LA CENERENTOLA di Gioacchino Rossini, regia di Emma Dante

LA CENERENTOLA di Gioacchino Rossini, regia di Emma Dante

(Teatro dell’Opera – Roma, 22 gennaio/19 febbraio 2016)

Irrompe al Teatro dell’Opera di Roma La Cenerentola eterea e passionale di Emma Dante. La regista allestisce con la imponente complicità dei costumi e delle scene un’opera lirica classica in chiave incredibilmente moderna. Angelina (Josè Maria Lo Monaco), alias Cenerentola, è l’eroina di un tempo che sembra a tratti incredibilmente lontano, stante la tracotante sfrontatezza interessata e l’ipocrisia che ormai serpeggia tra le donne e gli uomini spesso ancora adolescenti. In questo luminoso e invitante allestimento, la composizione di Rossini insieme al libretto di Jacopo Ferretti ci ricordano un personaggio femminile forte ma al contempo romantico, capace di tollerare e perdonare: due parole e due atti ad oggi sempre più rari. Ma La Cenerentola non è solo una persona onesta e gentile. Angelina, nonostante i soprusi e le violenze anche fisiche di un patrigno, ironicamente Don Magnifico, calcolatore e volgare, combatte per quello in cui crede ed è femminile e passionale tanto da non sottrarsi al colpo di fulmine per lo scudiero, dietro il quale invece si cela il vero Principe Don Mariro (Giorgio Misseri), e lanciarsi in un appassionato bacio dell’amato prima che il fido servitore Dandini, sotto le mentite spoglie di Principe, lo sottragga per il ballo indetto per la scelta della futura sposa al quale solo le sorellastre, Clorinda e Tisbe, e Don Magnifico sono invitati.

La Cenerentola di Emma Dante si muove circondata da cinque cloni interpretati da donne e uomini che “vivono” e “agiscono” solo quando caricati dalla farfallina, tipica delle sveglie e delle batterie a carica manuale, che ne trafigge la schiena. Ma anche il Principe, fin quando vestirà i panni di finto scudiero, sarà circondato dai suoi cinque cloni caricati a molla dalla medesima farfallina. Con un escamotage visivo, evocativo dei giocattoli antichi e delle fiabe (sia per i colori, il verde petrolio e il celeste accostati al rosso fuoco, sia per le “divise” e i volti tipici delle bamboline di porcellana e dei soldatini) Emma Dante punta lo sguardo sulla meccanicità e l’aridità dei gesti in cui illogicamente e prepotentemente solo gli uomini e le donne gentili e onesti della “plebe” sono costretti a sopravvivere, tutti prigionieri dei cliché del classismo sociale dettato dai “potenti” e dall’aristocrazia. I giochi di parole, l’ironia e il ritmo dei testi dell’Opera, con le sue ossessive assonanze e ripetizioni, supportano con vigore la regia e le scene conferendogli attualità e empatia con il pubblico. Elegante, rassicurante e affascinante il “deus ex machina” Alidoro (Mirko Mimica) – al posto della Fata Smemorina – che guida e protegge Angelina dalle menzogne e dai tiri mancini delle sguaiate, scollacciate, sfacciate, “coattelle” Clorinda e Tisbe (le sorellastre).

Tutti gli interpreti lirici sono instancabili e in perfetta simbiosi tra mimica, gesti e voce e sotto la regia di Emma Dante e del Direttore d’Orchestra Alehi Pérez riportano ad uno splendore antico e magico una fiaba poetica ancora tremendamente vera.

Da non perdere!

data di pubblicazione: 31/01/2016


Il nostro voto:

ASSOLO di Laura Morante, 2016

ASSOLO di Laura Morante, 2016

L’esecuzione dell’Assolo di Laura Morante – alla sua seconda opera come regista dopo il debutto alla cinepresa con Ciliegine nel 2012 – è in realtà un’opera corale nella quale la protagonista Flavia (Laura Morante) non riesce ad emergere e condurre alcun assolo.
Sebbene la regista abbia dichiarato che il film è un invito alla rivoluzione femminile in termini di maggiore valorizzazione e ricerca di un rapporto sereno delle donne con se stesse, l’intera storia è un susseguirsi di episodi e scelte di donne in cui tutti i traguardi raggiunti nei decenni di rivoluzioni femminili sono stati gettati al vento. Flavia, dopo due matrimoni falliti e due figli, vive una condizione di donna precaria e insoddisfacente sotto ogni profilo: a lavoro, nel condominio, durante il corso settimanale di tango, durante i pranzi con i due ex mariti e le rispettive seconde mogli Flavia è insicura, infelice, spenta. Una donna, come la definisce la stessa Morante, “candida”, troppo candida, priva di qualsiasi tipo di malizia, generosa e buona con tutti anche con coloro che la feriscono e umiliano, fin dall’infanzia. In questa condizione di eterna ingenua estremamente composta Flavia non è percorsa, né scossa dalla vita – condizione che si riflette sui suoi abiti sempre neri e dai toni cupi – della quale non riesce a riprendere il comando. E così, come Flavia è incapace di prendere decisioni, avere maggior cura e stima di se stessa per se stessa (e non in funzione delle volontà o dei gusti di un uomo), così Flavia da oltre 20 anni non riesce a superare l’esame di guida per prendere la patente. In questo costante parallelismo interviene senza successi la psicanalista dott.ssa Grunewald (Piera Degli Esposti) la quale non riesce a destare l’anima e la femminilità sopita e fanciullesca della sua paziente, facendo forse meglio di lei il cagnolino Kira. Flavia non riesce ad eseguire alcun assolo, nelle relazioni come a scuola guida e a scuola di tango, perché preferisce vivere rinchiusa dietro la “finestra” del proprio acuto spirito di osservazione che concentra unicamente sugli altri: ex mariti, figli, ex fidanzati, la fidanzata del figlio, le amiche, le mogli dei due ex mariti, la cameriera del primo ex marito, la sua psicoanalista finendo così con il perdersi. Il finale, contraddistinto solo dal tripudio dei colori del nuovo look di Flavia alla guida (finalmente) di un vecchio spider Duetto rosso fiammante, non convince come rinascita della protagonista la quale alla fine si apre ad uomo silente, ma belloccio, che prima aveva rifuggito riconoscendovi il prototipo dell’uomo “che così fa con tutte”. La trama stuzzicante e la regia a tratti sperimentale dei momenti onirici che spezzano la delicatezza delle scene di vita reale non colmano a sufficienza le lacune della resa finale della storia. La sempre brava e affascinante Laura Morante, infatti, non è credibile nel ruolo della donna cinquantenne coacervo di tutte le sfortune, insicurezze, ansie e ingenuità dell’universo femminile di cui la protagonista è portatrice prossima all’autoflagellazione. Anche il cast che si muove intorno alla protagonista non convince. Solo la “canaglia” di Marco Giallini, nel ruolo del collega piacione che infarcisce un maldestro corteggiamento opportunista con perle di “profonda saggezza popolare” – Una mano lava l’altra…. E due lavano il viso; Aiutati Flavia che Dio ti aiuta – che si conclude con il suo Posso? al quale la passiva Flavia replica Fai pure (che tuona come uno scivolone devastante e distruttivo di ogni forma di amor proprio e partecipazione alla vita), la sempre impeccabile Piera Degli Esposti e il personaggio marginale di Angela Finocchiaro – che urla Vecchio porco! – riescono a far sorridere con intelligenza. Inconfondibile e perfetta la colonna sonora di Nicola Piovani…forse il vero Assolo dell’intera pellicola.

data di pubblicazione:07/01/2016


Scopri con un click il nostro voto:

 

MOKADELIC – Live set

MOKADELIC – Live set

(Macro Testaccio – La Palanda – Roma, 11 dicembre 2015)
In occasione della pubblicazione del numero 12 e del terzo compleanno dell’editoriale trimestrale Le Fabrique du Cinéma, gli appassionati delle arti visive e, in primis, del cinema hanno potuto assistere all’esibizione live dei Mokadelic. Il gruppo, tutto made in Italy, è solo uno degli esempi di come i giovani artisti nostrani siano un fiore all’occhiello del nostro panorama musicale e cinematografico – visto il loro “attivismo” per opere teatrali, documentari, cortometraggi noir – da tutelare e sostenere. E infatti la band, nata nel 2000 con il nome Moka, ha un respiro internazionale che potrebbe tranquillamente “firmare” opere, istallazioni e sequenze cinematografiche d’oltreoceano. Nello spazio della Palanda del Museo Macro di Testaccio i 5 musicisti della band – Alberto Broccatelli (batteria), Alessio Mecozzi (chitarra e synth), Cristian Marras (basso e synth), Maurizio Mazzenga (chitarra) e Luca Novelli (piano e chitarra) – hanno saputo incantare la platea ricreando nell’“open space” soffuso e minimale del Museo le suggestioni, le atmosfere dei film e delle storie sulle quali ormai la loro musica ha tatuato un’emozione indelebile. Le note e gli arrangiamenti dei Mokadelic, infatti, hanno accompagnato, e alla fine segnato, pellicole d’Autore tra cui Come Dio comanda di Gabriele Slavatores, Acab-All Cops Are Bastards di Stefano Sollima e spettacoli Teatrali. Tra i momenti più coinvolgenti e ipnotici del live set sicuramente spicca il “fotogramma musicale” dei brani composti per la serie di Gomorra. A impreziosire l’esibizione, di quella che è stata una piccola festa per i giovani autori, attori, registi, montatori e per tutti gli appassionati addetti ai lavori, anche dietro le quinte, del Cinema italiano (tra gli ospiti intervenuti e premiati da Le Fabrique du cinéma anche Matteo Garrone, Alessandro Borghi e Piero Messina), scorrevano le colorate, “nevrotiche” e frammentate immagini ispirate al cinema degli anni ’20 e ’30. Al termine del live la conferma dei Mokadelic come ottimi autori e maturi perfomers e per questo speriamo che presto tornino a esibirsi in un viaggio tra i teatri e gli spazi artistici che meglio si confanno alle loro atmosfere.

data di pubblicazione 13/12/2015

A BIGGER SPLASH di Luca Guadagnino, 2015

A BIGGER SPLASH di Luca Guadagnino, 2015

La magnificenza ancestrale dell’isola di Pantelleria è lo scenario della storia narrata da Luca Guadagnino con A bigger splash, nel remake del film francese La Piscina di Jacques Deary (1969. Quattro personaggi si ritrovano su un’isola selvaggia al confine tra l’Europa e l’Africa e gli equilibri iniziano a vacillare dal loro primo incontro. Da un lato, Marianne e Paul, fidanzati in vacanza nel tipico dammuso, dall’altro Harry e Penelope, padre e figlia a conoscenza del loro legame biologico da appena un anno. In questo quadretto con piscina, però, c’è (ancora) una coppia unita da una forza dirompente: quella di Harry (un bravissimo Ralph Fiennes) e Marianne (eterea Tilda Swinton), ex amanti uniti da una storia d’amore lunga sei anni durante e dopo la quale Harry è stato anche il produttore discografico della rockstar Marianne. L’affetto e la complicità viscerale che unisce Harry e Marianne e l’incapacità del primo di mettere la parola “fine” all’amore ancora forte per la “sua” artista sono parte del “fuoco distruttivo” alimentato dal vento caldo e polveroso dell’isola. Guadagnino, con una sapiente regia matura, forte e sicura, vuole raccontare la complessità dello stato delle politiche del desiderio fra persone mature e per farlo si avvale della quinta protagonista: Pantelleria. Un’isola che induce i quattro personaggi a far a cazzotti; un’isola che, anche fisicamente, non gli consente di scappare dai loro desideri costringendoli ad affrontarsi senza scampo anche con la realtà brutale degli abitanti dell’isola, tra i quali ci sono i rifugiati di guerra approdati miracolosamente con i barconi della disperazione. Fondamentale la scelta, suggerita dall’eterea Tilda Swinton al regista, di rendere muto per un fittizio problema di corde vocali il personaggio della rockstar Marianne così da creare un perfetto equilibrio con il logorroico Harry che con la sua instancabile chiacchiera, e nella sua fisicità (tra cui il suo meraviglioso momento dance), esercita una costante pressione psicologica sulla fragile coppia innamorata Paul-Marianne e, inconsapevolmente, sulla figlia. L’attenta osservatrice Penelope (Dakota Johnson), infatti, percependo in Marianne la sua “nemica”, colei che ha rubato il cuore e l’anima a un padre prima sconosciuto e ora emotivamente impreparato, inizia a tessere una tela di piccole provocazioni: con alcune vuole costringere Marianne a parlare, per strapparla al confortevole “rifugio” del suo finto mutismo, con altre, invece, tenterà di ferirla “rubandole” per qualche ora l’amore dell’introspettivo Paul (un immersivo Matthias Schoenaerts). Nel ristretto spazio del dammuso e della sua piscina cristallina – perché nell’acqua si rivela la vera natura dell’uomo finalmente libero – si compie l’implosione dei desideri delle due coppie fino all’apice della tragedia (velatamente e ironicamente anticipata dal gesto giocoso delle mani di Paul intorno al collo di Harry durante la prima cena del quartetto) che il regista, ispirandosi al Falstaff di Giuseppe Verdi, capovolge nel finale con le note dell’opera buffa. Per farlo si avvale del poliedrico Corrado Guzzanti nel ruolo del maresciallo dei carabinieri di Pantelleria perché in questa storia l’elemento umano doveva prelevare sulla legalità e pertanto la legge segue il sentire della massa, del pubblico dei fandella rockstar in luogo dei codici penali. Nonostante il passaggio del film verso i toni finali della burla lasci smarriti e spiazzati e la macchietta del carabiniere sia stata sicuramente stridente, A bigger splash è ben costruito e tutto il cast, avvolto nelle note dei The Rolling Stones, rende la storia ritmata e appassionante anche grazie alla fisicità dei loro gesti e dei loro nudi che li rendono credibili, così come credibile appare la complessità dei loro sentimenti, dei desideri, dei conflitti interiori e della complicità che li lega. Tra passione e sprazzi di humor un film che intrigante!

data di pubblicazione 29/11/2015


Scopri con un click il nostro voto:

ANTIGONE di Sofocle, regia Filippo Gili

ANTIGONE di Sofocle, regia Filippo Gili

(Teatro dell’Orologio- Roma, 24 novembre/6 dicembre 2015) 

L’Antigone diretta e interpretata da Filippo Gili riporta il pubblico in una dimensione ancestrale e conduce lo spettatore nel ventre di Antigone (Vanessa Scalera), nelle viscere della Terra tra i vivi e i defunti. Antigone, ancora oggi, è la voce della spiritualità, del coraggio, della ribellione di chi per poter vivere deve inevitabilmente fare un passo indietro per ritrovare la propria essenza. Emblema di una femminilità impetuosa, sovversiva di quelle che Creonte (Filippo Gili) definisce “non regole, ma…re-go-le”, Antigone riflette la primordialità del tragico, la latente e difficile ricerca di autenticità che è dentro ciascun uomo e si oppone alla titubante sorella Ismene (Barbara Ronchi) che rassegnata afferma “siamo donne, dobbiamo piegarci con dolcezza”. Ogni parola razionale, ponderata, dura e schietta, “fissa”, frutto dei celebrali ragionamenti, dei presunti insegnamenti e dei divieti di Creonte, ogni consiglio e giudizio del “coro”, nulla possono di fronte alla spiritualità e alla forza del Dio che arde nel ventre di Antigone, la quale, mossa e dilaniata da un’irrefrenabile sete di giustizia e da un indomito senso tragico, finirà per compromettere per sempre la sua vita di donna, di promessa sposa di Emone (Piergiorgio Bellocchio) e la sua libertà. Come prevedibile la tragedia greca messa in scena al Teatro dell’Orologio da Filippo Gili catalizza chiunque vi si imbatta grazie alla bravura irruente e indiscussa dell’intera Compagnia di attori. Ennesima conferma di Vanessa Scalera – già nei giorni scorsi acclamata protagonista del Roma Fiction Fest con Lea di Marco Tullio Giordana – quale autentica “mattatrice” del palcoscenico italiano. Precisa e impeccabile anche la prova del duo degli “artigiani della qualità”, Omar Sandrini e Alessandro Federico, che danno voce ai tebani con un pizzico di leggerezza irresistibile.

 

data di pubblicazione 25/11/2015

 


Il nostro voto: