A QUESTO POI CI PENSIAMO di Mattia Torre – Mondadori, 2021

A QUESTO POI CI PENSIAMO di Mattia Torre – Mondadori, 2021

Un piacevole testamento spirituale. Non sembri accostamento azzardato e ossimoro il giudizio sull’ultimo definitivo libro di Mattia Torre, noto ai più come co-sceneggiatore di Boris, alle prese con un lungo tunnel sanitario che non gli ha impedito un felice sprazzo di letteratura umoristica e drammatica. Conscio dell’ineluttabilità della fine lo scrittore ha scommesso sul proprio futuro con questo manifesto. Che rivela fiducia nella sensibilità dell’arte, della testimonianza concreta di come anche una risata può salvare il mondo. Opera libera che è manifestazione di pensiero nell’affastellarsi di sketch situazioni in cui fiction, saggistica, vita vissuta e teatro si confondono, un po’ come succede nei libri di Piccolo. Piccole e grandi percezioni di vita filtrate dal senso di precarietà. Il libro è pieno di inneschi, di trame accennate che avrebbe meritato ancor più pieno sviluppo. Però, contemporaneamente, è un libro esaustivo oltre che l’ultimo regalo che Torre ci ha fatto. Rimangono di lui i reading degli amici (Aprea, Mastandrea) che continuano a farne vivere ricordo e memoria senza retorica. Siamo vivi finché qualcuno leggerà le nostre cose (parafrasi del pensiero di Baricco). In questo senso Torre è più che mai vivo e attuale nel pensiero riverberato del suo milieu. Il senso di libertà di questo materiale informa è testimoniato da una scrittura attenta ma poco sorvegliata, libera dal dovere della consegna e da obblighi contrattuali. Dunque un’intimità diaristica tanto più apprezzabile quando l’autore senza pudore rivela anche io propri buchi neri e le proprie lacune, in un esercizio quanto mai funzionale di autocoscienza creativa al servizio della letteratura. Se n’è andato a meno di cinquanta anni Torre lasciandoci spunti validi per un’infinita di ripercorribili trame. Radici seminali piantate un po’ ovunque, ironizzando su una società italiana (e sui suoi strani personaggi) ricca di contraddizioni ma non per questo meno interessante.

data di pubblicazione:12/01/2022

SNOWDEN di Oliver Stone, 2016 – Selezione Ufficiale

SNOWDEN di Oliver Stone, 2016 – Selezione Ufficiale

(11^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – ROMA, 13/23 ottobre 2016)

Dopo i clamori e gli scandali sollevati da Wikileaks, nell’era del digitale e della cyber security dove si tenta di dare attenzione e clamore ai recenti tentativi normo-legislativi di garantire una globale ed effettiva sicurezza al trattamento dei dati personali – dal cd. “Safe Harbour Principles” al cd. “Privacy Shield”, fino al nuovo Regolamento U.E. e alla Direttiva europea “Big Data” -, passando per l’ultimo episodio di hackeraggio di Yahoo, irrompe nella Selezione Ufficiale della XI Festa del Cinema di Roma Snowden di Oliver Stone.  Il grande regista ha riportato con coraggio, in 134 minuti, i nove anni più importanti – per ora – delle vita di Edward Snowden (interpretato da Joseph Gordon Levitt), il tecnico informatico – cresciuto in una famiglia conservatrice di stampo militare al servizio degli Stati Uniti d’America – che da ideatore di sistemi informatici per la CIA creati per la sicurezza del proprio paese assiste alla silenziosa manipolazione delle sue idee e delle sue invenzioni fino al loro abuso/uso distorto da parte della CIA e poi della NSA e dei suoi uffici “tentacolari” diffusi nel mondo. Dalla graduale e devastante presa di coscienza da parte di Snowden del conflitto di tale abusi con i suoi principi e ideali, il giovane tecnico – grazie anche al sostegno dell’unico “essere umano” estraneo ai lavaggi di cervello impartiti nella CIA e in NSA rimastogli accanto, la compagna Lindsay Mills (Shailene Woodley) – da “primo della classe” e miglior tecnico della NSA diviene la voce di una delle più grandi denunce che abbiano mai colpito il sistema di intelligence americano e l’amministrazione Obama. Non era facile raccontare la storia del giovane Snowden e Oliver Stone ha sicuramente tentato il suo meglio per condensare nove anni di storia complessa (rivelata dal protagonista solo ai giornalisti del The Guardian e poi al regista in occasione di segretissimi incontri in Russia dove è esiliato per scampare alle condanne per altro tradimento e antispionaggio), articolata prevalentemente su un linguaggio prettamente informatico/tecnico/ingegneristico, in una pellicola di poco più di 2 ore. Se nella prima parte lo spettatore può appunto soffrire la complessità del sistema in cui Ed. Snowden si ritrovò prima a operare orgogliosamente e attivamente e poi sofferente prigioniero, negli ultimi 40 minuti il thriller si fa decisamente più dinamico e avvincente fino al sovrapporsi di “finzione” cinematografica e frammenti di quanto poi i Media riportarono dal 10 giugno 2013 quando il “più grande spionaggio di massa” venne denunciato al mondo intero. Emozionate l’irrompere dell’applauso della Sala Sinopoli durante la scena del film che narra appunto un altro applauso, quello dell’ovazione del pubblico che assisteva alla prima intervista di Ed. Snowden dopo al difficile fuga in Russia dove è riuscito ad avere una seconda vita. Bellissimi i titoli di coda del film – alternati alla descrizione di come la vita di Eduard Snowden è proseguita fino ad oggi – accompagnati dalla canzone composta per Oliver Stone da Peter Gabriel “The Veil” (“il velo”): come a voler sottolineare il protettivo tentativo che con questo film Oliver Stone ha reso affinché gli americani tolgano dai propri occhi, dalle proprie orecchie e dalla propria intelligenza quel velo di affidamento e cieca fiducia in un sistema che per anni ha violato i principi e i diritti di libertà e riservatezza fondamentali di ogni cittadino sotto l’altro “velo” della “giustificazione” della minaccia del Terrorismo.

data di pubblicazione:15/10/2016