NON CI RESTA CHE PIANGERE di Roberto Benigni e Massimo Troisi, 1984

NON CI RESTA CHE PIANGERE di Roberto Benigni e Massimo Troisi, 1984

Scritto, diretto e interpretato da Roberto Benigni e Massimo Troisi, con la collaborazione per la sceneggiatura di Giuseppe Bertolucci, Non ci resta che piangere è un film culto. Tentare di raccontarne la storia è alquanto difficile, perché il film è un bizzarro sfogo di creatività dei due interpreti. Pare che Benigni e Troisi chiesero alla produzione molto tempo per scrivere il copione ma alla fine si presentarono solamente con due appunti:ci perdiamo nel medioevo e andiamo a fermare Cristoforo Colombo”.

Siamo nella campagna toscana ed è l’estate del 1984. Saverio, maestro elementare, e Mario, bidello, sono amici. Un giorno nel tornare in macchina verso casa, per evitare l’attesa di un passaggio a livello, imboccano una strada secondaria, ma un’improvvisa tempesta li costringe ad alloggiare per la notte presso una locanda. L’indomani accade l’impensabile: scoprono da un passante di trovarsi a Frittole, un borgo toscano ed è il 1492, anzi “Mille e quattrocento quasi Mille e cinque”. A questo punto la loro avventura, indietro nel tempo ed in un luogo non sempre ben definito, ha inizio e nel contesto del borgo di Frittole accadono gli episodi più disparati. Saverio e Mario incontrano Vitellozzo, sua madre Parisina e decidono di lavorare nella loro bottega. Mario fa la conoscenza di Pia, fanciulla di una famiglia ricca, con la quale inizia a vedersi affacciandosi dal muro di cinta della casa di lei. Nel frattempo Vitellozzo viene arrestato e Saverio scrive invano una lettera a Girolamo Savonarola per ottenerne la liberazione. I due amici si imbattono in Leonardo da Vinci (siamo in Francia?). In una taverna incontrano l’amazzone Astriaha che ha il compito di fermare l’arrivo in Spagna (?) di qualunque straniero per garantire che le tre caravelle di Colombo possano salpare: in quella occasione Saverio rivela a Mario di voler fermare Colombo per impedire la nascita del fidanzato americano di sua sorelle Gabriella, che l’ha fatta tanto soffrire. I due amici infine, nel tentativo di tornare in Italia, scorgono da lontano del fumo: convinti di essere finalmente tornati nel Novecento, cominciano a correre verso quel fumo e scoprono a malincuore che si tratta di Leonardo che nel frattempo ha scoperto la locomotiva, facendo tesoro dei loro goffi insegnamenti!

Alle scorribande di Saverio e Mario abbiamo deciso di associare una duplice ricetta: la crema catalana e la crème brulèe, una di origini spagnole l’altra francese. Esse sovente vengono confuse in quanto entrambe sono caramellate, con lo zucchero in superficie, tuttavia la differenza c’è ed è sostanziale: la crème brulèe (dal francese: crema bruciata) si differenzia da quella catalana sia il per il metodo di cottura perché non viene cotta sul fuoco ma con un procedimento di bagnomaria, sia per il fatto che viene usata la panna liquida invece del latte e nessun tipo di amido. Iniziamo la nostra descrizione dalla crema catalana.

INGREDIENTI: 1 litro di latte – 200 g di zucchero – 50 g di maizena o fecola di patate o amido di frumento – 6 tuorli d’ uovo -1 stecca di cannella – un baccello di vaniglia – buccia di limone – zucchero di canna

PROCEDIMENTO:

Versare in una tegame capiente il latte (tranne due cucchiai che metterete da parte), la buccia del limone, il baccello di vaniglia inciso per lungo, metà dello zucchero, la stecca di cannella e portare a bollore, facendolo sobbollire per 5 minuti a fuoco dolcissimo; poi togliere dal fuoco. Nel frattempo, diluite la maizena (o l’amido di frumento o la fecola di patate) nel poco latte freddo rimasto. Quindi rimuovere la buccia del limone, il baccello di vaniglia e la cannella dal latte che abbiamo fatto sobbollire. In una ciotola capiente, montare con la frusta i tuorli con lo zucchero, finché il composto non diventa chiaro, omogeneo e cremoso; incorporate quindi prima la soluzione di latte e maizena attraverso un colino per trattenere eventuali grumi, mescolando finché il composto non risulterà ben amalgamato, e a questo punto, aggiungere a filo il latte caldo continuando a mescolare. Rimettete il tegame sul fuoco tenendo la fiamma bassa e mescolate continuamente per circa 2/3 minuti dall’ebollizione, finché non si addensa, evitando che la crema resti troppo tempo sul fuoco, perché potrebbe stracciarsi.. Versare il tutto in ciotoline dal bordo basso, lasciare stiepidire per 30 minuti, poi metterle a freddare in frigorifero. Al momento di servire, spolverizzare la superficie della crema con lo zucchero di canna e caramellare con l’apposito accendino altrimenti, se ne siete sprovviste, mettete le ciotole sotto il grill del forno caldo, per due minuti al fine di ottenere la croccante crosticina.

A questo punto per chi volesse toccare con mano e, soprattutto, assaporarne con il palato, la differenza, ecco la nostra versione della crème brulèe.

INGREDIENTI: 250 ml di Panna Fresca – 80gr di zucchero – 4 tuorli di uovo – 1 bustina di vanillina– zucchero di canna.

PROCEDIMENTO:

In un pentolino scaldate la panna senza portarla a ebollizione. Nel frattempo in una ciotola sbattete i 4 tuorli d’uovo con lo zucchero fino a creare una crema omogenea e spumosa, di colore chiaro. Aggiungere la vanillina alla panna, farla sciogliere bene e a quel punto versare la panna tiepida con la vanillina nella ciotola con le uova, continuando a mescolare. Mettete la crema in delle coquottes di ceramica apposta per la cottura in forno e fate cuocere a bagnomaria a 180° per 35 minuti. Una volta pronte lasciate raffreddare, cospargete con un cucchiaio di zucchero di canna e caramellate o con l’apposito bruciatore oppure infornate con l’impostazione grill per qualche minuto.
E adesso preparate la punta del vostro cucchiaio, per questo delicatissimo dessert, ricordando come “ad Amelie piace rompere la crosta della Crème brulèe con la punta del cucchiaio” da Il favoloso mondo di Amelie.

IL PRIMO UOMO di Damien Chazelle, 2018

IL PRIMO UOMO di Damien Chazelle, 2018

Presentato in prima mondiale il 29 agosto al Lido di Venezia, Il primo uomo ha inaugurato il Concorso della 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Intimo ed emozionante, non delude questo nuovo film di Damine Chazelle, a 49 anni dall’allunaggio dell’Apollo 11; la pellicola, interpretata da Ryan Gosling, Jason Clarke e Claire Foy e prodotta dalla Universal Pictures, è stata definita dallo stesso Barbera “un lavoro personale, affascinante e originale, piacevolmente sorprendente al confronto con gli altri film epici del nostri tempi, a conferma del grande talento di un regista tra i più importanti del cinema americano di oggi”.

 

Spazzati via romanticismo, sentimento e musica che avevano caratterizzato La La Land e le “frustate” del batterista di Whiplash, il giovane e talentuoso regista si muove in un territorio completamente diverso, concentrandosi sulla figura di Neil Armstrong negli otto anni che precedettero la missione NASA che lo fece sbarcare sulla luna, in un resoconto in prima persona di un uomo piuttosto reticente ad esprimere i propri sentimenti, padre e marito attento, umile, e non solo la figura iconica che tutto il mondo conosce. Chazelle è riuscito nell’ardua impresa di rispettare il carattere dell’uomo più che descrivere il mito, cercando di mostrarne le emozioni nella vita di tutti i giorni, indagando su ciò che ad ogni missione lasciava sulla terra riuscendo, grazie alla sua collaudata abilità di regista, a dare libero sfogo a quello che è il desiderio recondito di ogni bambino di diventare astronauta, come fosse la cosa più semplice al mondo. Non bisogna dunque essere dei supereroi, perché il suo Neil non lo è. La sceneggiatura, scritta da Josh Singer (Oscar per Spotlight) alterna ai momenti professionali, ricostruiti con meticolosa minuziosità, una tranquilla vita familiare, fatta di gioie e dolori che contribuirono, secondo il regista che si è nutrito dei racconti dei figli di Armstrong e della moglie nonché del libro di James R. Hansen, a creare il personaggio pubblico che tutti conosciamo.

Nel luglio 1969, Armstrong comandò la missione di allunaggio Apollo 11; nelle fasi di avvicinamento prese il controllo del modulo lunare sino a farlo atterrare in una zona poco rocciosa: uscito dal Lem, posò il suo piede sinistro sul suolo lunare e fu il primo essere umano a camminare sulla luna. Di quella conquista Armstrong disse: “La cosa più importante della missione Apollo fu dimostrare che l’umanità non è incatenata per sempre a un solo pianeta, e che le nostre visioni possono superare quel confine, e che le nostre opportunità solo illimitate”.

In Italia, quel 20 luglio del 1969, sarà ricordato non solo per la più lunga diretta mai affrontata dalla nostra televisione (circa 25 ore), ma anche per quel “Ha toccato! Ha toccato il suolo lunare!” riferita al modulo lunare Eagle, che il giornalista Tito Stagno pronunciò con una manciata di secondi in anticipo rispetto all’inviato Ruggero Orlando, il quale in collegamento da Houston subito dopo replicò “Ha toccato in questo momento”. La disputa tra i due cronisti sul momento preciso dell’allunaggio, coprì ai telespettatori italiani la storica frase di Neil Armstrong “Qui base della Tranquillità, l’Aquila è atterrata”.

Neil Armstrong è scomparso nell’agosto 2012 per le conseguenze di un intervento chirurgico di bypass coronarico: aveva compiuto 82 anni. Il film ci consegna l’immagine di un uomo come tanti, che tuttavia ha scritto una delle importanti pagine della storia del secolo scorso.

data di pubblicazione:31/10/2018


Scopri con un click il nostro voto:

THREE IDENTICAL STRANGERS di Tim Wardle, 2018

THREE IDENTICAL STRANGERS di Tim Wardle, 2018

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 13ma Edizione, 18/28 ottobre 2018)

Il film del documentarista Tim Wardle, che prima di approdare alla Festa del Cinema di Roma è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival, parla dell’incredibile storia di tre fratelli americani nati il 12 luglio del 1961 da madre single e che, tramite un’agenzia di adozione ebraica, furono dati separatamente in adozione in tre diverse famiglie, di diversi livelli economico-sociali.

 

 

 

Ciascuna delle famiglie dei neonati, ignare che il loro figlio adottivo avesse dei fratelli, accettò dall’agenzia che il loro bambino, per almeno 10 anni, venisse monitorato di tanto in tanto da degli assistenti con il pretesto di voler tutelare la crescita del minore nel migliore dei modi possibile.

La storia non sarebbe venuta a galle se, al compimento del diciottesimo anno di età, due dei tre fratelli non si fossero incontrati casualmente al college: la loro foto, finita su molti giornali, arrivò agli occhi del terzo fratello che si palesò. I tre divennero ben presto delle celebrità, oggetto di interesse da parte della stampa, della televisione e persino Madonna li volle in un suo film. Sul perché i tre fratelli fossero stati separati alla nascita, l’agenzia di adozione rispose che era l’unico modo per garantire loro la possibilità di essere adottati all’interno di una famiglia, cosa difficile se al contrario fossero rimasti uniti. Ma nel 1995, il giornalista investigativo Lawrence Wright pubblicò un articolo in cui rivelò che i tre gemelli, assieme ad altre coppie di gemelli monozigoti separati alla nascita, furono oggetto di un lungo studio da parte dello psichiatra Peter B. Neubauer.

Il documentario di Tim Wardle oltre che essere fatto molto bene, è anche molto interessante perché racconta minuziosamente tutta l’intrigata e dolorosa vicenda. Vittime infatti, oltre ai tre fratelli, furono le famiglie adottive, “ingannate” in un periodo in cui la legislazione sulla tutela dei minori aveva sicuramente dei buchi tali da permettere la separazione di tante coppie di gemelli, senza che la cosa fosse ascrivibile ad un reato, seppur ad oggi rimane comunque un atto eticamente riprovevole che ha segnato in modo profondo le loro vite.

Il film dovrebbe essere distribuito a fine dicembre nelle sale italiane.

data di pubblicazione:27/10/2018








IF BEALE STREET COULD TALK di Barry Jenkins, 2018

IF BEALE STREET COULD TALK di Barry Jenkins, 2018

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 13ma Edizione, 18/28 ottobre 2018)

Una romantica storia d’amore che diviene struggente perché conosce la tristezza della separazione e che, invece di spegnersi, si autoalimenta. E così l’amore diviene strumento per difendersi dalle ingiustizie e dal dolore, quell’amore che rende forti se viene instillato sin da bambini, come cura per affrontare le brutture del mondo.

 

Se la strada potesse parlare di James Baldwin è il romanzo da cui Barry Jenkins ha tratto ispirazione per il suo ultimo film, che riesce a mescolare, fedele al racconto, romanticismo e tristezza, melanconia e dolcezza, rabbia e dolore. “Beale Street è una strada di New Orleans, dove sono nati mio padre, Louis Armstrong e il jazz. Ogni afroamericano nato negli Stati Uniti è nato a Beale Street, è nato nel quartiere nero di qualche città americana, sia esso a Jackson, in Mississippi, o a New York. Beale Street è la nostra eredità. Questo romanzo parla dell’impossibilità e della possibilità, della necessità assoluta, per dare espressione a questo lascito…”

Siamo nel quartiere di Harlem a Manhattan negli anni ’70. Tish ha appena diciannove anni ed ama profondamente Alonzo, detto Fonny, che ne ha ventidue: i due sono cresciuti insieme e sono dunque inseparabili sin dalla tenera età e, seppur giovanissimi, il loro è un amore profondo. I genitori di lei ne sono perfettamente consapevoli, forse perché anche loro si amano ancora molto, mentre quelli di Fonny, in continuo litigio tra loro, non vedono di buon occhio la ragazza. Queste diverse vedute non impediscono alla coppia di progettare un futuro insieme e l’improvvisa gravidanza di Tish consolida quel legame già così stretto. Ma i loro romantici progetti di una felice vita in comune s’interrompono allorquando Fonny viene accusato di un reato che non ha commesso.

Il tema principale di questo film è l’amore, coniugato attraverso l’indissolubile legame di coppia, attraverso l’altrettanto indissolubile legame con la propria famiglia, attraverso le radicate amicizie del quartiere in cui si nasce e si diventa grandi, tramite un codice sacro non scritto che le famiglie afroamericane hanno, perché l’amore rende forti e pronti ad affrontare i colpi duri della vita, come i pregiudizi razziali ancora tanto radicati nella società americana e non solo.

E solo così, quando il più naturale dei progetti che un uomo e una donna possano avere nella propria vita naufraga in seguito ad un’ingiustizia, il sentimento che li unisce, se forte, può resistere anche alla più dura delle prove. Barry Jenkins, premio Oscar per il bellissimo Moonlight, è riuscito a trasferire sullo schermo la poesia dell’amore ma anche la sua forza che nasce dal contagio che si trasmette in famiglia, in una pellicola emotivamente avvolgente da non perdere.

data di pubblicazione:21/10/2018








OLD MAN & THE GUN di David Lowery, 2018

OLD MAN & THE GUN di David Lowery, 2018

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 13ma Edizione, 18/28 ottobre 2018)

Robert Redford sceglie di interpretare, per il suo addio alle scene, il ruolo di un attempato rapinatore di banche. Il suo Forrest Tucker ci fa ripensare a tutti quei personaggi che abbiamo tanto amato e continueremo ad amare, ribelli e fuorilegge alla Butch Cassidy, imbroglioni ma pieni di fascino come ne La stangata e ricchi di infinita classe come ne Il grande Gatsby.

 

 

Forrest Tucker, dopo aver messo a segno infiniti colpi in banca e ben 18 evasioni da ogni tipo di penitenziario, compresa quella clamorosa dal carcere di massima sicurezza di San Quintino, continua insieme ai “vecchi compagni” di avventura a commettere rapine, spostandosi di contea in contea. Il suo è un vero e proprio talento naturale, manifestatosi sin dai tempi del riformatorio, che Forrest continua anche in età più che matura ad esercitare con gioiosa sfacciataggine e una generosa dose di buone maniere. Un vero e proprio ladro gentiluomo che continua ad organizzare colpi leggendari, nonostante abbia alle calcagna il detective John Hunt, interpretato da un bravo Casey Affleck, rapito a tal punto dall’abilità di quest’uomo da essere felice di non poterlo catturare; Danny Glover e Tom Waits vestono i panni degli altri due componenti la“over the hill gang” e una brava Sissy Spacek quelli di una vedova che si innamora di Forrest nonostante l’insolita professione che questi si sia scelto.

Old Man & the Gun è un film godibile, ben ritmato, destinato sicuramente a riscuotere il successo che merita, grazie anche alla carismatica presenza di Redford. Tratto dalla storia vera di questo straordinario rapinatore di banche che, dopo aver portato a termine l’ultimo geniale colpo della sua lunga carriera, fu rispedito in prigione alla veneranda età di 80 anni, Old Man & the Gun vuole essere l’ultima immagine autoironica che questo grandissimo e poliedrico artista, coetaneo del personaggio che interpreta, ha voluto lasciare al suo pubblico.

E se ci piace pensare che l’andatura un po’ incerta e le giacche con le spalle un po’ scese siano un modo per il Grande Robert di “gigioneggiare” con lo spettatore instillandogli un inevitabile sentimento di tenerezza, attraverso i suoi occhi non possiamo che intravedere la lunga carrellata dei personaggi della sua prolifica carriera che ci accompagneranno ancora per moltissimo tempo, e ancora.

data di pubblicazione:20/10/2018