L’ETÁ GIOVANE di Jean-Pierre e Luc Dardenne, 2019

L’ETÁ GIOVANE di Jean-Pierre e Luc Dardenne, 2019

Finalmente è arrivato nelle sale italiane L’età giovane dei fratelli Dardenne, presentato come evento speciale fuori concorso alla Festa del cinema di Roma nella Sezione Alice dopo aver vinto il premio per la miglior regia a Cannes. I registi colpiscono ancora nel segno raccontando una delle loro intense storie di minori (Il ragazzo con la bicicletta, Rosetta, L’enfant-Una storia d’amore), per rivolgersi invece al mondo degli adulti.

Ambientato in Belgio, il film parla dei turbamenti adolescenziali del “giovane Ahmed” (come il titolo originale, Le Jeune Ahmed, recita), un tredicenne musulmano in lotta con se stesso, combattuto tra gli ideali religiosi forzatamente instillati dal suo imam e i turbamenti tipici della sua età, solitamente piena di interrogativi, che tuttavia non possono non apparire ai suoi occhi “offuscati” come richiami ad una vita non pura.

L’età giovane è decisamente un film contro qualsiasi forma di integralismo, soprattutto se a farne le spese sono le nuove generazioni. Ahmed pianifica l’omicidio della sua insegnate in quanto accusata di apostasia da Youssouf, il suo imam, che continuamente gli parla della necessità di castigare chi non rispetta le regole, arrivando anche ad esaltare la figura del cugino di Ahmed come un eroe per aver immolato la sua giovane vita in nome di Allah.

Da spettatori non si riesce ad essere indulgenti nei confronti di questo adolescente, seppur vistosamente debole, e si prova rabbia per quella sua granitica ostinazione nel voler commettere un omicidio che egli ritiene “giusto”; tuttavia, attraverso le sue vicende, il film ci parla di plagio e di cattivi maestri, che purtroppo sanno a volte essere molto più convincenti di quella parte buona della società che talvolta non ha argomenti altrettanto persuasivi per dissuadere un giovane fanatico dal portare a termine il suo folle piano.

L’irriducibilità del protagonista pesa come un macigno e la sapiente regia dei fratelli Dardenne ce ne fanno sentire il carico, detestabile e fastidioso, attraverso la fissità del suo sguardo, la rigidità del suo corpo anche quanto pratica sport con i compagni di scuola, il suo netto rifiuto verso qualsiasi forma di contatto fisico con il mondo femminile, perché anche un abbraccio o una semplice stretta di mano rappresentano degli atti contrari ai suoi ideali di purezza.

Eppure questa pellicola riesce a generare un conflitto interiore di sensazioni contrapposte, attraverso le quali si può giungere a riflessioni che ci portano a condannare i reali carnefici e ad assolvere le vere vittime, passando da una mancanza totale di empatia verso il protagonista al perdono.

data di pubblicazione:04/11/2019


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ANTIGONE di Sophie Deraspe, 2019

ANTIGONE di Sophie Deraspe, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 17/27 ottobre 2019)

Antigone, della quarantenne regista canadese Sophie Deraspe, che ne ha curato anche la sceneggiatura, la fotografia, co-partecipando altresì al montaggio, è un film potente, contemporaneo, portatore di un messaggio universale di umanità, amore e coraggio tutto al femminile, sicuramente di antica matrice come la tragedia di Sofocle che lo ha ispirato, ma anche di attualissima illuminazione, che va ad onorare figure di eroine dei nostri giorni.

 

La piccola Antigone di appena 3 anni, dopo aver assistito all’assassinio dei suoi genitori in Algeria, arriva a Montreal come rifugiata assieme alla sorella maggiore Ismène, e ai fratelli Ètéocle e Polynice, quest’ultimo di poco più grande di lei, e alla nonna Ménécée che fa loro da tutore. Insieme riescono a ricostruirsi una vita tranquilla, in un quartiere popolare. A sedici anni Antigone è già una studentessa modello, vincitrice di borse di studio ed è anche colei che rappresenta una specie di faro per tutta la famiglia, nonna compresa. Un giorno la polizia, in seguito ad una colluttazione con dei ragazzi del quartiere in cui vengono coinvolti i fratelli della ragazza, nell’arrestare Polynice, spara in maniera apparentemente immotivata contro Ètéocle, uccidendolo. Si scoprirà che i due fratelli erano controllati già da tempo perché schedati come spacciatori. Antigone, addolorata per la morte del fratello maggiore e per evitare il rimpatrio sicuro di Polynice in Algeria, decide per amore della sua famiglia di “immolarsi” con tutta la forza interiore di cui è dotata. Motivata da un forte senso del dovere e nel ricordo continuo dei genitori defunti, la giovane decide razionalmente di sostituire la legge degli uomini con un proprio senso di giustizia, basato esclusivamente sull’amore e sulla solidarietà, mettendo a repentaglio il suo futuro di esiliata in Canada.

Folgorata a vent’anni dalla tragedia di Sofocle, che ne ha oltre duemila, la regista Sophie Deraspe crea un’eroina del ventunesimo secolo, dalla corporatura esile ma con una potentissima forza interiore, dallo sguardo che penetra, intelligente e volitivo, alla ricerca di una giustizia più forte di quella degli uomini, perché basata sull’amore con il quale è stata cresciuta dalla sua famiglia e che lei generosamente restituisce. Questa forza di cui è dotata la rende eroica agli occhi di tutti e lei si muove sulla scena come una persona investita di un dovere più grande di lei, che tuttavia non può non onorare: la sua famiglia, o ciò che rimane di essa, è tutto ciò che lei ha, o meglio, è tutto ciò per cui lei è quella che è diventata, e la sua giovane mente non può non considerare questo un fatto insormontabile, che la porta ad opporre un nuovo senso di giustizia, il suo, alla giustizia creata dagli uomini che vogliono sottrarle quegli affetti senza i quali non potrebbe vivere.

Gli attori sono bravissimi, tutti, ma Nahèma Ricci-Antigone è superba, perché dona tutta la sua anima ed il suo esile corpo alla sua eroina.

Vincitore come miglior film canadese al Toronto International Film Festival Award, Antigone è stato selezionato per rappresentare il suo paese agli Oscar 2020.

Film originale, che lascia il segno. Da non perdere.

data di pubblicazione:19/10/2019








LOLA di Laurent Micheli, 2019

LOLA di Laurent Micheli, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Alice nella città, 17/27 ottobre 2019)

Lola, il secondo lungometraggio del regista belga Laurent Micheli, apre nell’ambito della Festa del Cinema di Roma il concorso di Alice nella città, kermesse dedicata al dialogo con le nuove generazioni. Intenso nella sua semplicità, il film affronta le difficoltà che un padre e una figlia devono affrontare per tentare di accorciare le distanze che impediscono ad entrambi una civile convivenza.

  

Lola vive in una casa famiglia e divide la sua stanza con “l’arabo” Samir: lei solitaria e silenziosa, lui solare ed accogliente, entrambi con disagi familiari sulle loro giovani spalle. La morte della madre costringe la ragazza ad incontrare suo padre, uomo ruvido e rancoroso che due anni prima, quando Lola era ancora Lionel, l’aveva cacciata di casa a causa dei suoi comportamenti stravaganti. La decisione del genitore di non informarla per tempo della cerimonia funebre allo scopo di evitare ulteriori disagi, scatena una reazione rabbiosa nella ragazza che decide di rubare l’urna contenente le ceneri della madre: questo gesto porterà padre e figlia ad intraprendere un viaggio per raggiungere la villetta di famiglia sul mare, dove Lionel-Lola era cresciuto tra mille sofferenze, per esaudire il desiderio della defunta di disperdere lì le sue ceneri.

Il film affronta la tematica transgender in maniera non certo originale, ma da classico road movie, legando il viaggio reale per esaudire l’ultimo desiderio di una persona cara che non c’è più, a quello interiore di accettazione della diversità da parte di un genitore che rifiuta l’idea di non avere più un figlio ma una figlia, in uno scontro-incontro che porterà due mondi lontani ad avvicinarsi.

Ciò nonostante il film è lieve, intenso, facendo emergere qua e là, tra l’ottusità di un certo tessuto sociale e familiare, una calda umanità di cui certe persone sono portatrici in maniera del tutto inaspettata.

Philip, il padre di Lionel, è interpretato da un bravissimo Benoît Magimel (La pianista, Piccole bugie tra amici); altrettanto brava e molto centrata è Mya Bollaers-Lola, attrice transgender al suo primo ruolo che riesce a trasmettere la rabbiosa determinazione di chi ha sofferto molto per affermare sé stessa, in contrappunto ad un padre visibilmente imbarazzato per non essere riuscito a tutelare il suo nucleo familiare, ma con la complicità di una madre che ha al contrario sempre accettato le sue scelte di vita non convenzionali.

I dialoghi non sono mai banali e la tensione che i due attori trasmettono è costruttiva, lasciando una bella sensazione sul finale. Un piccolo gioiello da non perdere. Ottima la scelta del brano Ordinary people.

data di pubblicazione:18/10/2019








LE VERITÁ di Kore-Eda Hirokazu, 2019

LE VERITÁ di Kore-Eda Hirokazu, 2019

Arriva nelle sale, con il titolo Le verità, il film di Kore-Eda Hirokazu che ha aperto il Concorso della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il regista di Un affare di famiglia, ma anche di Father and Son, Little sister e Ritratto di famiglia con tempesta scrive nel 2003 questa storia nella forma di una pièce teatrale che prevedeva come unica ambientazione il camerino di un’attrice, ma decide poi di farla debuttare sul grande schermo girando a Parigi con interpreti francesi d’eccezione, non rinunciando tuttavia nella prima e nell’ultima scena a due splendide inquadrature di alberi autunnali che, con il cadere lieve delle foglie, ci traghettano in quel suo mondo poetico che ben conosciamo, in cui ciò che si prova emotivamente è più importante di ciò che viene provato dalla realtà dei fatti.

 

  

Fabienne (Catherine Deneuve) è una star del cinema francese che ha di recente pubblicato un’autobiografia in cui sua figlia Lumir (Juliette Binoche), che vive a New York sposata ad un mediocre attore americano (Ethan Hawke) e madre a sua volta, non si riconosce. Il confronto tra madre e figlia, quest’ultima accorsa a Parigi per la presentazione del libro, sarà necessario ad entrambe per far emergere “la verità” sui loro rapporti, sul loro differente modo di sentire, sui loro rancori ancora molto vivi e sulle loro ripicche che hanno portato entrambe a vivere in modo diametralmente opposto le loro esistenze. Fabienne è una donna libera, autonoma, che non rinuncia ad essere attrice anche nella vita, perché per lei recitare è la cosa più importante della sua esistenza; mente Lumir sembra volerle ogni giorno dimostrare che al contrario è la famiglia la cosa più importante, dando costantemente di sé un’immagine di donna realizzata come moglie e come madre, pur essendo una apprezzata sceneggiatrice. In questa altalena continua tra realtà e finzione ma, soprattutto, di quanto di vero si è disposti a mettere in gioco nella interpretazione di un personaggio, si alimenta la nuova storia di Kore-Eda che già ci aveva dimostrato, nel suo gioiello del 2018 Un affare di famiglia, come si può essere una famiglia senza esserlo realmente, in una finzione più incisiva della realtà.

L’interrogativo se sia davvero più importante la verità di una bugia e quanto di vero possa esserci nel ruolo di attore allorquando si accinge ad immedesimarsi, con il corpo e con la mente, nella vita degli altri, il regista giapponese non lo scioglie lasciando allo spettatore la scelta, usando la metafora del cinema come rappresentazione della verità attraverso la finzione.

La prova delle due interpreti femminili arriva diretta al cuore, culminando quasi sul finale in un confronto che ci fa commuovere, ma anche sorprendere come quando, di fronte ad un’eccellente prova attoriale ci si vergogna un po’, a luci accese, ad asciugarsi le lacrime per averci creduto. Ottime anche le performances di Ethan Hawke e degli altri interpreti maschili, volutamente in ombra, che fanno da cornice a tanto sentire.

La pellicola non raggiunge l’intensità dei precedenti lavori di Kore-Eda Hirokazu, ma non si può che togliersi tanto di cappello di fronte alla bravura del duo Deneuve-Binoche che fanno di questo film, non perfetto, un film emozionante, in cui ognuna ha messo molto di sé come hanno avuto modo di dichiarare alla stampa. Si spera che il doppiaggio non rovini proprio questa sinergia, che è il vero punto di forza della pellicola.

data di pubblicazione:10/10/2019


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MADRE di Rodrigo Sorogoyen, 2019

MADRE di Rodrigo Sorogoyen, 2019

(76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)

Elena, rincasando con sua madre, riceve una telefonata del figlio Ivàn, di appena 6 anni, in cui il bambino, in evidente stato di agitazione, la informa che suo padre ed ex marito di Elena, con il quale è in vacanza nel sud della Francia, lo ha lasciato da solo su una spiaggia che non sa con esattezza in quale località si trovi, per tornare nel camper parcheggiato in un bosco limitrofo a prendere i suoi giocattoli. La telefonata si interrompe mentre un uomo si sta avvicinando al bambino….

 

La sequenza iniziale del film Madre di Rodrigo Sorogoyen, ricca di una buona dose suspense adrenalinica, ricalca il pluripremiato cortometraggio omonimo con il quale nel 2017 il regista spagnolo ottenne il premio Goya, oltre ad una infinità di altri riconoscimenti, e la nomination all’Oscar per la sua categoria. La storia, presentata a Venezia nella sezione Orizzonti, riparte da quella stessa spiaggia deserta, dieci anni dopo l’ultimo avvistamento di Ivàn, dove Elena (Marta Nieto, la stessa attrice del corto) si è trasferita dalla Spagna e dirige un ristorante. Sembra tutto molto assopito: è passato del tempo ed Elena conduce una vita monotona ma normale, ha un compagno molto accudente ed amorevole, ed è stimata sul lavoro. La donna oggi ha 39 anni. Un giorno, mentre passeggia su quella spiaggia come fa sempre dopo pranzo da dieci anni, incontra un ragazzo francese che non può fare a meno di seguire sino a casa: il ragazzo, che ha sedici anni e studia lo spagnolo, le ricorda il figlio. Da quel momento i due cominceranno a frequentarsi nello sconcerto di tutti, soprattutto dei genitori del sedicenne.

Il film, splendidamente interpretato da Marta Nieto, famosa attrice di serie Tv spagnole ed al suo primo lungometraggio, mantiene una costante suspense nonostante le oltre due ore di durata, con un finale inaspettato ma non palesato dalla telecamera che lascia uno spiraglio aperto allo spettatore e gli concede di tirare un sospiro di sollievo. Il film di Sorogoyen, al pari di Ema di Pablo Larraín presentato quest’anno in concorso al Festival, ci descrive seppur in modo molto diverso l’elaborazione della perdita di un figlio, il lutto peggiore che possa colpire una madre, e ci fa tornare a sorridere sul finale con le protagoniste dopo aver sofferto con loro. Le figure maschili sono in ombra come lo sguardo di Elena, che solo l’adolescente Jean riesce a riaccendere. Madre è una storia intima, che coinvolge, ben calibrata, senza ombre, in cui percepiamo lo sforzo immenso di questa donna che ogni giorno tenta di spostare il macigno che le appesantisce il cuore, sforzo che la consuma da dieci lunghi anni e la lascia senza forze. Finché però l’amore riaffiora: non importa se quel giovane sia realmente il figlio perduto, perché quell’amore rende viva Elena, le fa provare il calore di un abbraccio, di una carezza, di dare protezione a quel figlio che non ha visto crescere.

Il regista ci conduce per mano, e con raffinata maestria, dagli inferi alla luce, seguendo il percorso doloroso di Elena che finalmente non ha più paura di amare e perdonare, dopo infiniti falliti tentativi di buttarsi il passato alle spalle.

Quanto alla intensa Marta Nieto, è sicuramente nata una stella.

data di pubblicazione:01/09/2019