BIRDMAN di Alejandro González Iñárritu, 2015

BIRDMAN di Alejandro González Iñárritu, 2015

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Incredibilmente ignorato all’ultima Mostra internazionale del cinema di Venezia, risarcito, giustamente, con un numero congruo di candidature all’Oscar, quest’ultimo film di Iñárritu è un tuffo di due ore in completa apnea nell’inconscio e nel conscio di un uomo in crisi, un attore condannato dal ruolo di super eroe che l’ha portato al successo, (interpretato da un attore, il bravo Micheal Keaton, che ha presumibilmente avuto i suoi stessi problemi nella vita reale) ma  che vuole lasciare un’impronta più  importante. Per questo riduce un testo di Raymond Carver per la scena, e lo vuol presentare nel più antico e prestigioso teatro di Broadway.

A fargli compagnia nei giorni dell’impresa, sono, come in novello Otto e mezzo, o in un rutilante All that jazz, nell’ordine: l’ex moglie che forse ancora lo ama, l’attuale collega e amante da cui forse aspetta un bebè, la figlia appena uscita da un percorso anti tossico, il suo amico e legale senza il quale sarebbe perso, un’altra attrice (la sempre intensa Naomi Watts) sorta di alter ego anch’essa con velleità teatrali, un attore coprotagonista (bentornato Edward Norton), che lo mette in difficoltà e gli ruba la scena (e che come un pessimo allievo di Lee Strasberg  pensa che in teatro si viva e non  si finga ) e infine  una critica teatrale più perfida di Elsa Maxwell, tutti coinvolti nell’incessante girotondo dove spuntano innumerevoli sottotesti di vario tipo, dalla psicanalisi al meta teatro, dalla crisi di identità alla crisi di mezza età, dove il protagonista è perpetuamente alle prese con gli orgogli e i fallimenti più parossistici (come Zio Vanja  fa cilecca anche  nel suicidio) fino a un finale più visionario che “ aperto “.

Ambientato davvero integralmente dentro un teatro, sembra girato come un unico interminabile piano-sequenza, scritto con una bella dose di ironia e con dialoghi al vetriolo e nessun risparmio di effetti, (anche speciali come quelli dei film di super eroi) e strizzate d’occhio cinefile e teatrofile, in definitiva una matrioska infinita di invenzioni, un divertentissimo ed emotivo film che sancisce, vivaddio, dopo il precedente Biutiful, il definitivo abbandono della sequela di lutti e disgrazie che hanno caratterizzate la cosiddetta “trilogia della morte” (Amores perros – 21 grammi – Babel)  con cui Iñárritu  aveva rischiato la maniera e sfiorato a tratti la risibilità.

data di pubblicazione 09/02/2015


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ANNA MALVICA e FRANCO MIRABELLA provano MAMMA RANDAGIA, di Thomas Otto Zinzi

ANNA MALVICA e FRANCO MIRABELLA provano MAMMA RANDAGIA, di Thomas Otto Zinzi

MAMMA RANDAGIA è un testo di Thomas Otto Zinzi, una commedia sull’incontro di due solitudini: una madre rimasta sola che non trova più la strada di casa , o finge di non trovarla, e un poliziotto  forse vittima di una moglie autoritaria oppure semplicemente insoddisfatto e in perenne senso di colpa per aver parcheggiato la madre in una casa di riposo.

Un testo amaro e divertente, pieno di umori e che sembra costruito  appositamente per  essere impreziosito da interpreti di talento.

La formidabile attrice Anna Malvica, che ha alle spalle una carriera lunga e ricca di incontri importanti (Strehler, Cobelli, Turi Ferro, Luis Pasqual, i fratelli Taviani e altri ) si è impossessata letteralmente di questo personaggio, già qualche anno fa, regalandole  tutte le sue corde e, facendone un vero cavallo di battaglia al punto che francamente non saprei immaginare il personaggio di Rita interpretata da altri.

Quando poco tempo fa si apprestava a interpretarlo di nuovo, con un nuovo partner, il bravissimo Franco Mirabella, è successo che durante le prove, complice  un po’ la voglia di rinnovarsi, un po’ la sintonia con il nuovo collega, li portò a cambiare le carte in tavola: venne fuori non soltanto la rappresentazione nuda e cruda del dramma, ma la personalizzazione, mescolando la finzione alla prova.

Ecco che Mamma randagia diveniva Anna e Franco che provano  Mamma randagia. Il copione è diventato così un canovaccio su cui i protagonisti hanno la possibilità di reinventare di volta in volta i loro ruoli, li arricchiscono di trovate, in continuo scambio pirotecnico di battute a volte anche esilaranti. Tutto questo senza mutare l’essenza del dramma, soprattutto nella seconda parte dove la commozione e l’umanità hanno la meglio sul gioco teatrale.

Si potrebbe, citando l’Andreini, dire che si tratta di due commedie in commedia, oppure, restando nel Duemila, di uno spettacolo a  “3D” dove le tre dimensioni sono il testo originale, i due personaggi, i due attori. E la bravura di questi si moltiplica a sua volta per tre: perché sperimentano la felicità creativa della commedia dell’arte, si immedesimano con  rigore nell’interpretazione drammatica e vivono lo straniamento  continuo a furia di entrare e uscire continuamente dal ruolo.

Il pubblico ha gradito molto ed è stato al gioco sin dal principio, quando gli attori fingevano un ritardo. Il teatrino di San Luigi Guanella, rinato da pochissimo tempo, è una piccola bomboniera e meriterebbe una costante programmazione sempre di buon livello.

 data di pubblicazione 27/01/2015


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SI ACCETTANO MIRACOLI di Alessandro Siani, 2015

SI ACCETTANO MIRACOLI di Alessandro Siani, 2015

Alessandro Siani, che da Benvenuti al sud in poi sbanca puntualmente i botteghini, si conferma campione d’incassi anche stavolta con Si accettano miracoli ma artisticamente fallisce clamorosamente.

Stavolta non c’è, ad aiutarlo, una solido plot d’oltr’alpe come in Benvenuti al sud, né un regista fine come Luca Miniero

Il film, scritto e diretto dallo stesso Siani, parte con un’idea non male, basata sulla voglia di miracoli nell’Italia della crisi nera. Le ambizioni  si immagina puntassero su una pellicola si divertente, ma anche leggermente surreale, con una storiella edificante, un gruppo di ragazzini simpatici e la cinepresa tesa a inquadrare il solito paesaggio del Sud, un po’ retrò un po’ cartolinesco.

Peccato che, come succede al novanta per cento del cinema comico italiano, sia completamente assente la sceneggiatura quasi che Siani avesse scritto dei microscopici quadretti o delle battute e collegandole poi con insignificanti trait d’union.

Tanto per fare un esempio: c’è l’idea (che vorrebbe essere divertente) di un frate sordo. Ebbene, non c’entra nulla con la storia, ma l’autore ce lo infila lo stesso e poi lo fa anche cadere dentro un tombino per amplificare – invano – la risata. E così è “costruito”  quasi tutto il film.

Probabilmente con la consapevolezza dell’esilità della storia, Siani si inventa anche una specie di inutile alter ego (affindandolo a uno spaesato Fabio De Luigi) e si contorna di un nutrito cast regalando dei camei a caratteristi preziosi come Massimiliano Gallo, Giacomo Rizzo, Serena Autieri, Camillo Milli e altri, ma non è che con uno script così ingenuo si possano fare sfracelli!

Resta quindi la delusione per un’occasione mancata perché comunque Siani, sebbene ammalato di “troisite”, è un ragazzo simpatico e un talento naturale e potrebbe ambire a inserirsi in storie e ambiti meglio costruiti e degni di lui.

Ma la cassa  ha delle ragioni che il gusto non vede e allora non rimane che dire: Chapeau.


data di pubblicazione 20/01/2015


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COME VI PIACE di William Shakespeare, regia di Maurizio Panici

COME VI PIACE di William Shakespeare, regia di Maurizio Panici

(Teatro Parioli Peppino De Filippo – Roma, 15/25 gennaio 2015)

Tutto il mondo è palcoscenico, e gli uomini e le donne sono soltanto attori

Hanno le loro uscite e le loro entrate e nella vita ciascuno recita molte parti

E’ la battuta più nota ed importante di Come vi piace, pronunciata da Jacques, un malinconico clown, personaggio non esattamente protagonista ma talmente significativo che viene affidato di solito ad attori di sopraffina sensibilità.

Apparentemente commedia bucolica basata su una contrapposizione tra il mondo di corte e quello dei pastori, in realtà è uno dei testi più misteriosi e ambigui del Bardo, dove pare, che con trecento anni di anticipo su Pirandello, si ragioni di realtà e finzione sulla scena e nella vita.

Ma non è l’unica suggestione della commedia, dove il tòpos del travestimento fa la parte del leone, con Rosalinda, la protagonista che si finge uomo, come succede ad altri, ed è proprio il tema del “doppio” ad interessare il regista di questa edizione: Maurizio Panici.

Non è semplice offrire un allestimento soddisfacente di un testo così complesso, a nostra memoria si sono avvicinati all’anima della commedia solo Peter Stein e Sandro Sequi, rispettivamente nel 1977 e nel 1985 puntando entrambi sul senso filosofico e su quel “perdersi” dei sentimenti come nella foresta di Arden.

Perfino Visconti, negli anni Cinquanta, a giudicare dalle cronache dell’epoca, riuscì solo a fare uno spettacolo immaginifico (con scene di Salvador Dalì) ma non convincente.

Oggi il Panici ha avuto l’idea di vivacizzare il tutto facendo eseguire in scena le composizioni di Ambrogio Sparagna, musicista illustre nel campo della musica popolare.

L’effetto spettacolare è raggiunto, ma purtroppo il resto non è egualmente persuasivo, il disegno registico è confuso, i giovani attori sono vitali ma, non sempre incisivi, (ma tra i meno giovani c’è il sempre bravo Sergio Basile), insomma l’insieme pare opaco e soprattutto il tanto succitato “tema del doppio”, viene soffocato dall’ensemble di musica e spettacolo.


data di pubblicazione 19 /01/2015


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PRANZO DI NATALE di Danièle Thompson, 1999

PRANZO DI NATALE di Danièle Thompson, 1999

Lo stress prenatalizio, che fa esplodere i conflitti interpersonali e porta a  emergere improvvise voglie di fuga, non è solo  caratteristica nostrana (ricordate “Matrimoni” della Comencini?) ma evidentemente miete vittime anche oltr’alpe. Il film della Thompson segue le vicende di una famiglia “allargata” nei tre giorni prima del 25 dicembre, da un funerale dove tutti bisbigliano dei preparativi e dei regali da fare fino al giorno del fatidico pranzo che non vedremo (ma nei titoli di coda c’è una autentica ricetta francese). Vediamo i personaggi nei loro intricati rapporti e sentiamo le loro confessioni rivolte direttamente al pubblico in una indovinata soluzione da quarta parete. Appena un pizzico di deja vu viene perdonato grazie alla brillantezza dei dialoghi e alla bravura iperbolica degli attori: Sabine Azema (scatenata anche nel ballare e cantare), le incantevoli  Emanuelle Behart e  Charlotte Gainsbourg e i carissimi Claude Rich e Francoise Fabian: scusate se è poco…

A questo film non possiamo che abbinare la sua ricetta, Dinde de Noel ovvero Tacchino di Natale al fois gras, perfetta per un buon….pranzo di Natale!

INGREDIENTI (x 8 persone): Un bel tacchino –  400 g di fois gras fresco – 2 dadi di brodo di pollo – 200 g di salsicce di maiale – 100 g di scalogno – 1 bel fungo porcino – 3 cl di vino rosso – burro q.b. – per la salsa – 20 cl panna liquida – 50 g de fois gras

PROCEDIMENTO: Lasciate soffriggere in una terrina un pò di burro, aggiungete lo scalogno a fette sottili e fate indorarlo in un poco di burro, aggiungete i funghi. Lasciate cuocere da 5 a 6 minuti girando di tanto in tanto; quindi, in un robot da cucina, unire alla carne della salsiccia, i funghi e lo scalogno appena cotti. Prendete poi il fois gras fresco, tagliatene 2 belle scaloppine e mettetele da parte, ed incorporate quindi il resto del fois gras nel robot, aggiungete del sale, del pepe e frullate il tutto. Con questa farcia così ottenuta, riempire la tacchina; poi, con un coltello incidete la carne per poter scollare delicatamente la pelle, ed introducete, tra la carne e le pelli le 2 scaloppine di fois gras che avete tenuto da parte. Preriscaldate il vostro forno a 200°. Prendete una grande pentola di coccio o marmitta, riempitela a metà di acqua. Aggiungete i 2 dadi di brodo di pollo, portate poi a ebollizione  e mettete la tacchina a bollire per circa 30 minuti (o meno a seconda delle sue dimensioni). Dopo che si è sgrassata in acqua, disponete la tacchina in un grande piatto, aggiungete sale e pepe q.b.. Infornatela per 1 ora e 30 minuti, senza dimenticare di irrorare di tanto in tanto con del vino affinché la carne non si secchi.

Per la crema da servire con il tacchino:

Con un mestolo, prelevate circa 2 a 3 loschi di succo di cottura nel piatto della tacchina, mettete il succo in una casseruola e fatelo ridurre per metà a fuoco vivo. Lasciate poi la fiamma a fuoco dolce, incorporate la panna liquida con l’aiuto di una frusta. Tagliate i 50 g di fois gras in piccoli dadi e, una volta che la crema è molto calda, aggiungete i dadi di fois gras, sempre alla frusta. Lasciate cuocere 3/5 minuti, ritirate del fuoco e servite con la tacchina.