da Giovanni M. Ripoli | Mag 30, 2024
Film e serie ispirate al West, visibili in streaming. Ce n’è per tutti i gusti in TV e sulle diverse piattaforme. Ormai sostituiscono i cinema per ripensare e a volte arricchire un genere che conta ancora molti appassionati. Di seguito, una breve rassegna dei più significativi.
Forse non si può parlare di una novella consacrazione del genere, ma certamente, almeno in streaming, il western non è tramontato! Sappiamo tutti come il western sia sorto come genere cinematografico e come la sua evoluzione si sia sempre accompagnata a quella stessa del cinema. Possiamo dire citando, Andrè Bazin, uno dei critici cinematografici più influenti del secolo scorso, che il western è il solo genere le cui origini si confondono con quelle stesse del cinema. Oggi il tramite più immediato delle storie della frontiera è rappresentato dalle piattaforme in streaming, ovvero il caricamento audio e video attraverso internet. In perenne competizione fra loro, le varie, Netflix, Amazon Prime, Disney, Tim vision etc. in un universo in continua espansione, offrono film e soprattutto serie tv, teatro di storie segnate dalla presenza di uomini e donne forti e volitive in lotta col mondo circostante.Occorre dire che, rispetto alle trame dei capolavori di Ford, Hawks, Mann, il genere presenta una varietà e senz’altro maggiore aderenza alla realtà storica. Ne è un buon esempio, Lawmen- La storia di Bass Reeves (visibile su Paramount +) o anche, The English, mini serie con una intensa Emily Blunt. Continue sono poi le contaminazioni con l’horror o la fantascienza che, se ai puristi fanno storcere il naso, di contro avvicinano il genere alle giovani generazioni. Sul primo versante troviamo, Organ Trail di Michae Patrick Jann, vero e proprio corso di sopravvivenza nel Montana innevato del 1970. cui si sottopone la protagonista Abby Archer. Più incline alla fantascienza è invece la serie, Outer Range, già alla seconda stagione su Amazon Prime con Josh Brolin nella parte di un allevatore del Wyoming, coinvolto in una serie di misteri soprannaturali. Buona tensione ma, in verità, solo l’ambientazione è western!
In termini di suggerimenti assoluti, a detta dello scrivente, tocca segnalare il documentario, Lakota Nation vs United States (per pochi giorni anche al cinema) sullo scenario delle Black Hills e dei suoi nativi in lotta per riconquistare la terra sacra loro rubata in violazione di un trattato. In modo particolare vanno spese parole di elogio per la serie, 1883, prequel di Yellowstone, western moderno di Sky con Kevin Costner, ormai alla sua quinta stagione, certamente il miglior prodotto apparso nelle piattaforme. La serie segue le vicende,della famiglia di John Dutton che divenne in quell’anno proprietaria di vaste terre del Montana. Scritta e diretta da Taylor Sheridan, amico e sodale di Costner per cui ha sceneggiato,Yellowstone, serie di grandissimo successo, di cui rappresenta il prequel. Storia e interpreti sono perfettamente centrati, Sam Elliott (il capo carovana), Tim Mc Graw (John Dutton), Isabel May (la dolce e coraggiosa Elsa Dutton). Dieci puntate che ci raccontano frontiere infinite e pericolose, un west sporco e cattivo, ma anche tenero e suggestivo, all’interno di una trama di grande impatto. Lo stesso Sheridan ha poi scritto e diretto molte puntate di 1923, che in pratica prosegue negli anni a seguire le vicende della famiglia Dutton che trovano poi sviluppo nella serie, Yellowstone, ancora in attesa della sesta stagione… Per non farci mancare niente, anche lo /gli Spaghetti -western hanno trovato posto con una rivisitazione di Django, in un racconto diverso dal film, che si muove fra razzismo e redenzione con tanto di cameo di Franco Nero. Ancora più truce è la serie, That Dirty Black Bag, dove è facile intuire cosa ci sia nel sacco dello spietato bounty killer. Comunque c’è da divertirsi e non è finita perchè altre produzioni sono in arrivo…in attesa di Kevin Costner, l’ultimo westerner di Hollywood che si gioca tutto con il suo, Horizon, An American Saga, questa volta al cinema a giugno!
data di pubblicazione:30/05/2024
da Giovanni M. Ripoli | Mag 2, 2024
È ispirato, alla lontana, dall’omonima serie TV degli anni ’80, in Italia, Professione Pericolo. Si narra di un abile stuntman, Colt, cascatore, controfigura di un attore becero ma famoso, coinvolto in una serie di avventure, incredibilmente rischiose, nel tentativo di riconquistare la donna dei suoi sogni.
Come descrivere un ruolo professionale, fondamentale nei film di azione, renderlo personaggio simpatico e affascinante e al tempo stesso, parlare di se stessi? Lo sa bene David Leitch, uno che quel lavoro lo ha fatto per anni ed oggi, in qualità di regista, ne celebra il mito. Per la verità, è un po’ che il nostro si cimenta alla regia con risultati altalenanti (Atomic Blonde, Deadpool 2, Fast&Furious, discreti, John Wick, Bullet Train, buoni). Con The Fall Guy realizza certamente il suo miglior film. Una pellicola, occorre dirlo, che può dividere spettatori e pubblico in quanto ha il pregio/difetto di accarezzare più generi che si confondono, direi volutamente, fra loro. È un action movie? Si! E dei più scanzonati e movimentati. È un film sul cinema? Certamente si! È un Thriller? In buona parte. Ma è anche una commedia sentimentale? Certo! Ecco allora che il coacervo che ne viene fuori potrebbe far pensare o a un esagerato guazzabuglio o a uno spettacolo globale, a seconda dell’approccio personale. Onestamente ho trovato The Fall Guy estremamente dinamico, ironico, divertente, adrenalinico. Ricco di spunti scoppiettanti in tutti i sensi (c’è il record di otto scappottamenti di un auto, al cinema mai visto prima!), di gags brillanti, di scene mozzafiato, di continue citazioni da cinefili, di attori in gran forma. In buona sostanza, un mix di situazioni un riuscito pastiche, che finisce per coinvolgere lo spettatore., pur con qualche inevitabile pausa. La trama è semplice, ma ben articolata. Il protagonista Colt Seavers, uno straordinario Ryan Gosling, è uno stuntman che dopo un incidente imprevisto, non lavorerà per diciotto mesi. Si allontanerà dalla dolce fidanzata Jody (Emily Blunt, finalmente in un ruolo brillante), divenuta nel mentre regista a pieno titolo di un rozzo film di fantascienza che si gira a Sidney. Mi fermo qui perché succede di tutto e di più al ritorno di Colt, controfigura del bolso protagonista del film in lavorazione. Ci saranno complotti, rocamboleschi inseguimenti (nelle strade di Sydney e nel mare di fronte alla Opera House), voli surreali, botte da orbi (picchiano duro anche le girls) e scene che neanche James Bond o Mission Impossible…! La narrazione, spettacolare come non mai, è però sempre intrisa di ironia alleggerita da siparietti rosa e da una celata critica allo star system hollywoodiano.
Altro merito, non da poco, l’assenza inconsueta di volgarità, cosi come la presenza di una robusta e variegata colonna sonora. Dunque, non di capolavoro trattasi, ma certamente di un onesto spettacolo per tutti, in linea col concetto di un divertimento costato solo 130 milioni di dollari, come solo il buon cinema sa offrire. Un film che anche nel post- finale rende omaggio agli stuntmen, figure spesso misconosciute ma essenziali, per la buona riuscita dei film d’azione. Proprio come quel David Leitch degli inizi, oggi affermato regista.
data di pubblicazione:2/05/2024
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da Giovanni M. Ripoli | Apr 29, 2024
Documentario sulla vita e le prestigiose opere di Anselm Kiefer . L’artista tedesco, pittore e scultore è considerato uno dei più grandi artisti tra il XX e XXI secolo. Il pluripremiato regista, Wim Wenders ci regala uno straordinario lungometraggio sul Maestro tedesco. Un affresco girato con la tecnica del 3D che ne esalta attraverso allegorie, figure, installazioni, forme e contenuti, l’importanza del suo percorso artistico ed esistenziale
Come raccontare un artista, come renderlo personaggio autentico e affascinante. Lo sa bene un grande cineasta quale, Wim Wenders che, non pago del successo di Perfect Days, ci regala un’ennesima perla della sua straordinaria filmografia. Di recente, si assiste al proliferare di docu-film sulle vite e opere di artisti e musicisti, non ultimo, quello su Edward Hopper. Quasi sempre, tocca dirlo, si tratta di onesti compitini ben svolti e improntati sul grado di interesse che generano presso il grande pubblico i personaggi coinvolti. In questo caso, invece, tutto viene stravolto dall’aspetto visivo (un consapevole utilizzo del 3D), dalla tecnica magistrale di Wenders, dall’imponenza delle opere di Kiefer, come dai luoghi e dalle storie narrate. Niente viene lasciato al caso, si parla, e spesso è l’artista stesso (ripreso ora bambino, ora giovane adulto, ora uomo maturo) a farlo attraverso le sue parole. Si racconta a tutto tondo, in modo a volte cruento, a volte poetico, sempre sontuoso, un uomo e il suo percorso esistenziale e artistico. Anselm, artista monumentale, sognatore, indagatore dell’animo umano, consapevole fustigatore dei costumi, capace anche di terribili provocazioni, per esempio, ai danni dei suoi stessi compatrioti, allorché poco inclini o pigri nel rinnegare il nazismo. Come l’uomo, geniale e controverso, così la sua opera fatta di eccessi, di ombre e di colori, di materia viva, di fuoco e di fango, di misteri ed alchimie, di angeli e diavoli anche contemporanei.
La narrazione, però, non è mai didascalica e ovvia, ma procede per sbalzi e continui salti temporali, in grado di illuminare i progetti, le ispirazioni, il processo creativo di un uomo e di tutta una vita al servizio dell’arte e della conoscenza. Un’esperienza unica, un ritratto di artista, volto a far conoscere ad un pubblico più vasto un supremo artista contemporaneo e la sua monumentale produzione. Wenders con questo lavoro torna ai fasti del documentario, Il Sale della Terra sul fotografo Sebastiao Salgado che gli valse diverse candidature agli Oscar.
Prodotto da Road Movies e distribuito in Italia da Lucky Red. L’uscita del film in Italia è prevista per il 30 di aprile.
data di pubblicazione:29/04/2024
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da Giovanni M. Ripoli | Apr 11, 2024
Il vicequestore Giovanna Guarrasi, trentanovenne palermitana, detta Vanina, viene trasferita alla Mobile di Catania , dopo una brillante carriera nell’antimafia. A Palermo ha lasciato, il ricordo del padre tragicamente ucciso e Paolo Malfitano, magistrato antimafia e suo grande amore. A Catania vuole ritrovare se stessa …
Questa volta tocca a Canale 5 l’ennesima trasposizione in serie TV di romanzi “gialli” di successo in salsa siciliana. Dopo il capostipite, Montalbano sr., dopo Makari, dopo Montalbano jr, è ora il turno della vicequestore Vanina (la bella e brava Giusy Buscemi) a interpretare sul piccolo schermo l’eroina dei romanzi di Cristina Cassar Scalia, autrice originaria di Noto già baciata dal successo in libreria. I tre episodi finora trasmessi sono da considerare prodotti onesti se anche non indimenticabili: ben girati, arricchiti dalle splendide “location” di Catania e dintorni, dai frequenti siparietti gastronomici (qui la fanno da padroni brioche & granite), da sentimenti e relazioni che intercorrono tra i questurini. Gli attori se la cavano con mestiere ed ironia senza strafare , tranne il solito poliziotto scemo “alla Catarella” ormai un must di ogni questura… Dei tre episodi, finora trasmessi, ritengo il secondo Sabbia Nera, il più riuscito anche perché il più aderente al romanzo e il meglio strutturato come impianto poliziesco. Nell’ala abbandonata di una villa signorile alle pendici dell’Etna ancora avvolta da una pioggia di cenere, viene rinvenuto un cadavere mummificato da tempo. La casa è saltuariamente abitata da un bel tenebroso (a Roma si direbbe un “piacione”) che sembrerebbe l’unico erede della dispotica e ricca zia titolare della villa e di altre proprietà.
La bella e sveglia Vanina, con pazienza e un mix tra metodo induttivo e deduttivo, sempre assistita da un ispettore esperto, ma ancor più dal precedente questore in pensione (personaggio ricalcato sul Fermin di Petra Delicado – vedi Alicia Gimenez Bartlett-, antesignana di molte poliziotte), tra un salto a Palermo, per rivedere l’ex, la corte discreta di Manfredi, medico della scientifica, le avances del nipote, Alfio Burrano, giunge alla soluzione del non facile caso.
Degli interpreti ho segnalato il generale buon livello, poco incline ai consueti gigionismi da fiction italica. Bene l’attore e regista Corrado Fortuna che presta il volto a Manfredi, sobrio, Giorgio Marchesi nel ruolo del magistrato Malfitano, come pure Claudio Castrogiovanni, Carmelo Spanò l’insostituibile braccio destro della nostra. Detto dei pregi, non possiamo per questo sostenere che la fiction in questione si elevi oltre uno standard medio, cui le fiction nostrane ci hanno abituato. La confezione è la solita, il menù, già gustato: eroina carina, triangolo amoroso, a smussare l’intrico poliziesco, il costante riferimento al dramma della mafia e del padre ucciso in circostanze da chiarire, qualche inserto musicale e la disarmante bellezza della Sicilia ad amalgamare il tutto. Ovviamente le caratteristiche della serie e la candida bellezza di Giusy Buscemi, già miss Italia, sono sufficienti per un gradimento del pubblico e tanto basta!
Per altri approdi più impegnativi bisogna rivolgersi ai fratelli Cohen!
data di pubblicazione:11/04/2024
da Giovanni M. Ripoli | Nov 30, 2022
(Teatro Quirino – Roma, 29 novembre/4 dicembre 2022)
Liberamente ispirato, ma in realtà abbastanza fedele, al romanzo di Federico De Roberto, martedì 29 novembre 2022 ha avuto luogo al Teatro Quirino di Roma la prima de I Vicerè nella riuscitissima trasposizione scenica della compagnia del bravo Pippo Pattavina, per la regia di Guglielmo Ferro.
Pubblicato nel 1894 a pochi anni dall’uscita di Mastro don Gesualdo del Verga, il romanzo di De Roberto tocca uno dei più alti vertici della letteratura italiana, al pari del più celebre Il Gattopardo. Nell’opera si narra la saga della nobile, e discretamente corrotta, famiglia degli Uzeda destinati a dominare “a prescindere” dalle istituzioni governanti. Lo faranno durante la dominazione spagnola, sotto il Regno delle due Sicilie, dopo l’impresa dei Mille… non a caso la rappresentazione teatrale, come il romanzo, si conclude con il lapidario commento del cinico Don Blasco: “ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri!”. Se ci pensate, mutatis mutandis, non è differente dalla battuta che Giuseppe Tomasi di Lampedusa mette in bocca a Tancredi ne Il Gattopardo: “se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi!”. Forse il finale di De Roberto suona ancora più irridente, ma la sostanza sembra essere la stessa come pure l’affresco che riproduce attraverso le vicende degli Uzeda una realtà, purtroppo, immutabile nel tempo, quella di un / del potere legato alla ricchezza, al tradimento, alla finzione, all’ipocrisia. Tutto questo ed altro è ottimamente trasposto nella narrazione teatrale andata in scena al Quirino, dove, testo a parte, a farla da padroni sono stati gli ottimi e affiatati protagonisti dello spettacolo. L’io narrante, Don Blasco (splendidamente interpretato da Pippo Pattavina) è forse il personaggio più controverso, ma anche la figura centrale: è un religioso, invidioso, baro, “puttaniere”, meschino e reazionario. Intorno a lui tutta la famiglia non è esente dai vizi tipici della peggiore aristocrazia siciliana (e non solo). Nei diversi ruoli segnalo fra gli altri le puntuali interpretazioni di Sebastiano Tringali (lo zio progressista), Rosario Marco Amato e Francesca Ferro. La rappresentazione è di ottima fattura (dalla scenografia, ai costumi, alle musiche) e tiene sempre vivo l’interesse del pubblico: i dialoghi sono intelligenti, serrati e spesso ricchi di umorismo, merito certamente dell’incompreso De Roberto, ma anche della rilettura della regia teatrale odierna.
data di pubblicazione:30/11/2022
Il nostro voto:
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