LEAN ON PETE di Andrew Haigh, 2017

LEAN ON PETE di Andrew Haigh, 2017

(74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)

Charlie Thomson ha solo quindici anni, ma ne dimostra molti di più. Sulle sue spalle c’è il peso di un’adolescenza finita troppo in fretta e nei suoi occhi il desiderio di raggiungere una buona dose di stabilità. Sarà l’affetto per un cavallo a fargli ritrovare la voglia di rialzarsi. Da solo, alla ricerca della propria identità e di un passato che gli appartiene.

 

Durezza e dolcezza insieme. Drammaticità positiva, a tratti inevitabile, in grado di condurre il protagonista verso una crescita costruttiva. Solitudine e, al contempo, ricerca smodata di legami concreti. Paura e coraggio. Lean on Pete, tra i film in concorso alla 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, gioca molto sugli ossimori e le contraddizioni dell’animo. A firmarlo il regista britannico Andrew Haigh, che ha riadattato per il grande schermo il romanzo di Willy Vlautin, La ballata di Charlie Thomson.

Protagonista della storia è proprio quest’ultimo, un quindicenne carico di responsabilità che si troverà presto ad affrontare un viaggio metaforico, oltre che reale. Interpretato da un intenso Charlie Plummer, il ragazzo non ha figure di riferimento al suo fianco. Non ha mai conosciuto sua madre, mentre il padre dedica la vita più alle donne che al ruolo di genitore. Quando perderà anche lui, Charlie investirà tutte le sue forze in un nuovo lavoro, ottenuto per caso dopo un breve colloquio con un allevatore di cavalli da corsa (Steve Buscemi). A spingerlo l’affetto per uno dei componenti più deboli del suo team, Lean on Pete, non più capace di gareggiare come una volta. Quasi fosse una sorta di alter ego, il cavallo diventa da subito il suo unico confidente. È a lui che rivela i pensieri più cupi e i ricordi più belli. Ed è a lui che voterà tutte le sue attenzioni, proprio come avrebbe voluto che qualcuno avesse fatto con lui. Forse suo padre o la zia Margy, sempre presente nella sua memoria.

Lean on Peteè un classico racconto di formazione. Eppure, nonostante il recupero consapevole di certi spunti narrativi, è più complesso. Ogni uomo che il giovane protagonista incontrerà sul suo cammino non riuscirà a forgiarlo a proprio piacimento, impartendogli insegnamenti e massime di vita. Non ci saranno consigli o dritte che Charlie deciderà di seguire: in lui le basi di una buona educazione già ci sono. Lo dimostra ogni suo gesto, ogni sua parola. Consapevole che solo il ritorno a quel passato fiorente – quando era ancora un bambino ed era circondato da una vera famiglia – sarà capace di restituirgli l’agognata stabilità, sceglie allora di affidarsi a sé con tutte le proprie forze. Crescerà e maturerà, ma poi si trasformerà di nuovo nel piccolino di una volta, bisognoso di cure e rassicurazioni. Un film da vedere, dunque, che ha commosso tutta la platea della Sala Grande del Lido. È bastato guardare negli occhi ciascuno dei presenti e ascoltare la lunga serie di applausi al termine della proiezione per capire che sì, anche stavolta, il cinema è riuscito a compiere la sua missione catartica.

data di pubblicazione:02/09/2017








BUONE VACANZE!

BUONE VACANZE!

Se uno passasse un anno intero in vacanza, divertirsi sarebbe stressante come lavorare.
(William Shakespeare)

Un giorno, una settimana, un mese…Non importa quanto dureranno le vostre vacanze, l’importante è viverle come meritano!

BUONE VACANZE A TUTTI DA ACCREDITATI!

DAL VIVO SONO MOLTO MEGLIO di e con Paola Minaccioni, regia di Paola Rota

DAL VIVO SONO MOLTO MEGLIO di e con Paola Minaccioni, regia di Paola Rota

(Teatro Ambra Jovinelli, Roma – 20/30 aprile 2017)

Il teatro Ambra Jovinelli ospita dal 20 al 30 aprile Paola Minaccioni protagonista ed autrice con Alberto Caviglia e Claudio Fois dello spettacolo Dal Vivo Sono Molto Meglio con musiche di Lady Coco e la regia di Paola Rota.

Paola Minaccioni è certamente un’attrice di talento, eclettica, apprezzata al cinema e in televisione ed oggi ancora di più al teatro, capace di rivelarsi e di sorprendere dal vivo al meglio. Conosciuta sugli schermi per ruoli comici non solo (indimenticabile la sua Egle, la ragazza malata terminale di Allacciate le Cinture, ruolo che le è valso il Nastro d’Argento come miglior attrice non protagonista) e speaker dai mille volti  nella trasmissione radio Il Ruggito del coniglio, riesce a presentare in scena con leggerezza e follia, un compendio di umanità fatto di ossessioni, nevrosi, eccessi e brutalità espressioni dell’epoca in cui viviamo.

Paola percorre un sentiero psicotico e ironico incontrando una galleria di personaggi appartenenti ad  una realtà metropolitana  divertente ed esasperata: donne schizzate e stressate, iposocial e surreali, tessere di un puzzle-reality intelligentemente costruito. Una poetessa sconclusionata, una hostess con la fobia del volo, una rapper appiccicata, una manager dalla doppia personalità, la madre madonna addolorata, proprietaria indiscussa delle vite dei due figlioletti quarantenni e su tutte la rumena Kattinka che si destreggia tra ruolo di badante e operatrice di call center e la coatta romana, razzista verso tutto e tutti, straordinaria ed esasperata espressione di un presente che purtroppo ci circonda. E per fortuna che perle di saggezza spicciola ma efficace le distribuisce la vecchina, degna protagonista del finale di partita, che percorre la passerella centrale omaggiando i presenti con le sue velenose riflessioni e i suoi piccanti ricordi.  Grande transformer e grande improvvisatrice la Minaccioni si fa apprezzare soprattutto per le interrelazioni estemporanee con il pubblico, immediate ed efficacissime, dando il meglio di sé nelle parti improvvisate, mettendosi dalla parte degli spettatori e tra di loro, per poi risalire sul palco e riprensentare un’altra soggetta, mentre la musica della dj Lady Coco le costruisce attorno un’atmosfera ancor più esasperata.

Lo spettacolo scorre piacevolmente, mai perdendo quel tono leggero e sapientemente ironico, che è l’essenza della storia.

Una pulp story di donne alla fine assurdamente reali, specchio delle nostre nevrosi e delle assurdità del nostro tempo. Donne riconoscibilissime e presenti nel quotidiano di ognuno. Tutte divertenti e tutte applauditissime.

data di pubblicazione: 26/04/2017


Il nostro voto:

IL PERMESSO – 48 ORE FUORI di Claudio Amendola, 2017

IL PERMESSO – 48 ORE FUORI di Claudio Amendola, 2017

Quattro detenuti, 48 ore di libertà, il senso di una condanna che non è solo all’interno del carcere, la disperata ricerca di uno spiraglio di riscatto nell’eterna dialettica tra “dentro” e “fuori”.

Dopo l’esordio alla regia con la commedia La mossa del pinguino, Claudio Amendola torna dietro la macchina da presa, cambiando completamente genere, per dirigere il noir Il permesso – 48 ore fuori (che Accreditati aveva già recensito già in occasione della proiezione al Noir in Festival), interpretato da lui stesso insieme a Luca Argentero, Giacomo Ferrara e Valentina Bellè.

Il film, di cui il regista è anche sceneggiatore insieme a Roberto Iannone e Giancarlo De Cataldo ( già “prestato al cinema” con Gomorra, Suburra), racconta il modo in cui quattro detenuti, diversi per età, sesso, estrazione sociale e curriculum criminale, trascorrono le 48 di libertà concesse loro prima di dover rientrare in carcere.

Donato (Luca Argentero), Angelo (Giacomo Ferrara), Rossana (Valentina Bellè) e Luigi (Claudio Amendola) sono tutti detenuti nel carcere di Civitavecchia, dove devono scontare il loro debito con la Giustizia, ma non si sono mai incontrati.

I motivi per cui si trovano in carcere sono diversi. Rossana, 25 anni, ricca e viziata, in rapporto conflittuale con la madre, è dentro per traffico di stupefacenti: è stata arrestata all’aeroporto mentre cercava di trasportare 10 kg di cocaina. Angelo, venticinquenne ragazzo di periferia, è stato condannato per rapina a mano armata, commessa con complici che non ha mai “denunciato”. Donato, 35 anni, ex pugile coinvolto in incontri clandestini, sta scontando una pena da innocente, sacrificandosi al posto del vero colpevole. Luigi, cinquantenne, è un criminale di lunga data, ha riportato una condanna per omicidio e ha già scontato 17 anni di pena.

Il film si apre con l’uscita dal carcere dei quattro detenuti: è il preludio al loro personale viaggio nel mondo esterno, che nel frattempo è cambiato e con cui devono fare i conti. Ognuno di loro è combattuto tra il desiderio di riscatto per una nuova vita e la tentazione di ricadere nella spirale della delinquenza, in una zona di confine tra colpa e redenzione, tra “dentro” e “fuori”, che pervade l’intera pellicola.

Anche se le storie dei quattro personaggi sono diverse, come lo stesso Amendola ha dichiarato in alcune interviste, sono accomunate da uno stesso sentimento che è l’amore: per un figlio, per una donna, per la persona ideale ancora da trovare.

Nonostante i protagonisti sembrino marchiati dall’illegalità in maniera indelebile e incapaci di sfuggire a un destino già scritto, il film lascia aperto uno spiraglio di redenzione. Ad una solida struttura narrativa che tratteggia in modo dinamico l’animo dei personaggi e tiene alta l’attenzione dello spettatore, si affianca una sapiente direzione della fotografia (Maurizio Calvesi), che restituisce scene ricche di pathos.

Si può dire quindi che la seconda prova da regista di Claudio Amendola non tradisce il genere, rendendo però genuino, vitale e personale il film.

Degna di nota il personaggio di Donato, ex pugile con i muscoli scolpiti e tatuati, accecato dalla rabbia e della frustrazione, alla ricerca disperata della moglie costretta a prostituirsi, interpretato egregiamente da un inedito Luca Argentero che esce dai suoi ruoli consueti e stupisce in positivo.

data di pubblicazione: 06/04/2017


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