L’AMICO RITROVATO da Fred Uhlman, regia di Alessandro Sena

L’AMICO RITROVATO da Fred Uhlman, regia di Alessandro Sena

(Teatro Cometa Off – Roma, 24/29 gennaio 2023)

Torna al Cometa Off di Testaccio L’amico ritrovato, adattamento teatrale del romanzo breve di Fred Uhlman, per la regia di Alessandro Sena. Il racconto dell’amicizia tra Hans e Konradin per non dimenticare gli orrori dell’Olocausto, nei giorni dedicati alla Memoria.

 

Un muro di filo spinato – un’inutile barriera che il tempo, le scelte e la speranza possono abbattere – separa la scena dividendola in due esatte metà. Da un lato una poltrona rossa, sulla quale scende a illuminarla un lampadario a gocce. Dall’altro un interno borghese, con sedie imbottite e tavolinetti da caffè. Siamo in due epoche diverse, lontane nel tempo e nello spazio. Il realismo della scena è amplificato nella ricercatezza dei costumi di scena. L’interno con la poltrona rossa ci riporta alla Germania degli anni Trenta, nella lussuosa casa dell’aristocratica famiglia filonazista dei genitori di Konradin von Hohenfels; mentre l’altro è il salotto anni Settanta nell’appartamento di Hans Schwarz, costretto a emigrare in America anni prima perché ebreo. Erano studenti nello stesso liceo di Stoccarda quando i due ragazzi si incontrarono la prima volta nel 1932, diventando subito amici. Allora la città sveva era lontana dai fenomeni di intolleranza religiosa e razziale che interessavano Berlino. Ma presto il vento della guerra, con tutto il carico di odio nei confronti degli ebrei, li avrebbe presto investiti distruggendo la loro amicizia. L’azione si svolge in contemporanea davanti ai nostri occhi, come a ricordarci che ovunque nel tempo un fatto si sia svolto è il presente che ha il dovere di ricordarlo.

In occasione della celebrazione del Giorno della Memoria, il teatro Cometa Off ripropone, dopo il successo ottenuto lo scorso anno, L’amico ritrovato diretto da Alessandro Sena. Lo spettacolo, a cura dell’Associazione culturale I giardini di Antares, è stato tradotto e adattato in maniera efficace e originale dal regista in collaborazione con Marco Tassotti. La drammaturgia è solida e sa entrare in dialogo coerente con altre storie, come quella commovente di Dora Gerson, attrice e cantante tedesca assassinata ad Auschwitz con tutta la famiglia. Ma anche storie che mutuano dalla tradizione operistica il loro esempio: come infatti Tosca venne tradita sul finale da Puccini, così Hans viene tradito nell’amicizia da Konradin.

Il cast, in parte cambiato rispetto alla scorsa edizione, vede in scena un gruppo di attori impegnato a trasmettere con seria professionalità il concetto di memoria alla base del dramma. Hans e Konradin sono interpretati rispettivamente da Marco Fiorini e Alessio Chiodini. Accanto a loro due attrici di incontestabile bravura e preparazione, nonostante la debolezza – rispetto ai protagonisti maschili – dei loro personaggi. Alessandra Cosimato è Page, nome simbolico perché interessata a pubblicare la testimonianza di Hans per la sua casa editrice, il quale mostra inizialmente reticenza più per il dolore a ricordare che per il fastidio dell’intervista. L’altra figura femminile è la madre di Konradin, interpretata da Vittoria Rossi, la voce che incarna tutto l’odio e il pregiudizio razziale nei confronti degli ebrei. Le sue parole possono apparire scontate e banali visto il modo con cui esprime il suo odio, ma è anche questo il lavoro che spetta alla memoria. Ripetere quello che diamo per scontato, perché questo tratto di storia non venga dimenticato. Ricordare per non dimenticare, per dirla con le parole che Alessandro Sena affida a Hans.

Lo spettacolo è stato apprezzato e applaudito la sera della prima anche dalla Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello. “È facile rompere un’amicizia se non si ha la capacità di scegliere da che parte stare”, afferma la Presidente, grata per questa occasione offerta dal teatro per fare memoria e per riflettere su emozioni e sentimenti che non sono affatto semplici.

data di pubblicazione:29/01/2023


Il nostro voto:

TESTIMONE D’ACCUSA di Agatha Christie, regia di Geppy Gleijeses

TESTIMONE D’ACCUSA di Agatha Christie, regia di Geppy Gleijeses

(Teatro Quirino – Roma, 17/29 gennaio 2023)

Leonard Vole viene accusato dell’omicidio di Emily French, una ricca donna che era disposta a lasciargli la sua eredità. Sul banco dei testimoni compare a deporre contro di lui la moglie, Romaine Heilger. Sarà l’avvocato Sir Wilfrid Robarts a difenderlo, ma il caso è molto più complesso di quello che appare. In scena al Teatro Quirino di Roma il perfetto dramma giudiziario della ‘maestra del giallo’ Agatha Christie.

 

 

 

Non capita spesso nel panorama dei teatri italiani di veder rappresentati testi che altrimenti rimarrebbero a prendere polvere sugli scaffali delle nostre librerie. È un bene allora che ci siano registi come Geppy Gleijeses che hanno il coraggio di portare in scena grandi autori poco frequentati, come accadde l’anno scorso con Processo a Gesù di Diego Fabbri e quest’anno con Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution, 1953) di Agatha Christie. L’indiscussa “regina del giallo” ha avuto più fortuna per i romanzi che per i suoi lavori teatrali, tra cui però compaiono capolavori come quello in scena al Quirino in questi giorni e il ben più famoso Trappola per topi (The Mousetrap, 1952), entrambi adattati da due racconti. Ma il coraggio risiede anche nel proporre al pubblico uno spettacolo della durata di due ore senza intervallo – un tempo che non siamo quasi più abituati a concedere a un prodotto culturale – a cui è necessario prestare molta attenzione per apprezzarne il perfetto meccanismo dell’indagine e il realismo di un linguaggio accurato nella terminologia legale. Si apprezza in particolare la volontà del regista Geppy Gleijeses di rispettare il testo nella sua totalità, senza tagli o ammodernamenti – se si fa eccezione per l’aggiunta di alcune battute sul finale che riscattano la figura femminile di Romaine – per una messa in scena efficace e fedele. Prodotto dalla Gitiesse Artisti Riuniti in collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto, Testimone d’accusa non può essere portato in scena senza tener conto dei dettagli sui costumi sociali in cui è ambientata l’opera. Il dramma è fortemente contestualizzato e Geppy Gleijeses, per nostra fortuna, lo rispetta.

Al centro dell’indagine c’è la figura di Leonard Vole che viene accusato di omicidio. È un personaggio in apparenza buono, semplicione, che cattura la nostra simpatia soprattutto per l’interpretazione di Giulio Grosso, che ne sottolinea con bravura eccezionale l’ingenuità. Una coppia di avvocati prende le sue difese. L’avvocato Mayhew (Antonio Tallura) e Sir Wilfrid Robarts, ruolo affidato a Geppy Gleijeses in sostituzione di Giorgio Ferrara, assente per una lieve indisposizione. Non compare quindi nessun Poirot o Miss Marple a investigare sui fatti, ma Sir Wilfrid ne è uno stretto parente. Non manca la pipa a caratterizzare il personaggio. Animato dal dubbio e da una sottile intelligenza, conduce la sua inchiesta prendendo a bersaglio la moglie di Leonard, la tedesca Romaine Heilger interpretata da Vanessa Gravina. Quest’ultimo personaggio è senza dubbio il più complesso di tutta la pièce e insieme quello più teatrale, per profondità psicologica e capacità di trasformazione. Vanessa Gravina dimostra di aver compreso a pieno le ragioni e il mistero che si celano dietro la sua Romaine. È un personaggio quasi pirandelliano per la forza che ha nel saper mascherare la verità che porta dentro, nonostante i pregiudizi della corte. È una donna, “Ma chi vuoi che creda a una moglie” dice Sir Wilfrid, e per di più straniera di un paese che era stato in guerra con l’Inghilterra fino a pochi anni prima. Il suo temperamento algido, privo di emozioni, in realtà nasconde una nobile motivazione che sarà il pubblico – presente in sala, ma anche scelto in piccolo numero ogni sera per essere presente sulla scena – a giudicare le sue azioni e a darle o meno l’assoluzione.

data di pubblicazione:22/01/2023


Il nostro voto:

ANGEL OF KOBANE di Henry Naylor, regia di Simone Toni, con Anna Della Rosa

ANGEL OF KOBANE di Henry Naylor, regia di Simone Toni, con Anna Della Rosa

(Teatro Belli – Roma, 6/7 dicembre 2022)

Rehana è una ragazza curda che sogna di diventare avvocato. L’attacco dell’Isis alla sua città, Kobane, la costringe a imbracciare il fucile per difendere la sua terra. Una storia di coraggio e sacrificio che ha per protagonista una straordinaria Anna Della Rosa.(ph. Lanna)

 

In pochi si ricordano della città curda di Kobane, situata a pochi chilometri dal confine con la Turchia, nel nord-est della Siria. Quando venne assediata dall’Isis, tra il settembre del 2014 e il marzo del 2015, Rehana aveva appena cominciato a studiare Legge all’università. Il suo desiderio era diventare avvocato, ma a causa della guerra è costretta a imparare a usare il fucile per difendere gli ideali di libertà e giustizia cari al suo popolo. La regione in cui vive è il Rojava, un’area de facto autonoma dove vige un confederalismo democratico che ha tra gli obiettivi quello dell’emancipazione della donna. Rehana rappresenta tutto quello che Daesh odia: donna, liberale, istruita. Fu il padre contadino a insegnarle a sparare, quando da piccola la portava nei terreni coltivati dalla sua famiglia da generazioni. Le insegnò anche a non abbassare mai gli occhi di fronte al nemico.

L’esito degli scontri segnò la vittoria curda, grazie all’impegno decisivo e all’eroico sacrificio di donne e uomini che, come lei, facevano parte delle Unità di protezione popolare (YPG). Henry Naylor, autore della pièce, non è nuovo nel trasportare in teatro storie realmente accadute di persone vittime della guerra. Le vicende che racconta parlano di torture, stupri, soprusi, decapitazioni. In generale di argomenti che si inseriscono a ragione nelle tematiche trattate dal teatro contemporaneo inglese, interessato a indagare il lato doloroso dell’umanità. A buon diritto lo spettacolo è stato inserito all’interno di Trend, la rassegna di drammaturgia britannica diretta da Rodolfo di Giammarco, ed è stato forse uno dei brani più potenti andati in scena in questa XXI edizione. Prodotto originariamente nel 2018 dal Teatro Nazionale di Genova, la versione vista al Teatro Belli è una produzione TPE (Teatro Piemonte Europa). Tradotto da Carlo Sciaccaluga e diretto da Simone Toni, lo spettacolo ha per protagonista Anna Della Rosa, per la prima volta sul palco di Trend. Ci auguriamo di rivederla ancora.

Anna Della Rosa dona tutta sé stessa al testo. I suoi movimenti sono ben calcolati e le sue emozioni perfettamente calibrate. Non ci sono sbavature o esagerazioni nella sua recitazione. Di fronte al male più atroce la sua voce si fa metallica, senza perdere però di intensità. Questo suo modo di raccontare la storia cattura lo spettatore più che le immagini di guerra che le scorrono alle spalle. Il pubblico è metaforicamente fatto prigioniero. Anna Della Rosa assorbe e catalizza su di sé tutta l’energia della sala. A mettere pausa al flusso ininterrotto di violenza c’è solo la musica. Il canto della liberazione curdo risuona nell’aria e, come le luci, scandisce le ore di una lunga giornata che inesorabili scorrono fino al sacrificio finale. Il teatro si conferma di nuovo lo strumento eccellente e necessario per comprendere il mondo e la storia che ci vede protagonisti.

data di pubblicazione:16/01/2023


Il nostro voto:

SEE PRIMARK AND DIE di Claire Dowie, con Martina Gatto, regia di Dafne Rubini

SEE PRIMARK AND DIE di Claire Dowie, con Martina Gatto, regia di Dafne Rubini

(Teatro Belli – Roma, 25/27 novembre 2022)

Entrare in un Primark può rivelarsi un’esperienza devastante. Claire Dowie ci porta con spregiudicata ironia a prendere in considerazione le assurdità della nostra epoca, in specie quelle legate all’acquisto compulsivo di beni non strettamente necessari. Una riflessione amara, ma divertente nell’interpretazione di Martina Gatto, sui pericoli della società capitalista.

 

 

 

Per chi non lo conoscesse, Primark è un negozio molto di moda nelle isole britanniche dove è possibile acquistare vestiti e accessori di ogni genere a prezzi ridicoli. Talmente ridicoli che è quasi impossibile uscire dal negozio senza portarsi a casa anche la più scadente maglietta a pochi centesimi. Orde di ragazzini (e non solo) spingono da tutte le parti per aggiudicarsi l’ottimo affare. Insomma, un tempio moderno al consumo sregolato di merci di poco conto. Tutto questo lo racconta Martina Gallo, protagonista dell’esilarante pièce di Claire Dowie, che ha debuttato alla fine dello scorso novembre al teatro Belli di Trastevere nell’ambito di Trend, la rassegna di drammaturgia di testi inglesi contemporanei, curata da Rodolfo di Giammarco. Tradotto e riadattato per il pubblico italiano dal direttore del teatro, Carlo Emilio Lerici, in collaborazione con Elena Maria Aglieri, See Primark and die riflette sulle pericolose conseguenze causate da una società capitalista, in apparenza sana ma per nulla felice.

Per comprare vestiti a buon mercato non occorre usare il cervello, per questo è facile farsi prendere la mano fino a sviluppare delle compulsioni. L’esagerazione può condurre alla malattia e addirittura a pensieri di morte. E se capitasse di morirci in un Primark? Colta da un improvviso attacco di panico, la protagonista è costretta infatti a interrompere la frequentazione quotidiana del negozio. La storia devia così bruscamente verso il racconto delle allucinazioni che la colpiscono, trascinando con sé lo spettatore in un mondo folle e confuso. Scoprirà più tardi di non essere la sola a vivere questo disagio, ma come lei ci sono tante altre persone affette da negoziofobia. E chissà che non ce ne siano anche tra il pubblico?

Martina Gatto, assoluta padrona della scena e del personaggio, conduce il racconto in prima persona con energia travolgente e in sintonia con quanto racconta. Appare divertita dalla sua stessa performance, quando ironizza sui caratteri patologici del suo personaggio che in fondo riguardano molti di noi. Per questo si affaccia spesso dalla quarta parete chiedendo il favore del pubblico, in uno stile che ricorda la stand-up comedy (un genere a dire il vero non molto frequentato tra gli spettacoli proposti a Trend). See Primark and die è nella sua interpretazione una divertente occasione per riflettere sui pericoli delle nostre più banali e apparentemente innocue abitudini.

data di pubblicazione:07/01/2023


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QUENTIN CRISP: NAKED HOPE di Mark Farrelly, a cura di Ferdinando Bruni, con Luca Toracca

QUENTIN CRISP: NAKED HOPE di Mark Farrelly, a cura di Ferdinando Bruni, con Luca Toracca

(Teatro Belli – Roma, 22/23 novembre 2022)

Luca Toracca è Quentin Crisp (ph. Laila Pozzo), l’attore e scrittore che non ha fatto mai mistero della sua omosessualità, portando avanti con brillante ironia la sua battaglia fino a diventare un esempio per molti.

Un grande sipario rosso scende dall’alto e abbraccia il palcoscenico con le sue pieghe. Il significato è inconfutabile: questa storia è uno spettacolo. Il personaggio qui rappresentato è egli stesso lo spettacolo. La scena è invasa da un caos di oggetti, tra cui spicca una toletta illuminata con i trucchi e parrucche. Cimeli di un passato glorioso, che trasmettono ancora la loro energia pulsante.

Be yourself, no matter what they said (sii te stesso, non importa cosa dicono gli altri) è la frase che fa da ritornello in Englishman in New York di Sting, brano dedicato proprio alla figura di Quentin Crisp. Icona gay della cultura inglese, uomo eccentrico dalla personalità esplosiva e travolgente, Quentin Crisp è riportato in vita nello spettacolo scritto da Mark Farrelly, andato in scena al teatro Belli per la ventunesima edizione di Trend, la rassegna di drammaturgia inglese contemporanea diretta da Rodolfo di Giammarco. Essere sé stessi, ostentare con eleganza e garbo la propria omosessualità, non nascondendosi dietro a ipocrisie e falsità – semmai solo dietro a un velo di trucco e a tanta intelligente ironia – è il messaggio di cui si fa portatore Luca Toracca, protagonista della pièce prodotta dal Teatro dell’Elfo di Milano. La somiglianza tra attore e personaggio è notevole, se non addirittura impressionante. Viene da chiedersi quanto ci sia di Quentin Crisp in Luca Toracca. La finzione del palcoscenico svanisce e l’attore fa capolino oltre la quarta parete. Non si limita a parlare al pubblico, ma con esso crea una situazione di ascolto e interazione. Il teatro diventa così uno strumento di educazione e di lotta. Non solo una lezione di vita, condotta con tagliente ironia e distacco da tutte le sofferenze che essa porta, ma uno strumento di denuncia di tutti gli abusi, le ingiustizie, le aggressioni che ancora oggi vedono vittime tutte quelle persone che hanno come unica colpa quella di essere diversi dagli altri, dall’indistinta giudicante maggioranza.

Seguendo la lezione di Toracca/Quentin, appare chiaro che il vero talento non risiede nel saper fare qualcosa, ma nell’essere sé stessi senza vergogna. Vale quindi la regola che la vita è più difficile per chi vuole diventare sé stesso. La strada è lunga e per nulla semplice. Dal testo, narrato in prima persona seguendo l’ordine cronologico dei fatti raccontati all’imperfetto (il tempo verbale con cui si parla del passato e dei sogni), si apprende che Londra negli anni Trenta era un posto avverso agli omosessuali effeminati come Quentin. L’ostilità partiva dalla famiglia e proseguiva per strada, tra insulti, molestie e a volte percosse. Gli anni della guerra non sarebbero stati più facili. Posare nudo come modello per le scuole di arte poteva essere l’unica alternativa dignitosa alla prostituzione. Gli anni Sessanta segnarono invece un periodo di tolleranza. Ma uno come lui, abituato a sorprendere con la sua eccentricità, neanche qui trova posto.

La svolta avviene quando, quasi ottantenne, arriva a New York. La città è eccitante e lo accoglie regalandogli fama e successo. Ed è qui che si chiude la parabola straordinaria della sua vita, colorata e complessa come le sue acconciature. Un racconto che Luca Toracca incarna con consapevolezza e convinzione, esprimendolo con tutta la dolcezza di chi sa che può dare consigli. “Scoprite chi siete e siatelo, anima e corpo” grida risoluto, perché quello che conta non sono i dubbi o i rimpianti, ma cosa siamo oggi, nonostante quello che pensano gli altri.

data di pubblicazione: 30/12/2022


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