PARLAMI DI TE di Hervé  Mimran, 2019

PARLAMI DI TE di Hervé Mimran, 2019

Ispirato alla storia vera del Numero Uno di Peugeot-Citroen, il film racconta di Alain (Fabrice Luchini) Direttore di Impresa, docente universitario, oratore brillante, uomo iperattivo ed egocentrico, con una vita pressata fra mille impegni fino al giorno in cui un ictus lo colpisce menomandolo nella memoria e nell’eloquio. Alain è così costretto ad avviare un percorso di rieducazione che lo porta a riscoprire i veri valori della vita ed a ricostruire relazioni ed affetti prima trascurati.

 

Dopo il successo nel 2011 di Quasi Amici, sembra ormai essere divenuta una peculiarità, quasi un “filone” della cinematografia francese affrontare il tema dell’incontro con la disabilità o l’handicap, di volta in volta, con i giusti toni di tenerezza, delicatezza o anche scherzosità. Abbiamo apprezzato, tanto per citarne alcuni, La Famiglia Bélier (2014) e Tutti in Piedi (2018), ed oggi è il turno di Parlami di Te. Con il suo film il cineasta francese Mimran ci parla della caduta e ricostruzione di un uomo e si propone di offrirci anche lo spunto per una riflessione sulla fragilità della Vita e l’occasione per criticare la perdita di relazioni umane in una Società sempre più pressata dall’urgenza e dai ritmi del lavoro, ricordandoci che invece occorrerebbe piuttosto ritrovare il tempo e l’attenzione per se stessi ed i propri affetti.

Visto il garbo ed il successo dei film precedenti ed ancor più anche la presenza di un grande attore come Luchini, ci si attendeva di sicuro un altro film francese gradevole. Ahinoi, anche le ciambelle francesi a volte escono insipide! E questa è veramente sciapa, stucchevole e priva di originalità!

Intenzioni e presupposti ammirevoli ci sono, ma manca purtroppo un risultato adeguato. Il tema e gli interpreti davano infatti al film un buon potenziale, ma, dopo un inizio promettente il regista perde il ritmo narrativo, cade di tono e di inventiva e la storia, priva di una solida sceneggiatura, inizia a girare a vuoto, avvitandosi su se stessa in ripetizioni e disperdendosi in lungaggini ed in storie secondarie inutili. Il risultato è che si accumulano così le ripetizioni senza mai riuscire a decollare, perdendo tutto il brio, la poeticità ed il potenziale narrativo che si era intravisto. La linea scelta dal regista sembra infatti privilegiare un intrattenimento privo di sottigliezza e delicatezza, spesso poi anche prevedibile, se non anche banale.

Prova a salvare, o meglio, a reggere tutto il film la prestazione di Luchini (un grande attore apprezzato soprattutto per le sue capacità recitative), con il suo spaesamento fisico, con i suoi farfugliamenti ed i suoi giochi di parole deformate per effetto dei problemi cognitivi. Giochi di parole che, a volte, riescono ad essere anche divertenti malgrado la loro ripetitività e la notevole perdita di ambiguità lessicale nel doppiaggio in italiano. Ma è veramente un po’ poco! Mancano del tutto quella tenerezza, quel garbo e quell’emozione che il tema o le intenzioni avrebbero potuto apportare con un po’ più di semplicità narrativa e senza inutili ingombri. Volendo forse fare troppo il film diviene progressivamente irritante per la sua banalizzazione del tutto incoerente poi rispetto al personaggio ed all’argomento affrontato.

Alla fine ne risulta un film convenzionale, prevedibile e senza originalità che non trova la sua giusta dimensione, cui non sempre basta un bravo Luchini per dare spessore al quasi nulla. Anzi, lo stesso Luchini corre sovente il rischio di confondersi e farsi travolgere dal nulla. Peccato!

Orario di punta, cinema ai Parioli, e… solo 4 persone in sala!!

data di pubblicazione:01/03/2019


Scopri con un click il nostro voto:

IL PRIMO RE di  Matteo Rovere, 2019

IL PRIMO RE di Matteo Rovere, 2019

Oltre e prima del Mito e della Leggenda, la storia realisticamente rivisitata di Remo e Romolo, il loro viaggio verso la libertà durante il quale gli Dei o il Fato faranno sì che uno di essi sarà il futuro re di Roma

 

Finalmente un film italiano ambizioso, spettacolare ed originale, lontano per contenuti e qualità dalla produzione corrente della nostra cinematografia. Matteo Rovere si è coraggiosamente assunto il compito di riscrivere la leggenda della fondazione di Roma con il supporto economico di una coproduzione Italo-Belga, il contributo storico-culturale di alcune prestigiose Università, di attori, maestranze, tecnici e troupe altamente professionali. Il risultato offertoci dal giovane regista è veramente apprezzabile, una storia originale e girata con il forte impegno di risultare la piú autentica e la piú veritiera possibile. Tutto è decisamente realistico: costumi ed ambientazioni, fino allo stesso linguaggio usato per gli scarsi dialoghi: il latino, o meglio, un corretto “ proto-latino” opportunamente sottotitolato. La cosa non disturba affatto, dopo poco lo spettatore è talmente preso dalla narrazione filmica e dall’intensità della recitazione dei protagonisti, che ci si scorda dei sottotitoli. Anzi … tutto sembra ancora più vero. La realizzazione può far ricordare film come Apocalypto di M. Gibson, ed il gioco dei rimandi  non si ferma certo qui; il ruolo della natura cosi incombente ed immanente nelle sue valenze spirituali ci può certamente ricordare The New World di T. Malick, così come la lotta per la sopravvivenza fra boschi e paludi non può non ricordarci The Revenant di G. Iñarritu.

Pur con tutti questi possibili rimandi, l’opera di Rovere è però originalissima e supportata da una fotografia più che eccellente, tutta in luci naturali, proprio per evidenziare il ruolo di coprotagonista della Natura, un mondo inospitale, selvaggio e ferino fatto di boschi oscuri e paludi, ove la storia ha il suo decorso naturale e lo stesso spettatore si trova immerso partecipe anche lui della lotta per la sopravvivenza.

Gli attori tutti sono bravi, in particolare sono poi eccellenti i due protagonisti Borghi (Remo) ed Alessio Lapice (Romolo). Certo il film è, a tratti, violento, ma la violenza era una realtà pervasiva di quei tempi, cosi come lo era l’influenza della superstizione o religione sulle azioni degli uomini. Siamo molto lontani dai kolossal in costume, dai peplum eleganti e finti di americana memoria o, dai “sandaloni” italiani con una Roma in cartapesta, siamo invece in un mondo arcaico, selvaggio e primitivo ma reale, fatto di fango, buio, paura e coraggio bestiale.

Una sfida vinta e vinta bene quella di Matteo Rovere. Un film lontanissimo dal banale, dall’ordinario e dalla mediocrità. Un film che, pur con qualche caduta di ritmo, forse troppo lungo e con un finale quasi retorico, avrà comunque un sicuro apprezzamento anche internazionale. Un film infine, da poter leggere anche con le chiavi di lettura attualissime del conflitto tutto umano fra realismo e rispetto del divino, vale a dire le vicende della condizione umana. Un cinema veramente coraggioso ed ambizioso! Ce ne fossero di film così.

data di pubblicazione:18/02/2019


Scopri con un click il nostro voto:

LE NOSTRE BATTAGLIE di Guillaume Senez, 2019

LE NOSTRE BATTAGLIE di Guillaume Senez, 2019

Olivier (Romain Duris), caposquadra in un’azienda che ricorda tanto Amazon, è sempre pronto a battersi generosamente per i suoi colleghi, non coglie però i segnali di malessere di sua moglie che un giorno lo abbandona solo con i suoi due bambini. Olivier dovrà decidere per quali battaglie dovrà impegnarsi.

 

Ancora un film francese. Preceduto dall’eco di un discreto successo, giunge sui nostri schermi un altro film di oltr’Alpe che ci conferma la misura di quante e quali siano le differenze di qualità e di gusti fra le due cinematografie. Come andrà in Italia? Difficile fare previsioni, probabilmente otterrà gli apprezzamenti discreti di qualche critico e di alcuni spettatori e l’indifferenza dei tanti. Peccato! D’altra parte il mercato italiano si conferma tutto sui generis vista  la tiepida accoglienza che il pubblico nostrano ha riservato ad un film come La Favorita, nonostante i premi già ottenuti, quelli previsti e gli entusiasmi con cui invece pubblico e critica lo avevano già  accolto  altrove.

Le nostre Battaglie, selezionato nella Settimana della Critica nell’ultimo Festival di Cannes, è l’opera seconda del regista franco-belga Senez che conferma il suo talento nell’affrontare temi sociali e che, riprendendo un tema a lui caro: quello della paternità, ci racconta con tenerezza una storia intimista e sociale al tempo stesso, trovando il tono giusto per parlarci di rapporti umani, di lavoro, di famiglia, di paternità, di responsabilità … in breve della vita. Una “cronaca familiare” di un uomo, di un padre impegnato, troppo impegnato sul lavoro, tutto intento a combattere le ingiustizie sociali, che, dopo la sparizione della moglie, è costretto a prendere coscienza di ben altre battaglie: delle sue responsabilità familiari, dei suoi due bambini, e dei cambiamenti che questa presa di coscienza può comportare nella vita di un uomo. Una storia quotidiana quasi banale, un tema già affrontato in tanti film, che sulla carta non aveva nulla di eccitante e che ben pochi autori sono riusciti ad affrontare senza note false o lacrimevoli. Il nostro regista sa invece evitare, con abilità, di cadere nella trappola, ed ecco allora renderci, senza alcuna commiserazione, alcun manicheismo, al contrario con brevi tocchi realistici ed efficaci, una storia in perfetto equilibrio fra il dramma intimo e la cronaca sociale. L’autore infatti, senza alcune eccesso descrittivo, ci fa condividere i dubbi, le delusioni, le rabbie, ma anche le tenerezze e l’impegno dei suoi personaggi, tutti toccanti ed umanissimi, restituendoci con precisione e discrezione tutte le incertezze della vita umana e la complessità del mondo. Al centro del film, lontano dai suoi personaggi abituali, in un ruolo magnifico, tipico di attori del calibro di V. Lindon, c’è R. Duris, che il regista è riuscito con successo a trasformare facendogli perdere la sua maschera di charmeur dal sorriso automatico. L’attore, con un’interpretazione matura, ci regala un “padre-coraggio” intenso, vero e commovente. Un padre pronto a lottare su tutti i fronti pur di non tradire né il proprio impegno familiare né tantomeno il proprio impegno sociale, cercando di definire per quali battaglie valga ancora la pena di continuare a battersi ed a quale prezzo. Lo circondano in splendidi ruoli secondari un coro di attrici di grande capacità recitativa per spontaneità, intensità e presenza scenica.

Un film dunque alla maniera dei migliori Fratelli Dardenne, ma con un tocco in più di sensibilità e grazia che consente al regista di giocare brillantemente su due registri: quello intimo e quello sociale, alternando tratti drammatici a tratti leggeri, con una direzione fluida e senza sforzi apparenti e con risultati così buoni da far sembrare tutto come naturale. Come nella migliore tradizione del cinema francese, Le nostre Battaglie è un film di attori. Un cinema semplice, di sentimenti, ma un cinema bello e sincero che esamina l’uomo quotidiano senza mai giudicarlo. Un film di rara finezza, diretto con sensibilità ma senza sentimentalismi.

data di pubblicazione:12/02/2019


Scopri con un click il nostro voto:

LA FAVORITA di Yorgos Lanthimos, 2019

LA FAVORITA di Yorgos Lanthimos, 2019

Inghilterra XVIII secolo, gli Inglesi sono in guerra con la Francia. La regina Anna (Olivia Colman), donna fragile, malata e capricciosa, siede sul trono, ma, di fatto, governa per lei la sua favorita ed intima amica lady Sarah Churchill (Rachel Weisz) prendendosi cura sia del Regno sia della Regina stessa. L’equilibrio va in crisi quando lady Sarah concede generosamente di lavorare a corte alla sua lontana cugina, la giovane Abigail (Emma Stone). Costei, nobile decaduta e povera, dietro alla facciata di umiltà ed innocenza, cela in verità una subdola e fredda voglia di rivalsa e di potere. Tra dissimulazioni, intrighi, sotterfugi ed amori saffici si apre una lotta senza quartiere fra le due dame per le grazie della volubile regina e per il potere.

 

Già pluripremiato a Venezia, da dove nei suoi Appunti di viaggio ce ne aveva fornito alcuni accenni con la sua brillante sintesi ed acutezza di giudizio la nostra M. Letizia Panerai, arriva oggi sui nostri schermi, ricco di altri premi e di ben dieci nomination per i prossimi Oscar l’ultimo film di Lanthimos. Il giovane regista greco è uno dei cineasti più sorprendenti ed originali per la natura dei suoi lavori e per la traiettoria singolare che ha saputo costruirsi nel corso di un breve lasso di tempo. Gli sono bastati infatti appena un pugno di film per essere inserito dai critici nel gruppo dei pochi autori di valenza internazionale, grazie al suo talento artistico, al suo humour surreale e dissacrante ed al suo gusto per una satira sociale molto caustica e libera da ogni tabù.

La Favorita, dopo The Lobster ed Il Sacrificio del cervo sacro, film entrambi, a dir poco, spiazzanti, è difatti il suo terzo progetto internazionale ed il primo di cui si limita alla sola regia. E che regia! Il film non delude nessuna delle attese che lo precedevano perché assistiamo al risultato di un lavoro prodigioso e riuscito sulle forme del cinema spettacolare e commerciale attuale. Il regista infatti si impadronisce e si diverte con i codici e le convenzioni dei film storici, dei drammi in costume e dei biopic, e, con ingegnosità ed audacia li fa propri, ne cambia radicalmente il registro e ne rende un insieme amalgamato che, nel contempo, è però radicalmente nuovo e del tutto originale. Può sembrarci un film apparentemente semplice, ma, in realtà è ben più complesso ed affascinante di tutte le precedenti realizzazioni dell’autore. Un film che dovrà essere rivisto per meglio coglierne tutti i vari piani di lettura. Pur uscendo dall’astrazione dei suoi pregressi lavori, il regista ama infatti continuare a sorprendere e spiazzare lo spettatore proprio mentre sembra avergli offerto un modo ed una prospettiva concreta, sia pur insolita e corrosiva, per leggere la storia che viene narrata.

Il film non è assolutamente il remake di un qualcosa già visto, al contrario è un’opera in tutto e per tutto originalissima e, se proprio vogliamo cedere al gioco dei rimandi, un qualche richiamo si può provare a fare solo al grande Kubrick di Barry Lyndon od anche al Greenaway di Compton House per alcuni tocchi scenici e per alcune riprese a lume di candela per restituire le atmosfere cupe dell’epoca.

Fra costumi sontuosi ed arredi di interni fastosi, l’autore ci racconta dunque di un intrigante gioco di amore e potere che vede coinvolte tre donne con pochi scrupoli, quale mero spunto per poi fare una amara e durissima riflessione sull’arrivismo, sull’egoismo, sul potere e, soprattutto sul desiderio del potere fine a se stesso, costi quel che costi pur di primeggiare sugli altri. Contemporaneamente il regista ci regala anche uno studio sulle rivalità al femminile, ove invidie, gelosie, competizione, manipolazione, uso della forza della bellezza o sfruttamento della debolezza psicofisica, dei sentimenti e del bisogno di affetti divengono tutte armi da usare, con pari cinismo e crudeltà, come armi vere, ed allora sesso e potere divengono ben presto lame pericolose e a doppio taglio. Pur cambiando il contesto narrativo, per Lanthimos resta sempre costante elemento distintivo della sua narrazione filmica la condanna inesorabile dell’animo umano ad essere sempre corrotto dal potere, dall’avidità e dalle sue debolezze nascoste. Per raccontarci tutto ciò l’autore mette in scena un mondo di immagini lussuose, un perfezionismo fastoso di ambientazioni, arredi ed acconciature, ripreso spesso, ma senza infastidire però troppo lo spettatore, con inquadrature in fish-eye o con primi piani o grand’angoli, per sottolineare così che l’immagine è al servizio della narrazione e rendere altrettanto palese allo spettatore che la storia e la realtà raccontate sono parzialmente finte e deformate, rendendo in tal modo il tutto molto più moderno.

Una regia quella di Lanthimos sempre dinamica e creativa ma mai eccessiva, una direzione che con ritmo incalzante tiene lo spettatore incollato allo schermo per seguire gli sviluppi narrativi dei complotti e dei giochi delle tre donne. Sono proprio le tre attrici protagoniste che danno con la loro recitazione un qualche cosa di intrigante ed interessante in più al film che lo rende alla fine quasi perfetto. Sono loro che tengono la ribalta e reggono tutte le scene in un film in cui non c’è spazio reale per gli uomini. La recitazione del Trio è veramente a livelli elevati, difficile dire chi interpreti meglio il suo personaggio. Di sicuro la Colman rende in modo perfetto tutto il disagio psicofisico della sovrana, ma non le son da meno le altre due alle prese entrambe con personaggi dalle molteplici sfaccettature. Lanthimos ha dunque superato la sfida con brio squisito ed audacia e si conferma un autore non semplice e nemmeno leggero, ma , di sicuro, geniale e di innegabile talento, capace di raccontare il passato giocando con elementi contemporanei ed in modo moderno.

La Favorita è un film autoriale pienamente riuscito che piacerà al grande pubblico ed ai cinefili.

data di pubblicazione:25/01/2019


Scopri con un click il nostro voto:

MARIA REGINA DI SCOZIA di Josie Rourke, 2019

MARIA REGINA DI SCOZIA di Josie Rourke, 2019

Ancora una volta torna al cinema la tragica vicenda umana e politica di Maria Stuarda (Saoirse Ronan) giovane vedova del Re di Francia, Regina di Scozia nonché pretendente al trono d’Inghilterra in contrasto con la cugina Elisabetta I (Margot Robbie). Una rivalità fra donne e regine e, nello sfondo, il più ampio conflitto fra le fazioni cattoliche e protestanti sia inglesi che scozzesi nella seconda metà del 1500.

 

In attesa dell’ormai prossima uscita dell’attesissimo La Favorita del geniale ed irriverente Y. Lanthimos, grande favorito ai prossimi Oscar, complice anche un pomeriggio di pioggia, non abbiamo saputo resistere alla fascinazione di questo classico che non tramonta mai ed alla voglia di pregustare il sapore degli intrighi delle corti e dei palazzi reali, scozzesi od inglesi che siano.

La quarantenne J. Rourke apprezzata regista teatrale inglese, debutta oggi dietro la cinepresa affrontando coraggiosamente e con maestria un tema ed una storia già portata sugli schermi cinematografici per ben 8 volte. Restando fedele alle sue origini ed avvalendosi di un buon adattamento curato da B. Willimon, l’autore di House of cards, la regista costruisce un dramma molto classico che, oltre che sul conflitto di potere fra due regine, si centra soprattutto sul confronto fra due donne, due donne autorevoli in un universo però dominato dal maschile e dal patriarcale. L’autrice, adattando la storia ai nostri tempi, quasi una metafora dell’attuale, si focalizza essenzialmente, in una loro contrapposizione costante, sul diverso ruolo delle Regine e delle donne nelle due diverse corti reali e nella Società dell’epoca in genere. E’ la storia di due donne forti ed indipendenti che cercano, al loro meglio, di gestire e mantenere il loro potere, incapaci però di conciliare le proprie personali discordie con le strategie, gli intrighi politici che le circondano.

La regia segue con fluidità e giusto ritmo narrativo la vicenda delle due sovrane, quasi in parallelo, in una continua lotta a distanza fatta tutta di congiure e tradimenti, allorchè poi la narrazione diviene troppo ricca concorrono a farle da valido sostegno le ottime interpretazioni delle due protagoniste, fino al culmine narrativo del loro faccia a faccia finale fra rivalità ed affascinazione reciproca di vere combattenti. Un incontro questo mai avvenuto nella realtà, ma un “falso” ormai diventato “storico” in tutte le trasposizioni, per accentuare la tensione drammatica del racconto.

Entrambe le attrici sono vincenti. La Ronan si consacra definitivamente come ottima attrice, capace di esprimere con naturalezza affascinante tutti i sentimenti e la sensualità della regina di Scozia. Alla sua altezza è la Robbie che dopo l’exploit di Tonya si conferma come un sicuro talento.

Di contro la regista, pur senza essere innovativa, dimostra di avere una buona mano, la messa in scena è elegante, ma talora l’approccio è solo estetico, un po’ freddo e senza coinvolgimento, quasi didascalico, ed allora il ritmo narrativo diviene incostante. Nuoce soprattutto al film, quasi snaturandolo oltre misura, l’insistenza di voler rendere troppo moderna la vicenda, finendo così con il darci più un ritratto emotivo che non un ritratto storico dei rapporti fra le due regine. Di qui poi una serie di forzature, di libertà ed inaccuratezze storiche ed anacronismi eccessivi che a nulla giovano e che invece sicuramente deluderanno ed irriteranno gli appassionati di Storia o della Verità storica. Viste le precedenti celebri trasposizioni e interpretazioni sarebbe ben difficile per il nostro film distinguersi, per cui dovendo escludere, gioco forza, ogni confronto, Maria Regina di Scozia, va visto non certo come un capolavoro, ma solo come un film più che onesto, ben curato, elegante e ben recitato. Un film con alcuni difetti, ma comunque un film da poter senz’altro vedere, apprezzare e godere per poi passare oltre, in attesa, fra qualche anno, di una nuova trasposizione.

data di pubblicazione:22/01/2019


Scopri con un click il nostro voto: