MOLTO PRIMA DI DOMANI, scritto e diretto da Umberto Marino

MOLTO PRIMA DI DOMANI, scritto e diretto da Umberto Marino

(Teatro Argot – Roma, 20 novembre/1 dicembre 2019)

Tre giovanissimi ragazzi intrappolati in una baita di montagna in pieno inverno. Fuori un mondo in preda al caos e alla distruzione. Una lotta per la sopravvivenza tra paure e speranze per un futuro a rischio.

  

Il diciannovenne Teo (Andrea Pannofino) è costretto a barricarsi all’interno della baita di famiglia insieme alla sorellina di nove anni, Alice (Flaminia Delfina De Sanctis) e alla compagna di scuola Emma (Annalisa Arena). Il mondo fuori è impazzito e le radici di questo male distruttivo rimangono sconosciute. Sappiamo solo che chi non è morto per lo sparo di un’arma da fuoco lo è per una strana malattia che non lascia segni sui cadaveri. Come in Bird Box – film diretto da Susanne Bier nel 2018 – l’umanità sembra improvvisamente colta da un male mortale, catastrofico e irreversibile. In Molto prima di domani, però, non ci sono adulti e i tre giovani ragazzi, che aspettano invano il soccorso dei genitori, devono vedersela da soli e far fronte con il poco che hanno a tutta una serie di difficoltà. Prima tra tutte la scarsità di cibo, a cui segue la mancanza di contatto con il resto del mondo – i cellulari sono praticamente inutili – e il pericolo che qualcuno ancora in vita da qualche parte possa trovarli e ucciderli. Fra i tre si crea una piccola società in cui ognuno ha un ruolo importante e sempre rivolto al bene dell’altro. La loro missione diventa sopravvivere con i pochi mezzi che hanno a disposizione e proteggersi a vicenda. L’intuito per risolvere le cose pratiche diventa la loro arma principale: dal saper accendere un generatore di corrente al saper far funzionare un vecchio baracchino per le comunicazioni radio, fino alla creazione di un sistema di allarme che li avvisi di notte se qualcuno si avvicina alla casa. Trovano il modo anche di accudire una capretta che si è persa intorno alla baita, in pieno accordo con la sensibilità dei giovani di oggi per la cura del creato.

Questa storia parla dell’urgenza di iniziare a preoccuparsi seriamente di intervenire a favore della ricostruzione di un mondo che si sta autodistruggendo. Lo fa affidando il compito non al consueto eroe ma alle nuove generazioni, a tre ragazzi qualunque. Tutto molto realistico, come anche la scenografia di Enrico Serafini, precisa in ogni dettaglio nella ricostruzione della baita. Uno spettacolo non semplice per durata e con pochi personaggi per cui bravissimi i tre attori, specialmente la piccola Flaminia, attenti e concentrati per tutti e due gli atti, a cui auguriamo di continuare per questa strada con tanto successo.

data di pubblicazione:21/11/2019


Il nostro voto:

FURNITURE di Sonya Kelly, regia di Maurizio Mario Pepe

FURNITURE di Sonya Kelly, regia di Maurizio Mario Pepe

(Teatro Belli – Roma, 19/23 novembre 2019)

Tre atti unici, sei personaggi, un filo conduttore: il valore delle cose. Una divertente riflessione sul possesso materiale degli oggetti che ci circondano.

 

 

Ed trascina sua moglie Alex a una mostra di modernariato. È il giorno del loro anniversario ma lui l’ha dimenticato, tanto è frustrato dal suo lavoro di pittore che non arriva ad esporre da nessuna parte. Se la prende con la fin troppo pragmatica moglie, colpevole di percepire i pezzi esposti come semplici oggetti di quotidiano utilizzo anziché opere senza tempo di artisti di design contemporaneo. Steff e Dee si sono conosciute in chat appena un mese prima e subito vanno a vivere insieme nell’appartamento arredato alla perfezione e con gusto di Steff. Il problema nasce quando Dee, a cui non interessa nulla o poco dei mobili della compagna, porta con sé le sue cose, tra cui una poltrona davvero orrenda che non si sposa con il resto. George, infine, è un anziano signore omosessuale malato che deve organizzare il suo testamento aiutato dal nipote Michael. Lo zio vorrebbe lasciare in eredità al ragazzo una chaise longue di grande valore – dove addirittura Judy Garland ci è svenuta sopra –, ma Michael stenta a coglierne il senso.

Sono tre situazioni diverse, guidate tutte da un unico tema: il potere iconico di un oggetto capace di evocare miti e glorie del passato, che rende schiavo chi lo possiede per ciò che rappresenta e che è dotato di una eternità che all’uomo non è dato di avere. Il combattimento tra gli oggetti e loro legittimi padroni, e tra questi e il senso di morte e finitezza dell’esistenza, sta alla base della riflessione di Sonya Kelly. Gli oggetti in scena sono i veri protagonisti della pièce e sono le corde che delimitano un immaginario ring dove i personaggi si scontrano in accesi e divertenti dialoghi. Ottima la traduzione – non solo meramente linguistica – di Natalia di Giammarco, che sa restituire sfumature di significato, giochi di parole e battute a doppio senso contestualizzate nella nostra cultura e adattate al nostro gusto.

Ogni atto riporta sempre lo scontro tra un protagonista – intestardito a difendere quello che ha o quello che ha fatto – e il suo antagonista. Il secondo dovrebbe ricordare all’altro che più importante di quello che si ha è quello che si è, ma la lezione morale è solo apparente. In realtà anche questi sono incastrati nell’idolatria di qualcosa, per cui il loro ruolo si riduce a un semplice innesco della sfida con il rivale. Il dato comico sta qui: è la società dei consumi a essere oggetto di sarcasmo e di beffa, e tutti ci siamo immischiati. Tuttavia i personaggi diventano consapevoli di questa testarda schiavitù alle cose, e per questo ci fanno sorridere e riflettere, perché in fondo sono vicini a noi e alle nostre – più o meno taciute – fissazioni.

data di pubblicazione:20/11/2019


Il nostro voto:

FURNITURE di Sonya Kelly, regia di Maurizio Mario Pepe

STRAIGHT di D.C. Moore, regia di Silvio Peroni

(Teatro Belli – Roma, 15/17 novembre 2019)

Due vecchi amici dell’università – uno l’opposto dell’altro – si ritrovano dopo anni. Un po’ per gioco e un po’ perché la vita è bizzarra progettano di realizzare un film porno.

 

 

Lewis (Daniele Marmi) è felicemente sposato con Morgan (Giulia Rupi). La sua è una vita ordinaria, fatta di lavoro e progetti, di sicurezze incrollabili: la splendida moglie, donna in carriera molto sicura di sé, la casa di proprietà, anche se piccola, la voglia di fare un bambino. Ma il suo desiderio nevrotico di compiacere a tutti i costi la donna e la sua fin troppo evidente insicurezza, nascondono una certa, seppur tenera, debolezza. Improvvisamente arriva Waldorf (Giovanni Anzaldo), un vecchio amico dell’università di Lewis, lo scassinatore che trova la chiave giusta per entrare nel loro spazio fin troppo regolare e scuotere il loro apparente equilibrio. La differenza che corre tra i due amici è abissale. Il nuovo arrivato è tornato in città dopo un lungo girovagare per il mondo – la lista dei posti visitati è lunghissima, come le avventure amorose collezionate –, tutto l’opposto dell’altro. L’aspetto comico della vicenda si manifesta in questo contrasto, condito da battute intelligenti e ben calibrate nei tempi. Ma anche nel fenomeno di ribaltamento, stavolta del titolo: Straight ovvero eterosessuale, che bisognerebbe punteggiare con un punto di domanda. È l’imprevista entrata in scena di Steph (Eleonora Angioletti), una giovane attrice di film porno, e una bevuta di troppo a far nascere nei due l’idea di registrare un video gay, dove reciteranno da protagonisti. Cosa vorrà alla fine Lewis, indiscusso personaggio cardine di questa vicenda? Vorrà ancora un figlio con la donna che ama o vorrà approfondire questa sua latente inclinazione?

La commedia è spassosa e gli attori funzionano tra loro alla perfezione. La regia riduce all’essenziale la scenografia, a un doppio schermo, uno verticale che fa da fondale e uno orizzontale che fa da spazio della recitazione – sembra di rivedere il contrasto della realtà vista frontalmente da un telefonino e quella reale – orizzontale – nella quale ci muoviamo. Non ci sono oggetti in scena né attrezzature: una scelta azzeccata per un testo che da solo vale la ricchezza di questo spettacolo. Tutto è concentrato sul lavoro degli attori e sul contenuto dei dialoghi, dal quale nascono riflessioni e incastri di raffinata comicità. Uno spettacolo davvero ben fatto.

data di pubblicazione:16/11/2019


Il nostro voto:

PEZZI regia e drammaturgia di Laura Nardinocchi

PEZZI regia e drammaturgia di Laura Nardinocchi

(Teatro Vascello – Roma, 12 novembre 2019)

Una madre sola con due figlie. Un lutto da rielaborare. Un albero da addobbare e un Natale da festeggiare. Pezzi di una vita frantumata da tenere insieme per continuare a vivere.

 

Mentre il pubblico prende posto in sala le tre protagoniste di Pezzi stanno già recitando la parte sul palco. I caratteri dei loro personaggi sono appena abbozzati in questa danza frenetica che le vede correre da una parte all’altra dello spazio scenico. Sembra di assistere a una performance di arte contemporanea. Il linguaggio è onirico, sgrammaticato, inaccessibile. Ma la storia si fa chiara man mano che le scene si susseguono.

Pezzi è lo spettacolo vincitore del Roma Fringe Festival 2019 ed è il risultato di un lungo lavoro che la regista, Laura Nardocchi, ha portato a compimento insieme alle attrici Ilaria Giorgi, Claudia Guidi e Ilaria Fantozzi. Un lavoro magnifico tutto al femminile che merita ben più di un premio e sicuramente di essere portato in scena ancora per molto.

Il racconto gira intorno al dolore generato da un’assenza. Una madre, semplice e verace come una donna di paese può essere, perde il marito e padre delle sue due figlie. Da quel momento la vita di questo nucleo familiare esplode. Il sottotitolo recita Si vive per imparare a restare morti tanto tempo, e per cercare di dare un senso alle cose diremo noi. Come una nuova Madre Coraggio, questa donna si prende cura delle sue due figlie tra non poche preoccupazioni. Marina, la più grande, è delle due quella che deve capire e sopportare tutto, costretta a crescere in fretta. Maria, la più piccola, è una bimba fragile che va protetta e difesa. Incomprensioni, litigi, frustrazioni nascono dal non aver accettato il lutto e separano le donne perse nella loro solitudine e sofferenza. La serenità può tornare solo dopo aver preso coscienza e consapevolezza del proprio vuoto.

Pezzi è un dramma struggente, fisico, commovente. È una danza di gesti e una sinfonia di suoni espressi con sublime poesia. È un monumento, una fotografia reale di un male intimo e devastante. Un semplice racconto, sebbene articolato nella costruzione. Un’opera d’arte molto vicina al vero di tante esistenze.

data di pubblicazione:13/11/2019

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FURNITURE di Sonya Kelly, regia di Maurizio Mario Pepe

AN INTERVENTION di Mike Bartlett, regia di Fabrizio Arcuri

(Teatro Belli – Roma, 11/13 novembre 2019)

Una coppia di personaggi uno il migliore amico dell’altra. Si danno consigli e si scambiano opinioni, tra rimproveri e carezze. La vita va avanti e il loro legame rimane saldo, anche se è passato tempo dall’ultima volta che si sono visti.

 

 

Per convenzione si chiamano A e B, poiché potrebbero essere chiunque. Di loro sappiamo che sono buoni amici da qualche anno e questo è evidente fin dalle prime battute. Rita Maffei è A, una donna che ha problemi con l’alcol, ma dal temperamento energico e divertente. Gabriele Benedetti è B, molto più pacato e razionale, che si fidanza con la donna sbagliata che A non gradisce. Sullo sfondo l’imminente intervento militare del Regno Unito in una guerra lontana. Il contestato Tony Blair, che vestì anche i panni di inviato per la pace in Medio Oriente oltre a quelli di Primo Ministro britannico, compare sorridente in una foto con alle spalle il fumo di un palazzo appena esploso per una bomba. Proprio la guerra è argomento di discussione tra i due amici, come lo è la dipendenza di A e la nuova fidanzata di B: forze distruttive che accendono continui diverbi tra i due. B è a favore di un intervento nel conflitto, A invece lo vede come l’ennesimo atto di terrorismo coloniale autorizzato dal Governo. B rimprovera A, mentre A attacca di continuo B. Volano frasi sarcastiche, tra ammiccamenti costanti al pubblico, le cui risate sembrano inserite apposta nella drammaturgia.

I quadri che si susseguono sono cinque. Ogni volta che i due amici si rivedono capiamo che è passato un po’ di tempo, durante il quale le loro vite sono andate avanti e si sono arricchite di episodi da raccontare: “Non ci vediamo più da quella sera” è la frase che ricorre. Per ogni atto un cambio di costume, abiti diversi confezionati però con la stessa stoffa. Pur avendo divergenza di opinioni su tutto, c’è qualcosa in fondo che li tiene legati.

Lo spettacolo è divertente, a tratti esilarante. In perfetto stile inglese A e B si rivolgono tra loro con una sincerità educatamente spietata, quella che maschera battute taglienti con il vestito delle buone maniere. L’esito è divertentissimo e ci ricorda che un intervento – non quello militare stavolta – è sempre necessario quando si tratta di stare accanto a un amico.

data di pubblicazione:12/11/2019


Il nostro voto: