UN VIZIO DI FAMIGLIA di Sébastian Marnier, 2023

UN VIZIO DI FAMIGLIA di Sébastian Marnier, 2023

Una storia nera che si fa sempre più torbida con il passare dei minuti. Reticolo di bugie, di mancate rivelazioni, di doppi giochi secondo uno stile di racconto molto francese. Solo che a furia diversivi il film si perde e rivela una sostanziale mancanza di profondità.

  

Un plot che fa pensare a Patricia Highsmith e a L’Amico Americano ma anche a Chabrol. Un furto d‘identità nel sogno di ascesa sociale di una parvenue impiegata in un’azienda di congelati di pesce. Mette in piedi un piano diabolico nel segno di Chabrol per il quale è necessaria la massima disponibilità alla verosimiglianza dello spettatore. È davvero così facile riprodurre una carta d’identità falsa quando in circolazione ce n’è un’altra, dell’intestataria originale, identica? La pellicola si affida a una serie random di colpi di scena ma calca troppo la mano sul continuo rovesciamento di piani fino a far sorgere una domanda spontanea: ma in quella famiglia chi è davvero il più cinico?. Eppure basterebbe cambiare l’articolo del titolo per ricondurci nel vivo di una pellicola scollacciata all’italiana. Ma quello vero (L’origin du mal) non sarebbe stato troppo invitante per il pubblico italiano. Film di nicchia e in parte di genere che può trovate estimatori senza attendersi risultati sensazionali al box office. Il nido di vipere o il conglomerato di parenti serpenti è vivo solo in ragione dei soldi e dell’eredità. Non cederemo alla tentazione dello spoiler ma ci saremmo volentieri risparmiati le colluttazioni finali per una conclusione più fine, psicologica e aperta. Non sarà happy end, almeno questo possiamo scriverlo. Cast molto omogeneo e sinergico. C’è fantasia, creatività di sceneggiatura, manca l’esprit de finesse di un tocco leggero e d’autore. Scenario molto francese con frequenti andirivieni dall’isola turistica di Porquerolles.

data di pubblicazione:11/01/2023


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LE OTTO MONTAGNE di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, 2022

LE OTTO MONTAGNE di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, 2022

Pellicola che traduce con rara sensibilità un’intensa storia di montagna, di amicizia, di vita. Se il cinema è abituato a tradire la letteratura nella sua impossibile specifica versione qui si registra un’eccezione preziosa, forse anche grazie alla collaborazione ai dialoghi dello stesso scrittore da cui è tratta l’opera.

 

In montagna sono importanti i silenzi. Si parla solo quando si arriva sulla cima e si può commentare e dispensare fiato. Così il film si prende pause funzionali, ragiona per ellissi temporali (la pubertà, la maturità, il declino, nel caso specifico del padre impersonato dal bravo Timi) e logistiche (Torino, la montagna centrale dove vivono sentimenti e case, il Nepal).

Una o otto montagne? In questa simbologia alternativa ruotano i destini dei due amici che, pur provenendo da ambienti sociali, completamente diversi, si completano, si scambiano la fidanzata, si assorbono completamente, uniti da un unico padre reale che li ha alimentati. Dunque il non detto, il sottotesto assorbe lo spettatore che non è necessariamente un appassionato di montagna ma che con questo film impara a apprezzarla, a rispettarla e anche a temerla visto come inghiotte le energie dei protagonisti e, in parte, anche il loro destino. La natura da una parte e la ricerca dell’identità dall’altra in due personalità in cerca di formazione e ancoraggi. E non possiamo immaginare che il rapporto duale sia retto da attori diversi da Marinelli e Borghi, sodali dai tempi di Non essere cattivo in una sinergia affabulativa praticamente immigliorabile e che sostiene un film intenso, onesto il cui unico difetto forse consiste nella costante immedesimazione al testo con il rischio di prolungare la tensione in una versione filmica eccessivamente lunga.

I viaggi in Nepal sono l’ovvio corollario alla fedeltà del libro.  Ma il successo è garantito da segnali precisi: il silenzio in sala, rotto solo dall’abitudine dipendente di accendere il telefonino per controllare sei il mondo ha bisogno di noi.

data di pubblicazione: 29/12/2022


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IL GRANDE GIORNO di Massimo Venier, 2022

IL GRANDE GIORNO di Massimo Venier, 2022

Con il passare degli anni i three men show si prestano sempre più intelligentemente a film corali con una maggior cura di sceneggiature, dialoghi, fondali e caratteristi fino a cucire un film ambizioso. Tristanzuolo e malinconico. Del resto non sono più i Natali di una volta e il mainstream cinematografico ci si adatta.

  

Hanno saputo risalire dall’abisso di film flop con un’analisi introspettiva dei propri pregi e limiti. Mantenendo ad Aldo il ruolo di centravanti di sfondamento. Così anche un pretesto esile come la preparazione di un matrimonio, innesco già ripetutamente visto, diventa momento ispirativo pacatamente fervido nella cronologia di un lento avvicinamento a sponsali in cui va tutto a male. Le bottiglie di Bordeaux precipitano nel lago, il cantante Renga, finisce in ospedale (e poi si accontenterà di più modica provvigione). E all’orizzonte c’è persino la sorpresa più impensabile per i due diversissimi genitori degli aspiranti sposi. Non faremo spoiler se non per dire che l’happy end non è dietro l’angolo. Un film con eccellenti caratteristi (l’ottimizzatore di matrimoni, il prete, la servitù, le mogli) con una Mascino nel ruolo di guastafeste rompiscatole (la parte che le riesce meglio). L’ambizione borghese di una cerimonia sopra le righe deflagra in una serie di siparietti comici che potrebbero essere gustati, una tantum, oltre il confine di Chiasso. Le musiche di Brunori Sas sono un tocco di classe in più. Sinceramente fuori contesto il classico finale con lo svelamento del futuro dei protagonisti del film. Trovarne uno dei principali a fare l’allenatore dei ragazzi aspiranti calciatori del Burkina Faso in compagnia di un religioso, presto sparito dei giochi nella prima parte, sembra una goliardica divagazione senza senso che poco ha a che fare con l’unitarietà autoriale del film, figlio comunque di una sceneggiatura di gruppo.

data di pubblicazione:27/12/2022


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HYBRIS di e con Antonio Rezza, habitat di Flavia Mastrella

HYBRIS di e con Antonio Rezza, habitat di Flavia Mastrella

(Teatro Vascello di Roma, 20 dicembre 2022/22 gennaio 2023)

La meditata ultima performance di uno showman che è difficilmente recensibile. Questa volta scenografia spartana ma tanti co-personaggi in scena. Corpi plasmabili e poco parlanti.

Antonio Rezza rappresenta un solitario caso a parte nel teatro italiano. Come Carmelo Bene, anche se imparagonabile al genio di Campi Salentina. Come si fa a giudicare un teatro che non è solo di parola, non è solo di azione ma è molto di complicità, di provocazione. Basti pensare che Rezza in scena finge di copulare con una donna della prima fila oltre che con la prima madre, in incestuoso simulato amplesso e che, a un certo punto, si propone impudicamente completamente nudo. Teatro che ha scavallato ogni pudore in un tentativo iperrealista di descrivere la realtà, non scevro da pronunciamenti politici , pur essendo le mille miglia lontano da Brecht. E Rezza alimenta un mito e un pubblico fedelissimo per riempire puntualmente il teatro della Kustermann, tutte le sere, per un mese fino all’apoteosi dello spettacolo di Capodanno inclusivo di una demenziale asta di beneficenza a prezzo morigerato e a portafoglio libero. Per dire della sua empirica presenza tra l’altro in questi giorni alla Sala Troisi si può gustare anche una sua opera filmica. Questa volta in scena Rezza non si presenta provvisto del solo abituale partner muto Ivan Bellavista ma si circonda di figure spalla che manipola poco democraticamente a suo piacimento. Entra e esce da una porta, inventa una parete di vetro che proibirebbe la percezione delle parole emesse, demonizza il concetto sacrale della famiglia facendo incontrare parenti che a stento si riconoscono in un carosello interminabile di saluti. L’apoteosi della destrutturazione dell’incongruo in un teatro che è pure funzionalmente meccanicamente studiato e in cui il suo corpo-acrobata recita il ruolo più importante. Porte che si aprono sul nulla e in cui il bussare diventa pura schizofrenica ripetizione.

data di pubblicazione:23/12/2022


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IL PIACERE DELL’ATTESA di Michele La Ginestra, con Michele La Ginestra, Manuela Zero, Ariele Vincenti

IL PIACERE DELL’ATTESA di Michele La Ginestra, con Michele La Ginestra, Manuela Zero, Ariele Vincenti

(Teatro Sette – Roma, 6 dicembre 2022/8 gennaio 2023)

Magnifico formati di commedia brillante/natalizia. La giovialità attoriale di La Gnestra timbra lo spettacolo in perfetta sinergia con gli altri due funzionalissimi partner.

Teatro leggero ma intelligente, adatto al pubblico borghese e a quel particolare tipo di spettatore che magari si accosta a una sala solo per Natale. Nonostante il capello brizzolato La Ginestra è il ragazzone di sempre, pronto a rituffarsi a marzo nei panni di Rugantino nel più capiente Sistina. Ma qui, nel suo regno, nello spazio di propria gestione, tiene banco per un mese con un testo che funziona e che al di là dell’apparente superficialità o levità regala qualche eloquente pillola di saggezza, rimbombante sin dal titolo. “L’attesa del piacere è in fondo essa stessa piacere”. E difatti il vivaista/piantologo, impersonato dall’attore principale, non ha alcuna fretta di accasarsi. Una scontrosissima e efficiente dipendente di una seriosissima azienda, specchio dei nostri tempi frenetici, prima lo prende di petto, poi man mano recepisce il suo messaggio. E si invaghisce del quiet man fino a sedurlo con un crescendo che alimenta spunti comici. Merita un applauso il terzo protagonista. Il giovane di studio, tutto mamma e nonna, che è il sandwich dialettico tra i due. Ariele Vincenti è cresciuto molto e qui ricorda la lezione di Nicola Pistoia tanto che alcune battute potrebbero essere recitate dal suo maestro di teatro, con 40 anni in più di esperienza sulle spalle. La scenografia è all’altezza della situazione. E le deliziose musiche (Dalla, Daniele, Bongusto) sono un delizioso contrappunto a separare i vari momenti dell’azione. Commedia garbata, a tratti malinconica, che scandisce il passare del tempo ma anche la sua immutabilità. E’ talmente happy end alla fine che il pubblico applaude a scena aperta abbracci e baci dei protagonisti finalmente uniti anche grazie a una inaspettata gravidanza.

data di pubblicazione:21/12/2022


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