FRAU SACHER-MASOCH con Silvana De Santis e regia di Antonio Serrano, testo di Riccardo Reim

FRAU SACHER-MASOCH con Silvana De Santis e regia di Antonio Serrano, testo di Riccardo Reim

(Teatro dei Conciatori – Roma, 23 Settembre/2 Ottobre 2016)

La voluttà della sottomissione nel teatro del masochismo, attraverso il racconto concitato della donna che per prima confessò la parafilia del marito.

Nella buia e fredda sala d’attesa di una stazione del Nord Europa, un tenue lucore illumina il copricapo di una donna mentre si muove nell’ombra. Sotto la luce spumosa e ingannatrice, le falde larghe del cappello – avvolto da una veletta e cinto di una corona di rose bianche – sembrano animarsi e schiudersi come i petali di un fiore. Da questo quadro trompe-l’œil, emerge la figura di una donna ieratica, circondata da valige, cappelliere e avvolta in una tenda pregiata, che stringe attorno a sé quasi fosse una pelliccia. Lo stesso indumento che le permetteva di soddisfare una delle perversioni sessuali del marito: la dorafilia. Non l’unica, appunto, perché il signore in questione non era altro che il celebre scrittore Leopold von Sacher-Masoch (Venere in pelliccia), il quale raggiungeva l’estasi tramite il dolore fisico inferto dalla consorte: da qui il termine “masochismo”.

Oltre ai bagagli chiusi alla bell’e meglio, nessuno è presente nell’algido ristoro insieme all’attempata signora. Solo i fantasmi del suo passato, che tornano alla memoria della donna squinternata e con cui quest’ultima inizierà un dialogo convulso e sgangherato, che culminerà nella rievocazione del patto scellerato stipulato con Leopold, il quale si asservì completamente alla donna, cui fu concesso l’esercizio di qualsiasi crudeltà, da accettare senza un lamento.

Lo spettacolo messo in scena da Antonio Serrano, basato sul libro in cui Wanda von Sacher-Masoch (al secolo Aurora Rümelin)raccolse le sue confessioni riguardo alle abitudini sessuali del marito, è breve ma intenso. Seguire la lucida follia della donna, tuttavia, risulta a tratti difficoltoso e straniante. Al contrario, conferisce un senso di sicurezza la scenografia raccolta e curata; ed estremamente affascinante risulta la scena iniziale: mercé il gioco di luci e ombre, Riccardo Reim e Flavio Mainella riescono immediatamente a trasportare il pubblico in un’atmosfera incantata. Resa ancor più suggestiva dall’affabulazione di Silvana De Santis, la cui interpretazione attoriale è incisiva e brillante (e non offuscata da un’opaca – seppur voluta – prova canora). L’attrice riesce a pieno a trasmettere i diversi stati d’animo che il suo personaggio attraversa: da una gioia inaspettata al piacere per il suono del pianoforte, fino all’atroce sofferenza dei ricordi. D’altronde, come scrive lo stesso Sacher-Masoch nel summenzionato libro, “la vita è sofferenza, il piacere una sua temporanea sospensione, che sempre condurrà a nuove torture. Non è dunque preferibile cercare il piacere nella sofferenza [..] e così trionfare sulla vita e sulla morte?”

data di pubblicazione:25/09/2016


Il nostro voto:

ON THE MILKY ROAD di Emir Kusturica, 2016

ON THE MILKY ROAD di Emir Kusturica, 2016

(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)

Due amanti pronti a sacrificarsi. Tre storie vere. E tanta fantasia.

Il suono pizzicato del cimbalon, quello eccitante delle trombe e, infine, quello toccante del pianoforte. Ogni strumento scuote il nostro corpo con la sua inebriante melodia. È la miscela esplosiva della musica popolare balcanica, che s’interseca con i rumori della natura, scorre nelle vene e invita a danzare. Nonostante la guerra imperante, la musica continua a suonare costante.

Un amplesso musicale per festeggiare due imminenti matrimoni: Milena (una conturbante Sloboda Mićalović) sposerà il titubante – e stravagante – militare Kosta (Emir Kusturica); mentre il fratello della suddetta, il pluridecorato generale Zaga, si appresta a celebrare le nozze combinate con una profuga italiana (Monica Bellucci) – strappata a un centro d’accoglienza.

Ma i piani nuziali saranno stravolti dalla scintilla scoppiata tra Kosta e l’italiana. Un amore proibito, che farà precipitare i protagonisti in una serie di fantastiche e pericolose avventure.

Kusturica affabula una storia d’amore, interpretandola alla sua maniera, con fantasia e ironia.

Una favola moderna in cui si ammirano paesaggi unici, che si fondono con i personaggi e danno loro profondità.

Un ritmo incalzante e trascinante (ancorché nella seconda parte sfumi), come il rumore travolgente delle pietre che rotolano giù dalle rocciose colline balcaniche, durante la fuga dei due innamorati. Le stesse pietre che Kosta userà per ricomporre il mosaico del suo imperituro amore verso l’amata italiana.

data di pubblicazione:10/09/2016








 

JACKIE di Pablo Larraín, 2016

JACKIE di Pablo Larraín, 2016

(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)

Una donna che non ha cercato la celebrità, ma è finita col diventarlo.

Ognuno di noi ha le sue debolezze, i suoi punti fragili, i suoi momenti buî. Ed è in questi ultimi che si misura il valore di un uomo: dal modo in cui reagisce al dolore, da come si rialza dopo esser caduto.

Jacqueline Kennedy ha il vestito macchiato di sangue, e nei suoi occhi sono ancora vive le immagini dei brandelli di cervello del marito sparsi nell’auto, quando le viene chiesto di decidere come saranno celebrati i funerali. Una scelta difficile e importante, che deve rendere onore a un uomo non perfetto, ma proprio per questo capace di migliorarsi.

Nonostante le ritrosie degli alti funzionari di Stato, modella il funerale su quello di un altro illustre presidente degli Stati Uniti d’America, Abraham Lincoln, assassinato anche lui durante il suo mandato. E pretende, pertanto, che tutti i capi di Stato marcino insieme fino al cimitero dove il corpo sarà seppellito.

“Jackie” volle fortemente che i funerali di J.F. Kennedy fossero un evento storico e irripetibile: e ci riuscì.

Il film rivela una first lady che, dietro un’apparente fragilità – con la sua voce dal tono basso e debole –, cela un temperamento ferreo e risoluto. Una donna capace di vincere tutte le resistenze, interne ed esterne, nel momento di massima sofferenza.

A Pablo Larraín va il merito di aver mostrato l’esecrabile episodio della morte di J.F. Kennedy da un punto di vista inedito, descrivendo l’enorme peso delle responsabilità che ricaddero sulla moglie (e che seppe gestire in modo sorprendente). La regia, tuttavia, appare alquanto anonima ed eccessivamente distaccata; non riesce ad affascinare, malgrado diverse componenti del film convincano: le musiche inquietanti si attagliano perfettamente alle scene e aumentano il dramma; la sceneggiatura è ricca di spunti che colpiscono; e le prove attoriali elevano la qualità della pellicola. Sotto quest’aspetto, è d’uopo menzionare la sublime interpretazione di Natalie Portman (Jacqueline Kennedy); il ruolo ricoperto le consente di mostrare le sue eccezionali doti di mimetismo, candidandosi alla coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile.

E se nella nostra società si distinguono due categorie di donne, quelle che cercano il potere nel mondo e coloro che lo cercano a letto, lei – come Jacqueline Kennedy – dimostra di appartenere alla prima categoria.

data di pubblicazione: 10/09/2016








THE VOYAGE OF TIME di Terrence Malick, 2016

THE VOYAGE OF TIME di Terrence Malick, 2016

(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)
Il mea culpa dell’umanità nei confronti della Terra: dagli albori dell’universo sino all’attuale temperie storica; attraverso la carica espressiva delle riprese sulla natura, che si manifesta in tutto il suo splendore.

Una voce calda, avvolgente, materna accompagna il percorso visivo dei momenti principali della storia dell’universo. Una sequenza di scene d’indimenticabile bellezza: lava incandescente che si protende verso il mare – come i tentacoli di una piovra; panorami inimmaginabili di luoghi verdi e incontaminati; celesti riprese subacquê che scovano gli angoli più reconditi del paesaggio marino. La Terra, dunque, nella sua più ammaliante manifestazione.

Nel mondo in cui viviamo, tuttavia, spesso la purezza della natura viene inquinata dalle barbarie degli esseri umani. Ed è ciò che esprime la voce in sottofondo, che rappresenta l’umanità e si rivolge in tono dimesso alla Terra, per espiare le sue colpe. Un monito per salvare ciò che stiamo deturpando, ciò che stiamo perdendo senza accorgercene. Per questo motivo, alle immagini naturali entusiasmanti, si alternano quelle di atrocità umane umilianti.

Un viaggio nel tempo che scorre inesorabilmente: “Ma se il tempo devasta e divora tutto, cosa rimane?

La pellicola di Terrence Malick consente di ammirare la natura in un modo in cui non la si era mai vista prima. Filmati di rara bellezza e riprese mozzafiato, rese possibili grazie alla collaborazione con National Geographic.

Per la ripresa dei due tipi di immagini che si avvicendano (quelle stupende della natura e le altre che mostrano la grettezza dell’uomo) il regista sceglie sapientemente diversi tipi di ripresa: per le prime ricorre alla steadycam, permettendo una visione splendida e fluida; mentre per le seconde non usa lo stabilizzatore, realizzando un effetto mosso, sfocato, di bassa qualità. Artifizio che esalta ancor di più il contrasto tra la bellezze della natura e la meschinità umana.

Un film in gestazione per 40 anni, che ad ottobre arriverà nella sale e sarà distribuito in due versioni: una da 90 minuti (circa) con la voce di Cate Blanchett; e una di 40 minuti visibile con la tecnologia IMAX, accompagnata dalla voce di Brad Pitt. La proiezione avvenuta alla 73. Mostra del cinema di Venezia, tuttavia, è quella da 90 minuti ma senza IMAX; e ciò, evidentemente, ha comportato la perdita della visione totalizzante che conferisce l’innovativa tecnica.

Non spicca in modo particolare la colonna sonora del maestro Ennio Morricone – forse il difficile rapporto con Malick (atteso che il musicista italiano ha dichiarato di non trovarsi a suo agio con il regista statunitense: perché troppo invadente) non ha consentito al compositore di esprimersi al meglio.

Nonostante l’indubbio fascino delle immagini mostrate durante il film, lo sviluppo della trama filmica risulta lento e poco coinvolgente. Un panteismo naturalistico che non è nuovo al grande schermo, e che non riesce ad essere incisivo.

Il messaggio del global warming è un tema sicuramente importante, ma non è trattato qui con originalità.

Se, da un lato, l’impatto umano sulla natura può essere distruttivo; dall’altro, la natura dimostra una resilienza incredibile.

“La natura si divora soltanto per rinascere ancora”.

data di pubblicazione:09/09/2016







INSEPARABLES di Marcos Carnevale, 2016

INSEPARABLES di Marcos Carnevale, 2016

(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)

Carne surgelata su fuoco ardente. È questo ciò che prova un tetraplegico: sul corpo non sente nessun dolore, ma è l’anima che gli brucia dentro. Felipe (Oscar Martinez) è un multimilionario che abita nello sfarzoso Palacio Bencich a Buenos Aires; braccia, gambe, mani e piedi sono completamente immobilizzate: in tale stato, anche se volesse tentare il suicidio, non potrebbe. La routine terapeutica – scandita da sedute di fisioterapia, massaggi, e frequenti lavaggi – lo blocca più della sua malattia. Ed è proprio un episodio insolito che lo desta dal torpore in cui è costretto dalla sua condizione: la forza e la determinazione con cui un nuovo collaboratore respinge le accuse del suo giardiniere, lo portano ad assumere il giovane sbarazzino. Tito (Rodrigo de la Serna – già visto ne I diari della motocicletta) porterà nuova linfa al tronco appassito di Felipe: e gli permetterà di evadere dal suo corpo; di uscire fuori dagli schemi convenzionali in cui vive; di riprendere a camminare su un sentiero nuovo, a lui sconosciuto.

L’adattamento realizzato da Marcos Carnevale della pellicola Quasi amici riesce ad essere estremamente divertente – più della versione francese. La cospicua presenza di battute salaci (alcune di queste, peraltro, anche molto piccanti) se, da un lato, suscita costantemente il riso del pubblico, dall’altro non riesce creare un acceso contrasto tra momenti di ilarità e di malinconia, determinante per il raggiungimento del pathos (ciò che, invece, accade molto bene con la versione originale del film).

Il film ha il pregio di sdrammatizzare un tema molto delicato, e lo fa cercando di rendere il racconto il più leggero possibile. Una leggerezza, tuttavia, che rischia di svanire nell’aria, come lo spirito delle battute recitate.

data di pubblicazione:06/09/2016