TRE CIOTOLE di Isabel Coixet, 2025

(Foto da cartella stampa)

Isabel Coixet, insieme ad Enrico Audenino, traduce sullo schermo l’ultimo romanzo di Michela Murgia in un’opera che sa essere al tempo stessa gravosa e gentile, silenziosa e poderosa. Tre Ciotole non è un film che racconta la fine come un momento conclusivo, ma piuttosto come un varco; ciò che si perde diventa luce che entra.

La storia si dipana attorno a Marta (Alba Rohrwacher) e Antonio (Elio Germano). Dopo un litigio apparentemente banale, la loro separazione diventa la soglia di un nuovo, doloroso viaggio. Marta comincia a soffrire una perdita d’appetito che la costringe a guardare nel dolore dentro il corpo. Antonio, chef in ascesa, si rifugia nella cucina, nel lavoro, nel desiderio di riempire il vuoto con l’azione. Quando finalmente Marta scopre che dietro al sintomo c’è qualcosa di più profondo, di salute, di corpo che parla, tutto cambia. E il dolore diventa materia con cui imparare ad orientarsi.

I temi cari a Michela Murgia ci sono tutti, pur senza cadere nell’agiografia: la famiglia che si ricompone fuori dai vincoli di sangue, la malattia che non diventa spettacolo del dolore ma occasione di riscrittura identitaria, l’amore che si manifesta più come atto politico che sentimento privato. Anche se la sceneggiatura non è una trasposizione pedissequa dei dodici racconti del libro, ma cerca di creare un arco drammatico e unitario.

Alba Rohrwacher interpreta Marta non come vittima ma come un’eroina per cui la scoperta della malattia non è il mostro, ma l’occasione. Elio Germano, dal canto suo, costruisce Antonio con misura, una presenza complessa, capace di rimorso, di senso del fallimento, di amore che non lava via il passato ma cerca di conviverci. Il resto del cast, pur con meno spazio, fornisce sfumature importanti: figure che curano, che non giudicano, che restano accanto.

La scelta di girare nel formato quattro terzi, fatta per evitare l’effetto cartolina, restituisce però anche un senso di intimità e costrizione, accentuando la dimensione domestica e interiore dei personaggi. Il ritmo non è serrato, la Coixet lascia spazio, per la sospensione, per l’oscillazione tra memoria e presente, tra ciò che urla dentro e ciò che resta sommesso. E questo è un pregio. Ci sono però anche alcune zone meno efficaci. Fra passaggi narrativi prevedibili ed il messaggio che solo quando si sa di morire si comincia ad apprezzare la vita che è già sentito, sfruttato, e non sempre aderente alla drammatica realtà della malattia.

data di pubblicazione:11/10/2025


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2 Commenti

  1. Con un po’ di ritardo sono andato finalmente a vedere tre ciotole. Film volutamente lento per dare tempo ad ognuno di elaborare una propria teoria sulla validità della vita che, anche nella disgrazia, va comunque vissuta al meglio. Finale sorprendente. Il coreano di cartone finalmente esce dall’armadio con le proprie gambe. Non è proprio il caso di chiedersi il perché. Gli andava d basta…

  2. Ho trovato il film molto intenso, forse un tributo alla vita e alle opere della scrittrice così prematuramente scomparsa. C’è molto nel film del modo con cui Michela Murgia ha vissuto con consapevolezza quella malattia che non le lasciava scampo. Ho trovato il film equilibrato e gli interpreti principali molto dentro un ruolo fatto di “normalità” seppur nell’eccezionalità dell’evento che investe Marta. Ne consiglio la visione perchè se ne esce incredibilmente alleggeriti anche se, come viene sottolineato in questa bella recensione, questo sentimento di apprezzare con lucidità la vita anche con le sue piccole cose non è sempre aderente alla drammatica realtà della malattia.

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