaker (una sempre convincente Juliane Moore), che si trova a lottare tra la scoperta dell’omosessualità del marito (Dennis Quaid), manager di successo e padre dei suoi figli, e la insperata serenità che le regala l’amicizia con il suo giardiniere di colore (Dennis Haysbert), che lei non potrà mai amare sia per problemi di classe sociale che per problemi razziali.
Todd Haynes (Io non sono qui, Carol), con lucida e millimetrica precisione, ci rappresenta l’ambiguità della provincia americana degli anni ’50, raccontandoci una storia “scandalosa” che si scontra con un falso perbenismo, non solo di quegli anni. Diversi i temi trattati: la differenza di classe, l’omosessualità, ma anche l’integrazione razziale e la capacità delle donne di evolversi per uscire da un ruolo che le vuole solo mogli irreprensibili, incarnazione di quell’angelo del focolare domestico solo in apparenza cardine della perfetta famiglia americana, ma in realtà esseri relegati al ruolo di casalinghe di lusso, che nel migliore dei casi si dedicano alla beneficienza e all’organizzazione di party per le persone che contano, comunque destinate ad una vita vuota e di solitudine.
Di questo film è anche molto bella la fotografia, soprattutto nelle scene degli incontri tra Cathy ed il suo giardiniere nel verde di giardini e boschi. Il colore delle foglie d’autunno e l’ambientazione nella natura di questi due esseri che amano le piante e che hanno una medesima sensibilità, ci suggerisce una ricetta di frittelle a base di castagne, adatta ad un clima autunnale.

INGREDIENTI: 500 grammi di farina di castagne – 150 gr. di uvetta sultanina – 70 gr. di pinoli – 60 gr. di zucchero – 2 uova – 50 gr. di lievito di birra – 1 bicchiere di latte – 1 limone – zucchero a velo q.b. – olio di arachidi per friggere – sale q.b..
PROCEDIMENTO:
Mettere a bagno l’uvetta in acqua tiepida per circa 15 minuti. Su di una spianatoia versare la farina di castagne a fontana, formare il buco al centro, unire quindi lo zucchero, le uova, il lievito di birra sciolto in un po’ di acqua tiepida, la scorza grattugiata del limone ed il pizzico di sale. Impastare tutti gli ingredienti, aggiungendo il latte tiepido poco alla volta, continuando ad impastare. A questo punto incorporare nell’impasto l’uvetta sgocciolata e strizzata ed i pinoli; coprite il composto con un panno e fatelo riposare per un’ora in modo che lieviti bene. Riprendete dunque l’impasto, confezionate delle piccole frittelle che friggerete nell’olio di arachidi ben caldo, sgocciolatele con un colino, poi acsiugatele con carta assorbente e spolveratele con zucchero a velo prima di servire. Un’autentica delizia!

ABOUT A BOY di Paul e Chris Weitz, 2002

ABOUT A BOY di Paul e Chris Weitz, 2002

Will (Hugh Grant in una delle sue indimenticabili interpretazioni) è un quarantenne single, annoiato e disilluso, che non ha mai lavorato perché vive (e bene) con i diritti d’autore di una famosa quanto stupida canzoncina natalizia, scritta dal padre molti anni addietro. Will è un uomo apatico che passa ore a vedere dvd sdraiato sul divano di casa o bighellonando per il quartiere con il precipuo scopo di continuare a non fare nulla. L’unica cosa che sembra interessargli sono le conquiste femminili e, per avere il campo ancora più facile, decide di partecipare ad incontri di genitori single fingendosi un “ragazzo padre”. Durante uno di questi incontri, pur interessandosi ad una giovane ed attraente donna di nome Susie, la sua goffaggine lo porterà, in seguito ad una serie di eventi, ad essere coinvolto nella vita di un’altra donna, Fiona, sola e complessata sempre sull’orlo del suicidio e madre di Marcus, un ragazzo adolescente sovente tiranneggiato dai suoi coetanei. Sarà proprio l’incontro con il ragazzo che gli cambierà la vita: con prepotente determinazione Marcus entra nella vita di Will e la “scompiglia” dandogli un senso, facendolo uscire da quell’isolamento, così gelosamente custodito per proteggersi dalle insidie del mondo. Marcus vede in Will ciò che lui stesso non riesce a vedere: una figura maschile di riferimento per lui e per sua madre, facendogli scoprire inaspettati lati del suo carattere che lo porteranno ad intaccare la monotona superficialità in cui era vissuto sino ad allora.
Il film è una commedia romantica ben riuscita e Hugh Grant ne è l’indiscusso protagonista. La scena in cui Will interviene soccorrendo Marcus mentre, durante una recita scolastica, canta Killing me softly with his song pur di accontentare la madre, naif e depressa, vale tutto il film, e Hugh Grant come padre surrogato è perfetto nell’affrontare il “pubblico ludibrio”, come quando in una delle scene finali di Notting Hill si dichiara in una affollata conferenza stampa “brutto cazzone avariato”, pur di riconquistare la sua amata Anna (Julia Roberts).
A questo film, che avvicina i grandi alle problematiche degli adolescenti, non potevamo che abbinare la ricetta di un dolce che piace a grandi e piccoli: la girella o jelly roll ripiena.

INGREDIENTI: 200gr di zucchero+ un po’ di zucchero a parte – 110gr di farina – 5 cucchiai di acqua – 3 uova intere – ½ cucchiaino raso di lievito per dolci in polvere – scorza grattugiata di un limone – 1 pizzico di sale – marsala o altro liquore o acqua e zucchero; PER IL RIPIENO: marmellata, oppure crema spalmabile al cioccolato (molto nota), oppure fragoline di bosco con panna.
PROCEDIMENTO:
Montare i tuorli d’uovo con lo zucchero sino a farli diventare bianchi e spumosi quando cioè le fruste fanno il “nastro”, quindi unire l’acqua, la farina setacciata ed il lievito continuando a girare con le fruste; infine montare i bianchi montati a neve ferma con il pizzico di sale. Unire i bianchi montati al composto e versare il tutto in maniera uniforme in una tortiera rettangolare (40×27 cm) o nella placca da forno precedentemente foderata con carta da forno, avendo cura di formare uno strato alto un dito.
Cuocere in forno ben caldo a 200° per soli 13 minuti.
Sfornare ancora caldo e rovesciare questa torta bassa ottenuta su di un panno umido ed inzuccherato con zucchero semolato, spennellare la parte superiore con liquore o con acqua e zucchero, quindi arrotolarla su se stessa in modo da modellarla un po’; dopo averla srotolata, spalmare l’interno con della marmellata o con crema di cioccolata oppure con un composto di panna e fragoline di bosco. Quindi arrotolate nuovamente e velocemente (prima che si freddi completamente la pasta perché potrebbe rompersi) aiutandosi con il panno umido e quindi tenere il rotolo ottenuto avvolto nello stesso finché non sia completamente freddo. Togliere lo strofinaccio ed avvolgere il rotolo oramai freddo con pellicola trasparente. Mettere in frigo.
Una volta ben freddo e stabile potete affettare il rotolo o jelly roll in tante girelle e servire.

JULIETA di Pedro Almodòvar, 2016

JULIETA di Pedro Almodòvar, 2016

Almodòvar con il suo nuovo film è riuscito a dare una forma, un colore e un viso al dolore. Si rimane ipnotizzati dal modo con cui descrive il terribile vuoto nella vita di Julieta generato dall’assenza di sua figlia Antìa: “la tua assenza riempie totalmente la mia vita e la distrugge. Esisti solo tu”. Il dolore per Pedro Almodòvar ha la forma della mela che addenta la sua protagonista, ha il colore rosso fuoco, vivo e pulsante, del cuore tatuato sul braccio dell’amato Xoan, ha l’apparente peso di un sipario di velluto che poi diviene palpitante come un leggero vestito estivo che copre il corpo ancora giovane della sua Julieta, ha il viso di lei che cambia in un batter di ciglia mentre attende che ritorni la serenità perduta. Julieta è un film misurato, “contenuto” come dice lo stesso regista, che riesce a descrivere il tentativo di continuare a vivere dimenticando lo strappo lacerante di un distacco o di una perdita, per poi interrogarsi se è davvero possibile cancellare dalla propria memoria chi si ama profondamente, quando per un puro capriccio del fato riaffiorano ingombranti vecchi sensi di colpa che si pensava sopiti.

Per la protagonista della storia i sensi di colpa iniziano ad affacciarsi molti anni addietro durante l’inverno, nel vagone di un treno, in cui fortuitamente incontra un uomo triste e misterioso. Il treno si ferma bruscamente perché un cervo ha (forse) attraversato i binari. È notte, c’è la neve e fuori fa molto freddo; tra gli uomini che accorrono dopo la brusca frenata c’è Xoan, l’uomo della sua vita. In quella stessa notte e su quel treno verrà concepita Antìa, che per molti anni riempirà le vite di Julieta e Xoan, sino a quando la vita non metterà alla prova tanta felicità.

Vita e morte si mescolano come sempre nei film di Almodòvar e le donne ne sono il fulcro. Julieta racconta ciò che la vita può riservarci e lo fa in modo asciutto e crudele, senza troppi giri di parole. L’assenza, il distacco, il dolore sordo si percepiscono in questo film anche nell’essenzialità degli arredi, nelle vecchie carte da parati di appartamenti in affitto, negli oggetti e nei libri che ad un certo punto vengono impacchettati per essere portati in un nuovo appartamento, dove andranno parzialmente a riempirne spazi precedentemente abitati da altri, ma dove tuttavia, come una fiammella, alberga il desiderio di reagire, testimoniato dall’unione dei brandelli di una vecchia foto e da una scultura in bronzo ricoperta di argilla dall’aspetto compatto, che il vento non fa cadere…

Il regista spagnolo, passando attraverso il melodramma della sua precedente filmografia, si misura con il dramma, in cui la vita della protagonista ci viene descritta come in un thriller “le cose accadevano senza che io vi prendessi parte: una anticipava l’altra…”, mantenendo tuttavia quello stile di intrecci e colpi di scena che rendono Julieta inconfondibilmente sua, in cui le azioni/reazioni di questa donna indirizzano l’intera vicenda verso un epilogo che, come in ogni film di Almodòvar e nella vita, non risulta mai essere scontato.

data di pubblicazione:29/05/2016


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