BIMBI BELLI 2018

BIMBI BELLI 2018

(Arena Nuovo Sacher – Roma, 2/17 luglio 2018)

Lunedì 2 luglio si accendono i riflettori dell’Arena Nuovo Sacher di Roma per la Rassegna Bimbi Belli, giunta alla sua tredicesima edizione. Il Direttore artistico Nanni Moretti, con la collaborazione di Valia Santella, seleziona ogni anno le opere prime più rappresentative del cinema italiano, offrendo poi al pubblico una (mai convenzionale) conversazione con registi e attori: il tutto nella affascinante cornice dell’Arena Nuovo Sacher, che ospita una delle iniziative più rappresentative dell’estate romana.

Questi i film in programmazione nell’edizione 2018:

2 luglio 21.30 – Metti una notte di Cosimo Messeri
3 luglio 21.30 – Hotel Gagarin di Simone Spada
6 luglio 21 – I racconti dell’orso di Samuele Sestieri e Olmo Amato
7 luglio 21.30 – Easy – Un viaggio facile facile di Andrea Magnani
9 luglio 21.30 –  Finché c’è prosecco c’è speranza di Antonio Padovan
10 luglio 21.30 –  Il cratere di Luca Bellino e Silvia Luzi
13 luglio 21.30 – Beate di Samad Zarmandili
14 luglio 21.30 – La terra dell’abbastanza di Damiano D’Innocenzo e Fabio D’Innocenzo
16 luglio 21.30 – Due piccoli italiani di Paolo Sassanelli
17 luglio 21.30 – Manuel di Dario Albertini

Clicca qui per il programma completo!

DUE PICCOLI ITALIANI di Paolo Sassanelli, 2018

DUE PICCOLI ITALIANI di Paolo Sassanelli, 2018

Felice (Paolo Sassanelli) e Salvatore (Francesco Colella) vivono in un istituto di recupero per persone affette da patologie mentali situato a Minervino Murge, un paesino dell’entroterra pugliese. Felice a causa di un trauma infantile ha lo sviluppo mentale di un bambino di 7 anni, mentre Salvatore è affetto da impotenza: tra i due nasce una profonda amicizia fatta di complicità e tenerezza. Quando Salvatore in un eccesso d’ira ferirà due assistenti e deciderà di scappare, porterà con sé anche l’amico in un rocambolesco quanto metaforico viaggio dal Sud Italia a Rotterdam volto alla ricerca di sé stessi e del proprio posto nel mondo. 

Paolo Sassanelli, a quarant’anni dall’entrata in vigore della Legge Basaglia – 13 maggio 1978 -, sceglie il tema del disagio mentale per il suo primo lungometraggio.

Basaglia rivoluzionò la logica dei manicomi, luoghi di controllo sociale dei soggetti considerati deviati (malati di mente, prostitute, sovversivi, omosessuali) con la necessità di restituire diritti, cittadinanza e dignità a persone che per la prima volta venivano considerate fragili e bisognose che qualcuno le aiutasse a riprendere il filo perso della propria esistenza. Felice e Salvatore a Rotterdam saranno ospitati da Anke, una ragazza giunonica, allegra e “non giudicante”: un bagno nelle acque calde di un laghetto islandese in prossimità di un vulcano, simbolicamente amniotiche, sugelleranno la nascita di una nuova famiglia formata dai tre protagonisti, in cui amore e tenerezza serviranno a fugare ogni paura e solitudine.

La narrazione, scritta a 6 mani da Paolo Sassanelli, Francesco Apice e Chiara Balestrazzi, procede sciolta e divertente alternando la commedia al dramma e alla favola. Un film spigliato, ingenuo, pieno di buoni sentimenti: amore, amicizia, tenerezza.

Nonostante alcune imprecisioni ed ingenuità, e l’inevitabile accostamento del personaggio di Felice a Dustin Hoffman in Rain man, la bravura straordinaria dei due protagonisti fa decollare il film e Due piccoli italiani possiamo considerarlo un inizio incoraggiante per Paolo Sassanelli, che è innanzitutto un valido attore di teatro e di cinema.

data di pubblicazione:22/06/2018


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AMLETO + DIE FORTINBRASMASCHINE di W. Shakespeare/Heiner Müller, adattamento e regia di Roberto Latini

AMLETO + DIE FORTINBRASMASCHINE di W. Shakespeare/Heiner Müller, adattamento e regia di Roberto Latini

(Teatro Vascello – Roma, 14 e 15 Aprile 2018)

La piéce prende spunto e conserva la struttura dell’opera Die Hamletmaschine di Heiner Müller, andata in scena alla fine degli anni ’70, la quale a sua volta è una riscrittura del più celebre Amleto di William Shakespeare. Il testo viene quindi preso, smontato e rimontato da Latini attraverso un racconto diviso in cinque capitoli: Album di famiglia; L’Europa delle donne; Scherzo; Pest(e) a Buda battaglia per la Groenlandia; Attesa desolata/Nella spaventosa armatura/Millenni. Del dramma originario rimane pertanto solo una traccia, ma sufficiente per ricreare il pathos di una tragedia rimasta immortale nella storia della drammaturgia universale.

 

 

Secondo appuntamento al Teatro Vascello per il trittico di spettacoli proposto dalla compagnia Fortebraccio Teatro. In scena l’autore, il regista e l’interprete del lavoro, Roberto Latini, che di nuovo si confronta con un grande e difficile personaggio della letteratura teatrale: Amleto. Dell’originale rimangono solo pochi frammenti: il dramma è stato già recitato, è stato superato. “Dov’è questo spettacolo?” urla Fortebraccio, unico testimone a rimanere in piedi nel dramma shakespeariano e unico personaggio che invade la scena. Da questo urlo prende forma l’interpretazione di Latini e per questo Hamletmaschine diventa Fortinbrasmaschine, ovvero Amleto visto e pensato attraverso Fortebraccio, colui che succederà alla guida della Danimarca una volta morto il re usurpatore, la moglie infedele e il principe Amleto. Se Müller aveva spogliato il dramma originale di tutti gli orpelli della scena elisabettiana, restituendoci solo l’ossatura della tragedia, Latini addirittura scuoia il testo, lo lacera a brandelli, ne fa coriandoli e li lancia tra la gente. Quello che rimane del mito di Amleto non sono solo tormento e sentimento, ma anche gioco inteso come meccanismo e divertimento, come giostra appunto, quella che si vede costantemente sulla scena e che diventa il recinto dove si gioca il dramma e, al tempo stesso, barriera ideale da superare. Luci e macchinari di scena, ideati dal genio di Max Mugnai, e le musiche/suoni di Gianluca Misiti dialogano con l’attore sul palcoscenico e diventano mezzo di racconto, guadagnando sulla scena la stessa dignità della parola detta, che viene veicolata attraverso l’artificio tecnico e il filtro dei microfoni. Le musiche non commentano ma dicono, restituendoci nel ritmo l’angoscia dell’umano, che Latini raccoglie e amplifica con le sue dissonanze vocali. Sala piena e pubblico giovane, in attesa di vedere la terza parte di questo trittico nel Cantico dei Cantici, sempre in scena al teatro Vascello nei prossimi giorni.

data di pubblicazione:15/04/2018


Il nostro voto:

BUONA PASQUA DA ACCREDITATI!

BUONA PASQUA DA ACCREDITATI!

Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri a ogni costo, atleti della parola pace. (Erri De Luca)

Buona Pasqua!

Happy Easter!

Joyeuses Pâques!

Frohe Ostern!

Feliz Pascua

TANTE FACCE NELLA MEMORIA di Francesca Comencini

TANTE FACCE NELLA MEMORIA di Francesca Comencini

(Teatro India – Roma, 14/18 Marzo 2018)

Sei donne, nel momento dell’entrata in scena, si presentono ognuna con il proprio nome e cognome e testimoniano in prima persona il ricordo dei fatti relativi all’eccidio delle Fosse Ardeatine, indelebilmente impressi nella memoria non solo dei romani ma di tutti gli italiani. Sono partigiane, mogli, figlie, che raccontano la loro esperienza così come l’hanno vissuta in quei giorni che seguirono il 23 marzo 1944, quando in risposta all’attentato di via Rasella in cui morirono 32 soldati tedeschi, vennero per rappresaglia trucidati 335 uomini. Le vittime, tutte estranee ai fatti, furono“scelte” tra i civili che si trovavano in prossimità del luogo dell’atto terroristico, tra gli ebrei, tra i detenuti politici rinchiusi nelle carceri romane.

 

Anche quest’anno il Teatro di Roma ripropone, in occasione delle iniziative promosse dal Comune di Roma per il Giorno della Memoria, Tante facce nella memoria, curato da Mia Benedetta e Francesca Comencini, rientrante nel progetto MEMORIA genera FUTURO.  Il testo è ispirato alle testimonianze raccolte da Alessandro Portelli nel suo libro L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, sapientemente intrecciate in un perfetto stile documentaristico caro alla regista. Lo spettacoloin effetti non si basa su un testo teatrale né ha la pretesa di essere teatro, eppure dal teatro eredita la sacralità della trasmissione orale di fatti che servono a costruire una coscienza e a fare memoria. E quale modo migliore per fare memoria se non riproponendo in scena per il terzo anno consecutivo questo racconto? Una drammaturgia che va a ripetersi, quasi a significare che il gesto scenico così ripetuto e ricordato diventi esso stesso rito e memoriale. Non si possono dimenticare questi fatti e non si possono dimenticare le facce di coloro che ne sono stati tragicamente i protagonisti. Quando il teatro presta la sua voce alla storia, qui attraverso l’esperienza ed il pathos di sei grandi interpreti (Mia Benedetta, Bianca Nappi, Carlotta Natoli, Lunetta Savino, Simonetta Solder, Chiara Tomarelli), questa si ritualizza in un racconto che viene ripetuto e trasmesso all’infinito e diventa così ricordo per rimanere nel ricordo. Ecco quindi che le facce non sono solo quelle delle sei donne che si raccontano sulla scena, ma sono anche quelle di noi tutti seduti davanti a loro, che assorti in un religioso silenzio ascoltiamo. Siamo tutti volti della storia, quelli di una Italia ferita ma libera, e soprattutto rappresentiamo i volti di coloro che, pur irriconoscibili al momento del ritrovamento nelle fosse, poterono ritrovare la loro identità per ricongiungersi ai loro cari. La recitazione è serrata, priva di movimento scenico, con un accavallarsi di voci che rimandano a emozioni e sensazioni realmente vissute, ognuna da un punto di osservazione diverso ma che poi trovano fusione in un unicum storico che non può che lasciarci profondamente coinvolti. Spettacolo che va ascoltato e riascoltato, e che sicuramente lascia un segno nella memoria dello spettatore.

data di pubblicazione:16/02/2018


Il nostro voto: